Premessa
Il documento originale è custodito presso la Biblioteca Civica di Udine, e rappresenta la Tavola Architettonica più antica che si conosca, relativa dell'attività della prima Officina, all'Oriente di Udine, di cui si ha notizia certa.
Tale Officina era la R:.L:. NAPOLEONE costituita in Udine nel periodo di tempo compreso tra il mese di maggio del 1807 e dicembre dell'anno 1808.
Secondo una nota riportata (pag.330) nell'edizione a cura della C.C.I.A.A. di Udine del 1989 del libro di Gino Pieri dal titolo" Napoleone e il dominio napoleonico in Friuli" la R:.L:. fu intitolata a Napoleone per volere del Prefetto Somenzari. Secondo l'autore questi era certamente un alto dignitario della Massoneria. La predetta ipotesi è plausibile poiché Napoleone I visitò Udine dal 9 al 12 dicembre 1807.
Note sul F:. autore della Tavola Architettonica
L'autore della Tavola fu il F:. Bianchi, Segretario particolare del Prefetto, il cui nome compare, col grado di Apprendista, nell'elenco degli appartenenti alla R:.L:. Des Amis De L'Ordre all'Oriente del 84° Reggimento di Fanteria di Linea del Grande Oriente di Francia, alla data del quarto giorno del terzo mese dell'anno di V:.L:. 5807 (anno corretto con penna a 5806)
Oltre al F:. Bianchi altri cittadini di Udine erano affiliati alla predetta R:.L:. e precisamente il farmacista F:. Giacomo Franzoja, con il grado di Eletto, ricopriva la carica di Hospitaliere, il tipografo libraio F:. G.A. Pecyle con il grado di Maestro.
Quando il F:. Bianchi tracciò la Tavola Architettonica, ossia il ventunesimo giorno del decimo mese dell'anno di V:.L:.5808, ricopriva già la carica di Segretario della R:.L:. NAPOLEONE all'Oriente di Udine.
Argomento e destinatari della Tavola Architettonica
L'argomento è: "Nosce te ipsum nec te quaesieris extra" (Conosci te stesso e non cercare fuori da te) come ogni tavola architettonica era destinata a tutti i FF:. dell'Officina, ma essa per il suo contenuto, è essenzialmente dedicata agli Apprendisti, affinchè questi operino quella ricerca interiore propria degli appartenenti alla Libera Muratoria.
TESTO
Conosci te stesso.
Ecco il precetto che fino dalla più remota antichità la filosofia e la storia hanno ripetuto all'uomo, e che l'uomo ha mai sempre dimenticato o mal praticato.
Eppure la cognizione di se stesso è il primo elemento di ogni scienza, e di ogni dottrina, l'iniziamento al bene, quello che forma il cuore, e lo spirito e li modella alle istituzioni sociali.
Nosce te Ipsum era scritto sulla porta del Tempio di Apollo, Dio della scienza e della luce come un saluto ed un avvertimento significante, che per aver accesso alla Divinità, ed ingresso al suo Tempio bisogna conoscersi.
È naturale all'uomo il meditare ed il pensare di se, ed è utile ch'egli si conosca tanto per se stesso che per gli altri.
La meditazione ed il pensiero accordate dalla provvidenza all'uomo per dirigersi nello stadio difficile della vita come potrebbero essere di meglio che occupate nella considerazione dell'uomo, nella investigazione delle sue forze e delle sue debolezze?
Colui che sorgendo di grave malattia si esponesse alle vicende di stemperata stagione senza consultare dapprima il sentimento delle proprie forze non il si direbbe da noi incauto, e di se non curante?
Colui che offrendosi a parlare di qualche meccanismo ingegnoso non ne avesse dapprima esaminate le parti tutte, considerate le combinazioni, calcolata la misura, e l'armonia delle minime azioni e reazioni, e dedotti da questa colla ragione calcolatrice gli effetti non si esporrebbe ad essere tacciato di presuntuoso?
E poi chiameremo saggio l'uomo, che slanciandosi nell'intricato e tortuoso labirinto della vita vuol abbracciare l'universo, tutto esaminare, giudicare di tutto, avido infine di tutto tranne che di se stesso, che abbandona ad inclinazioni sregolate, ad abitudini non mai corrette, all'impulso, ed alla forza di tutti gli oggetti esterni, e che mentre proclama il Signore delle cose è lo schiavo di tutte le cose?
Né creda già l'uomo di trarre maggiore nozioni di se, o dalle cognizioni di coloro che lo precedettero o dal sentimento dei suoi contemporanei.
Da una parte la esperienza dei padri è sempre perduta pei figliuoli, ed ogni nuova generazione comincia una nuova carriera; e per quanto agli altri, ignari pur eglino di ciò che sono si contengono verso di noi secondo il sentimento del rispetto o del timore, dell'utile o del danno, della considerazione o del disprezzo, dell'amore, o dell'odio, che loro detta la nostra condizione sociale.
Non ha adunque l'uomo altro che se per conoscere se stesso; è dunque necessario, che l'uomo si ripieghi in se stesso per conoscersi; è dunque naturale all'uomo, che egli pensi e mediti di se.
L'amor proprio può invero traviarlo, ma dalle prime nozioni di se stesso avvertito dalla sua debolezza comincerà l'uomo a diffidare dei suoi giudizi, e reso più cauto deluderà le trame di questo insidioso nemico.
Nell'esame di se stesso trova l'uomo i suoi difetti, e pensa ad emendarli; conosce i suoi bisogni, e vi provvede; sente la sua miseria e deprime il suo orgoglio.
L'anima discendendo nel fondo di noi stessi, e sedendo sul trono della coscienza pesa il passato e prepara l'avvenire. Allora i nostri errori non sono scusati, il vizio si palesa nella schifosa nudità, e la ragione riprende sui nostri cuori il suo impero, ed i suoi diritti. Ricorda allora gli eccessi delle sfrenate passioni, i pericoli e le frenesie di queste ardentissime febbri; vede la laidezza di questi mostri, e ne concepisce un orrore salutare.
L'uomo che ha esaminato se stesso sovvenendosi di essersi molte volte ingannato, e richiamando gli errori a cui si è di frequente esposto si previene contro le più leggiere occasioni di nuovi inganni ed errori, e così si prepara alla felice mutazione che lo rende modesto, moderato, facile, indulgente e benefico.
Non evvi adunque più limpido specchio, libro più istruttivo di noi stessi, quando vogliamo, come pur dobbiamo studiare.
Ripiegati adunque, dirò con Charron, ripiegati o uomo in te stesso, e riconduci a te il tuo spirito, e la tua volontà che si consumano altrove, esaminati, considerati, conosciti: Nosce te ipsum nec te quaesieris extra.
La cognizione di se stessi è utile agli altri uomini.
Colui, che si conosce, sente intensamente che non deve sperare né spontaneo, ne sincero il concorso degli altri uomini alla soddisfazione di se stesso, ove eglino non riconoscano di potere da lui ottenere altrettanto.
Sente perciò, che conviene assistere di consiglio e di opera lo sgraziato, che ne abbisogna perché così egli pure sarà di consiglio e di opera assistito, ove l'occasione il demandi.
Vede sorde tutte le orecchie, chiusi tutti i cuori per colui, che nella felicità rifiutò con anima di ghiaccio, e con spirito di superbia le preghiere, e le lagrime dell'infelice. Conoscere che l'abitudine della virtù procura la stima, ed il rispetto degli altri, e rende a proprio riguardo virtuoso perfino il malvagio.
La debolezza dell'orfano, la desolazione della vedova, la fiachezza del vecchio trovano nel suo cuore un giusto titolo al soccorso, al consiglio, all'appoggio.
La folla delle impressioni funeste che circondano l'uomo, e la cognizione della fragilità sua lo rendono indulgente sugli errori degli altri.
In mezzo alle cadute della specie umana, Signore di se, mentre stende la mano benefica ad assistere colui che per momenti traviato si riconduce a virtù, compiange il protervo, che sordo al grido della coscienza e della società corre furibondo per sentiero di vizi al disprezzo e all' orrore generale.
Lontano egualmente dal vizio, e dalla ostentazione di virtù senza tessere a mortali l'umiliante panegirico delle virtù che non hanno, o presentare loro il quadro spiacevole dei vizi che non dovrebbero avere, ricorda a tutti, che soggetti tutti all' errore dobbiamo tutti perdonare a vicenda, e tirar un velo indulgente sulle nostre follie.
Ben meritò Socrate d'essere chiamato il Re degli uomini, non perché egli fosse il più sapiente, o il più abile, ma perchè egli si conosceva più degli altri, e gli Ateniesi fecero l'elogio maggiore a Pompeo dicendogli: altrettanto tu sei Dio quanto più conosci uomo, poiché invero convien essere uomo eccellente per ben conoscersi uomo.
I Sacerdoti Egiziani ripetevano giornalmente al loro Re, che eglino erano uomini, e certo gli annali della storia non sarebbero sempre quelli dei nostri deliri, se i Grandi della terra avessero qualche volta voluto conoscersi tali, ma per sventura dell'umanità questa voce della ragione troppo fioca in mezzo allo strepito tumultuoso delle passioni, non è mai discesa alloro cuore.
Iniziato, ho voluto parlarvi dei vantaggi che derivano dalla cognizione di noi stessi perché fino al primo istante di vostra ammissione in questa R:.L:. possiate conoscere che noi tendiamo a formarci virtuosi, che la pratica della virtù, si è il costante nostro dovere, e che la virtù è da noi sovranamente vagheggiata, adorata, idolatrata.
E' con ciò, che noi procuriamo di renderci cari ai vicini, stimabili ai lontani, e rispettabili ai contemporanei tutti, ed è con ciò che aspiriamo all'elogio della posterità.
Miei carissimi Fratelli coll'aver versato di un argomento, che voi tutti sentite più di quello possa io avermi studiato di dimostrarlo, io non ho fatto che esprimere debolmente il vostro voto per la virtù; sì, miei cari Fratelli, noi ricorderemo sempre il detto di quel Poeta filosofo, che ha resa cara la virtù cogli accenti della melanconia e del dolore: l'uomo senza virtù è un uomo mezzo morto; fosse egli il primo Re della terra, il suo manto regale sarebbe un drappo funebre.
Preghiamo adunque, e preghiamo ardentemente il G:.A:.D:.U:. che si perseveri nell'efficace desiderio della virtù.
Brevi osservazioni
Sono trascorsi circa due secoli dal giorno in cui il F:. Bianchi tracciò tale Tavola Architettonica, in anni caratterizzati da continue lotte, a cui spesso facevano seguito mutamenti e repentine variazioni di assetti geopolitici. Eppure oggi essa appare ancora attuale, poichè l'epoca in cui viviamo, quasi nella sua interezza, non è meno confusa di allora, ed è scossa da atti di violenza inaudita, per nulla inferiori, nella loro tragicità, a quelli del passato.
Consapevoli di tale circostanza, ci auguriamo di poter contribuire, con il nostro lavoro nella nuova Officina, alla gloria dell'Ordine, almeno in modo da essere degni dell'eredità di coloro che ci hanno preceduto, senza la presunzione voler di superare la loro fama, ma sempre ben consapevoli del fatto che grazie al loro sacrificio oggi possiamo esprimere liberamente le nostre opinioni.