L’ambiente britannico spiegherebbe la trasposizione pari pari nell’uso della Massoneria, mentre solo in un secondo momento, tramite forse il francese hisser, italiano issare, da cui issa, si sarebbe fatta confusione tra le due parole, che hanno finito con l’assumere un identico significato.
Ma tali questioni hanno un valore secondario se scendiamo alla considerazione, tutt’altro che astratta o peregrina, del vero senso dell’espressione acclamativa usata dai Fratelli.
Proviamo a ripetere, ad alta voce, quasi gridando, UZZAI, UZZAI, UZZAI. Facciamolo più e più volte, possibilmente, però, a gruppi di tre, e lasciamoci trasportare dalla suggestione fonica.
Entriamo così nella magia della parola. Una magia che si gioca non sul significato, irrilevante, ma sull’empito che dall’orecchio passa all’animo dell’acclamante, secondo una “logica” che qui si intende indagare.
UZZAI. da dove viene?
In proposito si potrebbe citare, con Jean BOUCHER, La simbologia massonica, Roma, Atanor, 2006, p. 357, il Manuel Maçonnique (1820) del VUILLAUME: “Si grida poi tre volte Huzza! ( pronuncia Houzzai).
Questa parola deriva dall’inglese; ecco la causa della differenza tra l’ortografia e la pronuncia …”, mentre un poco più avanti si legge: “ – per me – osserva Albert LANTOINE – la parola Huzza (o Houzé!) è semplicemente sinonimo di Hourrah …”.
Trattandosi di autori francesi, la pronuncia di Houzzai e Houzé dovrebbe essere la medesima, ma può darsi che nella traslitterazione in italiano essa sia diventata Huzai o Huzzai o Uzzai, pronunciata così come si scrive – quindi non alla francese, secondo un gusto frequentemente attestato nella nostra lingua per quel fenomeno fonetico spontaneo noto come epitesi – aggiunta, cioè, di una o più lettere alla fine di una parola, com’è, in toscano, fue per fu), fenomeno ignorato dal MAINGUY, op. cit. , che richiama solo UZZA ed alcune sue varianti (URRA’ compreso: del resto, nel citato BOUCHER, troviamo anche: “In Ebraico Oza significa ‘forza’ ed è là, pensiamo, e non altrove che occorre ricercare l’origine della parola Huzza; per estensione questa parola significa ‘vita’ come la parola ‘vivat” – di qui la mia ipotesi: che la pronuncia corretta debba essere, comunque il termine derivi, UZZÀ).
Ma, si noti, la posizione dell’accento, in seconda sede, configura un giambo, piede greco, ripreso dai Latini, costituito da sillaba breve + sillaba lunga accentata. Riunendo tra loro più giambi avremo varie strutture metriche, contrassegnate dalla naturale sensazione che proviene dall’andamento ripetuto di più giambi – nel nostro caso UZZÀI UZZÀI UZZÀI, triplicato, individua esattamente mezzo trimetro giambico e traccia un ritmo particolarmente caro alle acclamazioni (mi vien fatto di citare il grido di guerra degli archibugieri a cavallo di Giovanni dalle Bande Nere: A noi, a noi, a noi, squadre e bandiere!).
Vano sarebbe citare il nostro ISSA, che pure è voce parente, tramite il francese, dell’originario britannico HUZZA. Tant’è vero che, a ritmare lo sforzo presago di buona riuscita, si ritrova meglio l’espressione Oh … issa! – dove la prima parte è preparatoria della seconda, e dove in realtà la seconda sillaba di issa viene, per così dire, mangiata via, non essendo importante nell’economia e nell’espressività del grido (si pensi agli ordini militari at-tén-[ti], rip[o] – sò, che si riducono a due espressioni bisillabe).
Ancora una volta il ritmo giambico la fa da padrone, secondo una duplice magia espressiva: la preparazione e lo sforzo teso al conseguimento di alcunché, ed il raggiungimento dell’obiettivo, che costituisce come la totale liberazione delle energie precedentemente contrattesi.
Il vero sforzo, in realtà, non ha un andamento giambico.
Si pensi al celebre égua àe córde: consiglio ed incitamento al tempo stesso per chi si travagliava, nel lontano 1586, ad erigere l’obelisco di piazza San Pietro: capitan Bresca da San Remo se ne intendeva di marineria, ma niente mi toglie dalla testa che l’esclamazione ligure fosse anche carica di quel ritmo aduso al lavoro nautico che la cadenza rivierasca sottolinea anche oggi in maniera esemplare.
Nell’affermazione acclamante c’è bisogno di una parola tronca.
Lo si vede benissimo nel grido dannunziano Eia, eia, eia alalà, dove, ad una andamento sostanzialmente trocaico, accentuato dallo jato obbligato nella scansione (éi-a, éi-a, éi-a), segue la perentotietà ascendente di un anapesto, una sorta di marcia spartana (breve + breve + lunga accentata, cioè ta-ta-tà, ta-ta-tà, ta-ta-tà, com’era il passo cadenzato della falange lacedemone, accompagnata dai flauti che le davano il tempo).
La parola tronca, in UZZAI, è addolcita dall’epitesi, che evita lo strapiombo nel silenzio, ed invita alla discesa non precipitosa da un vertice di tensione, che malamente si saprebbe conservare una volta raggiunta la vetta dell’esaltazione interiore.
Infatti, proprio di un inebriamento si tratta, di un inebriamento fonico, che riattualizza, senza che i Fratelli nemmeno se ne accorgano, l’antica magia dei suoni; questi, espressi tutt’insieme – all’unisono, appunto – riaffermano l’UNIONE della Grande Famiglia Massonica, che in UZZAI sa riconoscersi, come si sanno riconoscere tra loro i soldati all’assalto, quando gridano URRA’.
Se ne può dedurre che la parola UZZAI, anche se desemantizzata, cioè utilizzata a prescindere da un significato, si è ammantata, nel tempo, di un valore sacrale proprio per il fatto che la Tradizione Massonica l’ha consacrata, togliendola dagli ambienti marinareschi in cui era nata per utilizzarla in particolari, significativi momenti della vita comunitaria dell’Officina e non solo di questa.
UZZAI è termine divenuto simbolo fonico, dotato di una particolare espressività, di una propria, inconfondibile forza evocativa.
Augurio, soddisfazione, invocazione tripudiante di Fratellanza si mescolano insieme e ne fanno un quid ben determinato e significativo al di là di un univoco e certo significato: all’oscurità dell’origine fa riscontro la chiarezza psicologica dell’uso, e tutti percepiscono il risultato che l’esclamazione ottiene, a livello emotivo e spirituale, all’epidermide e nel profondo.
UZZAI è una scarica positiva di energia, la cui caratteristica principale non sta nel suo dissolvimento dopo la scintilla, come corrente elettrica che venga “scaricata” a terra, ma nel suo immediato rientro in circolo, ripercorrendo ed elettrizzando gli animi di quanti abbiano partecipato ad una Catena d’Unione, ad un brindisi correttamente eseguito in un’agape …
Rimane, in un certo senso, l’insondabilità di UZZAI, come insondabili sono le vibrazioni arcane e sottili di un oggetto magico o di certe parole che “fanno accadere qualcosa”, la cui pronuncia deve essere calibrata in un impiego che non le sprechi, ma le ottimizzi per il bene dell’Umanità intera.
Né oltre è possibile andare, ma solo si può comprendere con l’occhio interiore dell’Iniziato.
Fr:. Carlo Arrigo Pedretti