Semantica della virtù.
Premessa
L'occasione di ricerche e approfondimenti come quelli che qui si suggeriscono può essere offerta da letture effettuate in classe, di carattere letterario, storico, religioso, accompagnate da discussioni su temi di attualità, di politica, di costume, ecc. ; materia di riflessione può essere fornita anche dall'ascolto e dalla visione dei mezzi di comunicazione di massa, dal linguaggio dei fumetti, ecc. ecc. I versanti qui affrontati sono però quelli più congeniali alla scuola, cioè gli ambiti della letteratura e della lingua, non necessariamente in quest'ordine. Data la sede in cui è accolto, questo contributo poi non vuole essere niente più che spunto e traccia di un percorso didattico possibile,con una particolare attenzione agli strumenti da utilizzare. All' insegnante raccogliere l'invito e tradurlo nella pratica del rapporto educativo.
1. La letteratura
Quello delle virtù è stato un grande tema soprattutto nella letteratura del Rinascimento (Machiavelli, Castiglione, Tasso, ecc.). Molte opere propongono modelli di virtù, soprattutto la temperanza e la fortezza, atte a rendere il perfetto gentiluomo emulo degli antichi, capace di essere insieme politico, uomo di lettere e filosofo, secondo l'ideale di Cicerone e di Seneca. Risalta nel confronto la piattezza, lo scarso spessore semantico delle parole indicanti le grandi virtù, quale appare nei secoli successivi, in cui si fa sempre più ricorso ai sinonimi, che indicano le piccole virtù. Per esempio nei "Vicerè" di De Roberto, la prudenza si banalizza e quasi sempre significa cautela, pazienza, se non addirittura doppio gioco, "diplomazia " alla Don Abbondio.
Tutto ciò può risultare evidente grazie alla consultazione di uno strumento come il CD "LIZ 2.0" (LIZ = Letteratura taliana Zanichelli), contenente un vasto corpus di testi dalle origini ai primi del '900, che consente di avere i passi e il contesto mediante una ricerca condotta su alcune parole "storiche"e di constatare facilmente le affermazioni prima avanzate. A titolo d'esempio riporto una piccola antologia, scelta dal materiale così reperito : spetta all'insegnante utilizzarla in rapporto alla situazione della sua classe . Qui ci si limiterà a dare, attraverso il titolo premesso a ciascun brano, un'indicazione sul senso in cui esso può essere inquadrato in rapporto alla semantica della virtù. Il testo letterario consente di rivolgere una attenzione più intensa sui contenuti e di dare prospettiva storico-culturale alla ricerca propriamente semantico-lessicale, prevalentemente giocata sul piano sincronico, che segue. Il passo senecano che apre la piccola rassegna, peraltro assai noto, è segnalato da P. Veyne, Seneca, trad. it.,Il Mulino. Saggi, Bologna 1999 (ed orig. 1993), pp. 17 ss. : l'esercizio della virtù è la prima distinzione della milizia filosofica. Seneca. Epistole 108, 13-23 (trad. Boella, Utet, Torino 1969).
Filosofia e pratica della virtù
Certo quando udivo Attalo parlare contro i vizi, contro gli errori, contro i mali della vita, spesso provavo un senso di pietà per il genere umano e giudicavo quel filosofo un essere sublimee superiore alla condizione umana. [...] quando poi cominciava a raccomandare la povertà e a dimostrare come tutto ciò che va oltre il bisogno sia un peso inutile e molesto per chi deve portarlo, sovente mi sarebbe piaciuto uscire povero dalla scuola. Quando cominciava a farsi beffa dei nostri piaceri, a sostenere la castità, la temperanza, la purezza dell'anima che si astiene non solo dai piaceri illeciti, ma anche da quelli inutili, veniva voglia di porre un freno alla gola e al ventre. Perciò alcuni principi si conservarono ben saldi nel mio animo, o Lucilio : giacché con grande ardore per tutti gli insegnamenti ero andato a quella scuola. Di poi, tornato alla vita della città, lasciai svanire tutti i buoni propositi, all'infuori di pochi. Rinunziai alle ostriche e ai funghi pe rtutta la vita [...]. Parimenti mi astengo dal profumarmi per tuttala vita poiché il corpo manda un odore più gradevolequando non ne manda alcuno ; lascio lo stomaco privo di vino enon frequento più i bagni caldi [...]. E siccome ho cominciato a dirti come da giovane mi accostai alla filosofia con slancio molto maggiore di quello di quello con cui da vecchio continuo a coltivarla, non mi vergognerò di confessare quale amore mi abbia ispirato Pitagora [...]. Pitagora [...]sosteneva che tutti quanti gli esseri sono stretti tra di loro da legami di parentela e che vi è relazione tra le anime trasmigranti da una forma all'altra [...]. In tanto Pitagora suscitò negli uomini il timore di commettere un delitto e più precisamente un parricidio, poiché essi possono assalire senza saperlo l'anima del padre o della madre o oltraggiano con un'arma o col morso, se in qualche animale alberga lo spirito di un congiunto[...]. spinto da tali insegnamenti cominciai ad astenermi dal mangiare animali [...]. Pregato da mio padre che non temeva di essere falsamente accusato, ma nutriva avversione per la filosofia, ritornai all'antica abitudine : e senza difficoltà gli riuscì a indurmi a mangiare cibi meno frugali. Attalo era solito lodare il materasso che non cede al peso del corpo ; ed io, anche ora che sono vecchio, mi servo di un simile materasso, in cui non è possibile scorgere alcuna traccia. Ti ho detto queste cose per dimostrarti con quanto ardore i principianti vadano verso tutto ciò che è bello e buono, se qualcuno li esorta e li incita.
T . Tasso. De la dignità
Virtù e cavalleria.
A quel tempo fu più tosto nome di ordine ne la città che d'alcuna dignità o maggioranza, percioché l'ordine de' cavalieri sia differente da quel de' padri ; ma ora son fatti cavalieri molti di quelli istessi che sono de l'ordine senatorio; e perché i principi e i re grandissimi sono cavalierie chi è degno di questo nome, d'ogni altro onore è stimato meritevole, senza fallo oggi è in grandissimo pregio la cavaleria ; de' quali alcuni portano al petto la croce per segno che siano cavalieri cristiani : con quel segno di vittoria hanno ricevute molte memorabili vittorie contra turchi e contra Mori ; il quale è di tre colori, o bianco per dimostrar la fede, o verde per significar la speranza, o vermiglio per manifestar la carità...In tal guisa da lor son dimostrate per segni le virtù teologiche, le quali sono così proprie de' cavalieri cristiani come le morali erano de' gentili. Ma chi possede quelle tre sacre virtù non è senza l'altre: percioché, da la prudenza, da la giustizia, da la temperanza e da la fortezza sono accompagnati.
Nicolò Machiavelli, Principe, cap. 19.
Fortezza del principe
...il principe...pensi...di fuggire quelle cose che lo faccino odioso e contemnendo ; e qualunque volta fuggirà questo, arà adempiuto le parti sua e non troverrà nelle altre infamie periculo alcuno. Odioso lo fa, sopra tutto, come io dissi, lo essere rapace e usurpatore soprattutto della roba e delle donne de' sudditi : di che si debbe astenere ; e qualunque volta alle universalità degli uomini non si toglie né roba né onore, vivono contenti ; e solo si ha a combattere con la ambizione di pochi, la quale in molti modo e con facilità si raffrena. Contennendo lo fa essere tenuto vario, leggieri, effeminato, pusillanime, irresoluto : da che uno principe si debbe guardare come da uno scoglio, e ingegnarsi che nelle azioni sua si riconosca grandezza, animosità, gravità, fortezza, e, circa e' maneggi privati de' sudditi, volere che la sua sentenzia sia irrevocabile ...
N. Machiavelli, Discorsi su T. Livio, lib. 2, cap.2.
Fortezza dei pagani, fortezza dei cristiani
La religione antica, oltre a di questo, non beatificava se non uomini pieni di mondana gloria ; come erano capitani di eserciti e principi di repubbliche. La nostra religione ha glorificato più gli uomini umili e contemplativi, che gli attivi. Ha di poi posto il sommo bene nella umiltà e abiezione, e nel dispregio delle cose umane : quell'altra lo poneva nella grandezza dell'animo, nella fortezza del corpo, ed in tutte le altre cose atte a fare gli uomini fortissimi. E se la religione nostra richiede che tu abbi in te fortezza, vuole che tu sia atto a patire più che a fare cosa forte.
B. Castiglione. Il libro del Cortegiano. Lib. 4,18.
Tutte le virtù nascono dalla temperanza
Rispose il signor Ottaviano : Io non ho detto che la temperanzia levi totalmente e svella degli animi umani gli affetti, né ben saria il farlo, perché negli affetti ancora sono alcune parti bone ; ma quello che negli affetti è perverso e renitente allo onesto riduce ad obedire alla ragione. Però non è conveniente, per levar le perturbazioni, estirpar gli affetti in tutto ; che questo saria come se per fuggir la ebrietà si facesse un editto che niuno bevesse vino, o perché talor correndo l'omo cade, se interdicesse ad ognuno il correre. Eccovi che quelli che domano i cavalli non gli vietano il correre e saltare, ma vogliono che lo facciano a tempo e ad obedienza del cavaliero.Gli affetti adunque, modificati dalla temperanzia, sono favorevoli alla virtù, come l'ira che aiuta la fortezza, l'odio contra i scelerati aiuta la giustizia, e medesimamente l'altre virtù son aiutate dagli affetti ; li quali se fossero in tutto levati, lassariano la ragione debilissima e languida, di modo che poco operar potrebbe, come governator di nave abbandonato da' venti in gran calma. Non vi maravigliate adunque, messer Cesare, s'io ho detto che dalla temperanzia nascono molte altre virtù; che quando un animo è concorde di questa armonia, per mezzo della ragione poi facilmente riceve la vera fortezza, la quale lo fa intrepido e sicuro da ogni pericolo e quasi sopra le passioni umane ; non meno la giustizia, vergine incorrotta,amica della modestia e del bene, regina di tutte l'altre virtù...
B. Castiglione. Il libro del Cortegiano. Lib. 4,28.
Virtù in pace e in guerra
Tutte (le virtù) son bone e giovevoli, perché tendono a bon fine ; pur nella guerra precipuamente val quella vera fortezza, che fa l'animo esento dalle passioni, talmente che non solo non teme li pericoli, ma pur non li cura ; medesimamente la constanzia e quella pazienzia tollerante, con l'animo saldo ed imperturbato a tutte le percosse di fortuna. Conviensi ancora nella guerra e sempre aver tutte le virtù che tendono all'onesto, come la giustizia, la continenzia, la temperanzia ; ma molto più nella pace e nell'ocio, perché spesso gli omini posti nella prosperità e nell'ocio, quando la fortuna seconda loro arride, divengono ingiusti, intemperanti e lassansi corrompere dai piaceri ; però quelli che sono in tale stato hanno grandissimo bisogno di queste virtù, perché l'ocio troppo facilmente induce mali costumi negli animi umani. Onde anticamente si diceva in proverbio che ai servi non si debbe dar ocio...
G. Leopardi. Zibaldone. 3 dic. 1821.
Virtù e forza virile
Virtù presso i latini era sinonimo di valore, fortezza d'animo, e anche s' applicava in senso di forza alle cose non umane, o inanimate, come virtus Bacchi, cioè del vino,virtus virium, ferri, herbarum. V. onninamente il Forcellini. Anche noi diciamo virtù per potenza, virtù del fuoco, dell'acqua, de' medicamenti ec. V. la Crusca. Virtù insomma presso i latini non era propriamente altro che fortitudo, applicata particolarmente all'uomo, da vir. E anche dopo il grand'uso di questa parola presso i latini, tardò ella molto a poter essere applicata alle virtù non forti non vive per gli effetti e la natura loro, alla pazienza (quella che oggi costuma), alla mansuetudine, alla compassione ec. Qualità, che gli scrittori latini cristiani chiamarono virtutes, non si potrebbero nemmeno oggi chiamar così volendo scriver in buon latino, benché virtù elle si chiamino nelle sue lingue figlie, e con nomi equivalenti nelle altre moderne.
G. Leopardi. Operette morali. 24 Dial. Di Tristano e un amico.
Il coraggio di non sperare
Chi vuole o dee vivere in un paese, conviene che lo creda uno dei migliori della terra abitabile ; e lo crede tale. Gli uomini universalmente, volendo vivere, conviene che credano la vita bella e pregevole ; e tale la credono ; e si adirano contro chi pensa altrimenti : perché in sostanza il genere umano crede sempre, non il vero, ma quello che è o pare che sia, più a proposito suo. Il genere umano, che ha creduto e crederà tante scempiataggini, non crederà mai di non saper nulla, anzi di non essere nulla, né di non aver nulla a sperare.Nessun filosofo che insegnasse l'una di queste tre cose, avrebbe fortuna né farebbe setta, specialmente nel popolo : perché oltre che tutte tre sono poco a proposito di chi vuol vivere, le due prime offendono la superbia degli uomini, la terza, anzi ancora le altre due, vogliono coraggio e fortezza d'animo a essere credute. E gli uomini sono codardi, deboli, d'animo ignobile e angusto ; docili sempre a sperar bene...
A. Manzoni. Promessi sposi. Cap. 3.
Prudenza dei furfanti
Mentre il dottore leggeva, Renzo gli andava dietro lentamentecon l'occhio, cercando di cavar il costrutto chiaro, e di mirar proprio quelle sacrosante parole, che gli parevano dover essereil suo aiuto. Il dottore, vedendo il nuovo cliente più attento che atterrito, si maravigliava. Che sia matricolato costui, pensava tra sé. Ah ! ah ! gli disse poi : vi siete però fatto tagliare il ciuffo. Avete avuto prudenza : però volendo mettervi nelle mie mani, non faceva bisogno. Il caso è serio ; ma voi non sapete quel che mi basti l'animo di fare, in un'occasione.
Per intender quest'uscita del dottore, bisogna sapere, o rammentarsi che, a quel tempo, i bravi di mestiere, e i facinorosi d'ogni genere, usavan portare un lungo ciuffo, che si tiravan poi sul volto, come una visiera, all'atto di affrontar qualcheduno, ne'casi in cui stimasser necessario di travisarsi, e l'impresa fossedi quelle, che richiedevano nello stesso tempo forza e prudenza. Le gride non erano state in silenzio su questa moda.
F. De Roberto. I Vicerè. Parte I, 3.
Prudenza e paura
Il duca non se lo fece dire due volte, e andò a Palermo.Lì il partito d'azione, vinto egualmente, era tuttavia meno depresso : le speranze non eran morte o cominciavano a risorgere. Passata la paura che le ultime vicende gli avevan messa in corpo, rinatagli in cuore l'ambizione inappagata e mortificata, il duca preso di nuovo orecchio alle sollecitazioni dei liberali anche per dimostrare ai suoi concittadini che egli non meritava il lorodisprezzo. E quantunque non s'allontanasse dalla consueta prudenza, e andasse ai conciliaboli rivoluzionarii come ai ricevimenti del Luogotenente generale del Re, e tornasse insomma, con più prudenza, al gioco di prima, arrivò tuttavia a Catania la voce che egli era nei comitati agitatori e in corrispondenza cogli emigrati, e che dava quattrini per la buona causa, e che soccorreva i patrioti perseguitati. Oltre la voce, arrivarono anche i quattrini che egli mandava ai comitati locali, comprendendo finalmente che quella era la buona via, che uno come lui, senza fede e senza coraggio, non poteva far valere altro titolo se non i denari sonanti.
I. Nievo. Confessioni di un Italiano. 2,18.
La vita umana è un ministero di giustizia
La fede a' suoi tempi era almeno una idealità una forza un conforto ; e chi non aveva il coraggio di soffrire cercando e aspettando, avea la fortuna di sopportare credendo. Ora la fedese ne va, e la scienza viva e completa non è venuta ancora. Perché, dunque glorificar tanto questi tempi che i più otttimisti chiamano di transizione ? Onorate il passato ed affrettate il futuro ; ma vivete nel presente coll'umiltà e coll'attività di chi sente la propria impotenza e insieme il bisogno di trovare una virtù. Educato senza le credenze del passato e senza la fede nel futuro, io cercai indarno nel mondo un luogo di riposo dei miei pensieri. Dopo molti anni strappai al mio cuore un brano sanguinoso sul quale era scritto giustizia, e conobbi che la vita umana è un ministero di giustizia, e l'uomo un sacerdotedi essa, e la storia un'espiatrice che ne registra i sagrifici a vantaggio dell'umanità che sempre cangia e sempre vive. Antico d'anni piego il mio capo sul guanciale della tomba : e addito questa parola di fede a norma di coloro che non credono più e pur vogliono ancora pensare in questo secolo di transizione.
A. Fogazzaro. Piccolo mondo moderno. 6, 4 $ 7.
La giustizia non esiste
La signora batteva il chiodo della giustizia, dei torti che le sono pur fatti nella società del nostro tempo ; e Carlino,dopo avere rimbeccato il poeta mettendo avanti che praticamente l'avvenire non esiste ma esiste soltanto una serie di presenti, sostenendo quindi che la vera scienza della vita è il godimento e la interpretazione ottimistica del presente, uscì a direche in fin de' conti esistono infiniti concetti individuali della giustizia, ma proprio la giustizia non esiste. "A pian !! fece il giureconsulto...
Semantica della virtù. 2^ parte
2. La lingua
L'approccio linguistico può essere più sistematico e l'obiettivo insieme "tecnico" e in senso lato educativo.
Dal punto di vista tecnico, si tratta di portare i discenti a osservare e conoscere i meccanismi di formazione e di funzionamentodel lessico, a livello di struttura, e quindi fuori contesto,e a livello comunicativo, nel contesto. Qualcosa che ècerto materia di insegnamento frequente e comune nella scuola media, allo scopo di rendere il linguaggio dei ragazzi, scritto e parlato, più appropriato, più ricco, più preciso, più elegante ; si tratta, insomma, di un obiettivo generale dell'educazione linguistica.
Il valore educativo può risiedere nella particolare porzionedi lessico prescelta : quella che compone la "semantica della/evirtù", e che va vista nel contesto dell'educazione morale. Sono infatti convinto che la lingua, non meno della letteratura (e abbiamo appena visto quanto materiale di riflessione essa offra, se ben utilizzato), rappresenti un deposito importante di sedimentazioni culturali e che attingendo a esso sia possibile una riflessione sulla cosa significata, andando alla sua radice in senso anche linguistico, cioè facendo ricorso all'etimologia, così che si renda palese il senso primo e sia poi chiarito tutto il dispiegarsi in successione degli altri significati.
L'etimologia chiama in causa il latino e quindi il riferimentodei programmi vigenti alle "origini latine della lingua italiana "può trovare in questa proposta didattica una rispondenza puntuale e concreta. Non però allo scopo di sottolineare una continuità fra latino e italiano sul piano fonetico.o morfologico, certo interessante ma forse più per unospecialista che per un adolescente, o, sul piano lessicale, inseguendo una mera curiosità erudita, ma per portare luce su concetti che forse altrimenti rimarrebbero opachi e poco comprensibili. Nello spirito dellaa “philosophy for children”, prospettiva storica dunque, percorso in verticale, "à rebours" : ricondurre la parola italiana alla "famiglia"a cui appartiene. E, naturalmente, prospettiva orizzontale : la parola collocata nell'insieme delle altre che sono appartenenti al medesimo campo semantico : somiglianze, differenze. Anche mediante i meccanismi di formazione, rappresentati dai suffissi e dai prefissi: si curerà di discriminare tra i significati di paroleappartenenti a famiglie diverse : es., TEMPERANZA vs. MODERAZIONE; o tra parole discendenti dalla stessa radice : RISPETTO DISPETTO COSPETTO ; inoltre, di stabilire relazioni gerarchiche tra parole: sinonimi e contrari ; iperonimi, iponimi, meronimi. Questo generedi studio può servire a tracciare accurate distinzioni non solo linguistiche ma di sostanza ; per esempio a stabilire quali sono i difetti che hanno apparenza di virtù e quali le virtù che hanno apparenza di difetti.
Gli strumenti da usare sono, ovviamente, i dizionari : monolingue, dei sinonimi e contrari, latino/italiano, etimologico dell'italiano, etimologico del latino.
Parte del lavoro può essere fatto in classe con l'insegnante,parte in gruppo, parte individualmente a casa. Quella che segue è una parziale esemplificazione della ricerca da fare.
Ho usato i seguenti strumenti, ma l'indicazione non è cogente :
"Dizionario di Filosofia" di N . Abbagnano, UTET,1961 (= Abbagnano)
"Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana",Milano 1987 (= Garzanti)
"Dizionario Garzanti dei sinonimi e dei contrari", Milano1991 (= Garzanti sin.)
"Avviamento alla etimologia italiana", di G. Devoto,Firenze 1968, ora da A . Mondadori, più volte ristampato(= Devoto).
"Dictionnaire éthymologique de la langue latine. Histoiredes mots", di A. Ernout e A. Meillet, 1959 4^ ed. (= E.-M.).
Il Dizionario filosofico consente di costruire un primo abbozzodel quadro, con la consultazione del lemma VIRTU', da cui si apprende la distinzione tra virtù cardinali, virtù dianoetiche e virtù etiche. Per ognuna di queste, poi, si consulteranno, nell'ordine, il dizionario normale, per un primo significato generale,con la costruzione di un albero semantico, che consente la visualizzazionedella materia nel suo insieme. Segue il dizionario dei sinonimi,che permette di estendere la riflessione a una vasta gamma disignificati affini a quello fondamentale, istituendo tutta una serie di distinzioni e di precisazioni. Per sinonimi s'intendono quei termini che possiedono un fascio di tratti semantici in comune fra loro, ma poi divergono l'uno dall'altro per la loro collocabilità in contesti diversi. Per esempio la virtù della temperanza può essere sinonimo di sobrietà come pure di frugalità, ma mentre si può essere sobri nel mangiare e nel bere, si è frugali solo nel mangiare. E metaforicamente lo stiledi uno scrittore può essere sobrio, mentre non lo si direbbe mai frugale. Rispetto a esse sarà poi molto utile la consultazionedel dizionario etimologico della lingua italiana. Infine il dizionario etimologico latino aiuterà a penetrare ancora più a fondo nello scavo del significato vero della parola. Eventualmente potrà aprire la possibilità di uno sguardo sul dominio indeuropeo e quindi sulle altre lingue possibili, cioè che i ragazzi studiano o potrebbero studiare, come il greco antico, l'inglese, il francese, il tedesco, ecc.
Starà naturalmente al discernimento e al senso della misura dell'insegnante la scelta del grado di approfondimento a cui spingere la ricerca, e ciò in relazione agli interessi, alle capacità, alla situazione generale degli alunni con cui si trova a operare. E' pure superfluo sottolineare che il dizionario filosofico e quello etimologicodel latino dovranno essere usati dall'insegnante o sotto la sua guida per inquadrare l'argomento e i suoi sviluppi : non se ne può pretendere certo la consultazione diretta da partedei ragazzi ! In generale dovrebbe risultare chiaro come tutte le "piccole virtù" si riconducano in ultima analisia una delle "grandi virtù" e come tutte le grandi all'unica virtù, che consiste nell'abitudine acquisita alla ricerca e alla pratica del bene.
Darò dunque : a) la visione d'insieme, con il concettodi virtù e la classificazione delle virtù in categorie; b) un esempio di approfondimento del significato del termine designante ciascuna di esse, con riguardo al senso filosofico, a quello semantico generale, alla sinonimia, all'etimologia italianae a quella latina .
2.1 La virtù e le virtù
Secondo Abbagnano, il termine "virtù" può designare "1o capacità o potenza in generale ; 2ocapacità o potenza propria dell'uomo ; 3o capacità o potenza propria dell'uomo, di natura morale". Fermandoci a quest'ultima accezione, la virtù può essere intesa filosoficamente in cinque sensi. Riassumiamo brevemente la vocedel dizionario filosofico.
Nel primo senso, come "capacità di adempiere un compito o a una funzione", risale a Platone, che assegna all'anima diverse virtù come sono diverse le funzioni che essa assolve.Tra esse se ne distinguono principalmente quattro, che sono appunto per questo dette "cardinali" (v. sotto). La virtù, in secondo luogo, può essere concepita come "abito o disposizione razionale costante". E' la concezione di Aristotele e degli Stoici ed la più diffusa nell'etica classica. "Secondo Aristotele, la V. è l'abito che rende l'uomo buono e gli consente di far bene il suo compito proprio (Et. Nic. 2, 16, 1106a 22) ; ed è un abito razionale (ibid. 2,2 1103 b 32) nonché,come tutti gli abiti, uniforme e costante". Nel suo terzo significato la virtù è la capacità di un calcolo utilitario. Questa concezione risale a Epicuro che considera virtù "suprema, dalla quale tutte le altre derivano, la saggezza che giudica sui piaceri che occorre scegliere e su quelli che sono da fuggire e distrugge le opinioni che sono la causa delle perturbazioni dell'anima".
Ancora la virtù può essere intesa come "sentimento o tendenza, cioè come spontaneità". Soprattutto l'Illuminismo, e in particolare Rousseau, difesero questa concezione. Così per Rousseau la pietà è "una virtù naturale"che è "una disposizione conveniente a esseri così deboli e soggetti a tanti mali come gli uomini" e che precede ogni riflessione. A Kant infine, e prima ancora a Rousseau, si fa risalire la dottrina della virtù come sforzo. "Diceva Rousseau :"Non c'è felicità senza coraggio né V. senza lotta : la parola V. deriva dalla parola forza; la forza è la base di ogni virtù. La V. appartiene soltanto agli esseri deboli di natura, ma forti di volontà: per questo appunto rendiamo onore all'uomo giusto e per questo, pur attribuendo a dio la bontà, non lo diciamo virtuoso, perché le sue buone opere sono da lui compiute senza sforzo alcuno" (Emile, V)" (Abbagnano) .
VIRTU'
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cardinali dianoetiche etiche teologali
Virtù cardinali significa "principali", e risalgono alla "Repubblica di Platone", ma così le aveva denominate S. Ambrogio (De off. Ministr. 1,34 ; De Par.3,18 ; De sacr. 3,2). Fanno parte delle virtù che si dicono etiche secondo la denominazione di Aristotele.
Sono
VIRTU’ CARDINALI
prudenza giustizia temperanza fortezza
a esse si riconducono tutte le altre perché solo esse, secondo S . Tommaso, esigono la disciplina dei desideri (rectitudo appetitus), nella quale consiste la virtù perfetta.
Virtù etiche. Secondo Aristotele sono le virtù che corrispondono alla parte appetitiva dell'anima, in quanto è moderata o guidata dalla ragione (Et. Nic. 1, 13, 1102b 16) e consistono nel giusto mezzo tra due eccessi viziosi. Sono
VIRTU' ETICHE
coraggio temperanza liberalità magnanimità mansuetudine franchezza giustizia
Virtù dianoetiche (intellettive). "Secondo Aristotele... le virtù che sono proprie della parte intellettualedell'anima che, pur essendo priva di ragione, può, in una certa maniera, obbedire alla ragione stessa (Et. Nic. 1, 13, 1102b)"(Abbagnano). Sono cinque :
VIRTU' DIANOETICHE
arte scienza saggezza sapienza intelletto
Virtù teologali (o teologiche). "Virtù dipendenti da doni divini e dirette al raggiungimento di una beatitudine cui l'uomo non può giungere con le sole forze della sua natura" (Abbagnano). Esse sono :
VIRTU' TEOLOGALI
fede speranza carità
2.1.1 Prudenza
La prudenza, o saggezza, si dice in gr. phronesis , in lat.Sapientia, Prudentia ; in ingl, Wisdom ; in fr. Sagesse ; in ted.Weisheit.
Essa è "in generale la disciplina razionaledelle faccende umane ; cioè il comportamento razionale in ogni campo o la virtù che determina ciò che è bene o male per l'uomo...La S. non è la conoscenza di cose alte e sublimi, remote dalla comune umanità, come la sapienza(v.) : è la conoscenza delle faccende umane e del miglior modo di condurle" (Abbagnano). In certe lingue Sapienza e Saggezza sono designate dalla stessa parola, ma la distinzione posta da Aristotele è tuttora operante : Saggezza =pratica; Sapienza = teoria (Abbagnano, s. v. Saggezza). In greco si ha chiaramente la distinzione tra phronesis e sofìa. Garzanti distingue tra un primo significato, per cui la saggezzaè la qualità che consiste nel "non correre inutili rischi e...evitare a sè e ad altri qualsiasi possibiledanno", e questo è il senso più comune, diciamo più banale, per il quale è difficile parlare di virtù "cardinale" : sembra piuttosto una virtù"minimale". Ma col secondo significato, quello per cui la prudenza "fa discernere il bene dal male e fa seguire la retta ragione nell'operare", siamo al senso "forte"di prudenza. Etimologicamente prudenza viene da prudentia, cioè da pro-videre,"vedere prima", mentre il sinonimo saggezza si riallaccia al lat. sapere, "avere sapore", che in italiano si continua attraverso il normale saggezza, arrivato a noi per via "popolare",come pure attraverso l'"allotropo" sapienza, parola di tradizione "dotta" e quindi più chiaramente legata all'origine latina.
La sinonimia di prudenza/prudente si richiama quasi tutta all'etimologiadal lat. videre. Difatti si trova avveduto/ -ezza e accorto/ -ezza,vicino di senso ad avveduto, ma che si rifà , attraversoil participio, ad accorgere / -ersi, che risale a sua volta al lat. tardo adcorrigere e dove l'immagine non è propriamente visiva, ma spaziale : corrigo viene infatti da cum ,"con, e *regere, "dirigere, guidare". Evidente che cos'è l'oculatezza : il saper vedere, l'avere occhi, la cui radice *okw- si ritrova nel greco oph(thalmos) e nel ted. Auge.
Al primo, più corrente, significato di Prudenza, sembrano riallacciarsi cautela, circospezione, guardingo. In cautela è facile rintracciare l'etimo da cautus, partic. di caveo, "stare in guardia, guardarsi, badare" (cfr. precauzione, cauzione).Origine pure evidente anche in circospezione : *circum-spicere,"guardarsi attorno", anche con sospetto ; in chi è guardingo "l'atteggiamento di prudenza sconfina nella diffidenza; il guardingo esercita la cautela soprattutto per timore di essere sorpreso e colto in fallo" (Garzanti sin., s. v. Prudente). Guardingo è "incrocio del tema di guardare col suffisso-ingo di origine longob." (Devoto) e viene dal lat. altomedievaleguardare, che si riallaccia al franco wardon, "stare in guardia"e al ted. warten, "aspettare".
2.1.2 Giustizia
La giustizia è il "valore etico-sociale per cui si riconoscono e si rispettano i diritti altrui, come si vuole che siano riconosciuti e rispettati i propri" (Garzanti), cioè "conformità di comportamento (o di una persona nel suo comportamento) a una norma". Si rifà al lat. iustitia, da ius, "diritto". I sinonimi segnalati sono diritto, equanimità, equità, imparzialità. Diritto. Tra i suoi molti significati (v. Garzanti), importerà sottolineare quello di "complesso delle leggi che regolanoi rapporti sociali e il cui rispetto, assicurato dagli organi della giustizia, ha carattere di obbligatorietà per tutti i cittadini (diritto privato, penale, civile, costituzionale, canonico)", distinto in diritto naturale (iscritto nella natura umana) e positivo (cioè "posto, dato"),ossia le leggi storicamente prodotte dagli uomini per regolare la convivenza civile", rispetto all'altro per cui è la "facoltà assicurata dalla legge di manifestare o mettere in atto una determinata volontà o di esigere che altri agiscano in un dato modo o si astengano da un dato comportamento". Se è giusto distinguere diritto come sostantivo da diritto come aggettivo, che in italiano divergono quanto al significato, l'etimologia ne chiarisce i rapporti riconducendoli entrambi al lat. volgare *dirictus, lat. class. directus, partic. pass. di dirigere, composto di regere e dis, "con senso di provenienza e continuità" (Devoto), per cui it. dirigere significa"volgere verso una data direzione ; indirizzare, rivolgere"(Garzanti), mentre il lat. dirigere aveva ancor prima il significato fondamentale di "drizzare, porre o disporre in linea retta, allineare, far camminare diritto, far correre orizzontalmente"(Calonghi). Equità viene da aequus, che significa "piano, eguale, orizzontale" e quindi "propizio, favorevole", contrapposto a iniquus, ma poi anche "uguale : ugualmente largo ; pari, con eguali diritti" e poi "giusto, conveniente, ragionevole",ecc. ecc. (Calonghi). L'etimologia lo apparenta a aequor, -oris, che significa "piano, pianura = superficie", della campagna o del mare (Calonghi). Da qui l'immagine della giustizia rappresentata da una donna che tiene in mano una bilancia, i cui pesi sono perfettamente in equi-librio, da aequus e librare, "bilanciare" o meglio "pesare con la bilancia", che in effetti si dice in lat. libra, ma significava anche una misura di peso, cioè la libbra. Per cui librarsi significherà "tenersi in sospeso o in equilibrio" (Garzanti). C'è differenza tra giustizia ed equità ? certamente, perché l'equità è "l'appello alla giustizia in quanto diretto a correggere la legge in cui la giustizia si esprime. Questo è il concetto classico di E. quale fu chiaritoda Aristotele e riconosciuto dai giuristi romani" (Abbagnano). Poiché non tutto la legge può prevedere, per Aristotele l'equità è una virtù superiore alla giustizia intesa come diritto positivo. Mentre per Kant non è un concetto giuridico, ma solo morale. Essa non concerne i tribunali, ma il tribunale della coscienza.
2.1.3 Temperanza
Secondo il dizionario Garzanti è la "capacità di non eccedere nel soddisfacimento dei bisogni e dei desideri naturali ; nella teologia cattolica è una delle quattro virtù cardinali". Il dizionario filosofico di Abbagnano indica questi equivalenti nelle lingue di cultura : gr. Sofrosyne ; lat. Temperantia ; ingl. Temperance ; franc. Tempérance ; ted. Besonnenheit. Proseguer ichiamando Aristotele, che restringeva la temperanza alla capacitàdi moderare i piaceri del mangiare, del bere e del sesso (Et.Nic. 3, 9-12). Per Platone invece essa è "l'amicizia e l'accordo delle parti dell'anima che si ha quando la parte che comanda e quelle che obbediscono convergono nell'opinione chespetti al principio razionale di governare e così non gli si ribellano" (Rep. 3, 412 b). Sinonimi di temperanza sono : sobrietà, moderazione, moderatezza,continenza, misura, morigeratezza, frugalità e contrari: intemperanza, incontinenza, sfrenatezza, smodatezza, sregolatezza. Il Devoto rimanda, per l'etimologia, al lat. temperantia, che si riconduce al verbo temperare. Secondo l'E.-M. esso presenta due sensi. Per il primo significa "mescolare", in particolare l'acqua al vino, e quindi "moderare, addolcire, temperare"; per il secondo significa "moderarsi, astenersi". In particolare temperantia viene da temperans : cfr Cic. Tusc. 3,8,16: temperans, quem Graeci sofrona appellant eamque virtutem sofrosynen vocant quam soleo equidem tum temperantiam, tum moderationem appellare, nonnumquam etiam modestiam" ("temperante : in grecoè sofron, e la virtù relativa si dice sofrosyne: io la chiamo di solito o temperanza, o moderazione, talvolta anche modestia"). Non sembra certa l'etimologia da tempus, a meno di ammettere che tempus significhi "taglio, divisione(del tempo)". I sinonimi più importanti sono sobrietà, moderazione, misura.
Sobrietà: " qualità di chi o di ciò che è sobrio ; moderazione , misura. Sobrio : 1 non alteratodagli effetti dell'alcool ; lucido 2 temperante e controllato nel mangiare e nel bere ; parco, moderato. 3 (fig.) semplice, misurato, alieno da eccessi e superfluità" (Garzanti). Viene dal lat. sobrius, comp. di so- (v. SOLO), grado forte di se-, per es. se(curus), se(verus), prf. di privazione opposizione(v. SECERNERE) e di ebrius, v. EBBRO e cfr. UBRIACO (Devoto). Moderazione. Moderato significa :" 1 tenuto entro giusti limiti, contenuto...2 che sa moderarsi ; misurato, sobrio 3 che è su posizioni politiche conservatrici o prudentemente riformistiche, aliene da ogni radicalismo" (Garzanti). Viene dal lat. moderare, class. moderari, verbo denom. da modus, -eris "misura, forma" (v. MODESTO), incr. di un più antico modos- con modo-s. v. MODO. A sua volta modo viene dal lat. modus "misura" poi "regola", tema in-o con la rad. al grado forte da MED, da cui deriva anche modus,-eris ; v. MODERARE, MODESTO. La rad. MED è la stessa di meditari e di mederi ; v. MEDITARE e MEDICO. In ant. Iranico conserva l'antico valore medico, perché sopravvivevano le tradizioni magico-sacerdotali relative alla medicina (Devoto).
Continenza. "l'essere continente ; temperanza, moderazione"; Continente "che si contiene, sa frenare i propri impulsi e desideri, spec. quelli dei sensi ; morigerato" (Garzanti).Viene dal lat. continentia, astr. di contineri. Questo d'altra parte è composto dal perfettivo com e tenere e significa"contenersi, trattenersi". Teneo ha la stessa radice *ten- di tendo, che significa "tendere", mentre teneo ha il valore specializzato di "tenere" e, in senso assoluto,di "durare, "persistere" o "mantenersi in una posizione" (linguaggio militare) o "mantenersi in una direzione, puntare verso" (termine nautico). A contineo, oltre continentia, si riallacciano il valore assoluto continens,"che si trattiene, che si contiene" ; continuus (ma anche continuare, continuatio). Da contineo si ha pure l'aggettivoverbale contentus, che significava inizialmente "che si contiene", e poi "che si contenta di" (Devoto).
Misura. Dall'Abbagnano apprendiamo che Platone (Polit. 284 e)aveva individuato "le arti che misurano il rapporto al giusto mezzo, al conveniente, all'opportuno, al doveroso e insomma a quelle determinazioni che stanno nel mezzo tra due estremi". Era dunque la medietà il canone della virtù etica e "in questo senso la M. è uno dei concetti fondamentali della cultura classica greca ". Tra i molti significati della parola Garzanti elenca : "4 (estens) criterio di valutazione, proporzione...5 giusto limite ; modo, moderazione". Etimologicamente, viene dall'it. ant. mesura, lat. mensura, astr. deriv. da mensus, part. pass. del sistema di metiri. Il lat. metior deriva da un tema meti- "misura, combinazione mentale". E.-M. rinvia a corrispondenti nell'antico inglese, nel greco, nel sanscrito, nel gotico, nell'ittita, nell'antico russo. Rinvia quindi a mensis("mese") e senza dubbio a modus. Per cui c'è una parentela anche etimologica tra "modo, moderazione, modestia"e "misura".
2.1.4 Fortezza
La fortezza, o coraggio, è la "forza spirituale, morale "propria di chi ha vigore, perseveranza morale"(Garzanti). I corrispondenti sono in gr. Andreia, lat. Fortitudo, ingl. Courage, franc. Courage, ted. Muth. Platone definisce la fortezza come "l'opinione retta e conforme alla legge su ciò che si deve e su ciò che non si deve temere" (Rep. 4, 430 b). Aristotele la definisce come il giusto mezzo tra la paura e la temerarietà (Et. Nic.3, 16, 1115 a 4). Per Cicerone
(Tusc. 2, 18, 43) essa ha come principali attributi il disprezzo della morte e il disprezzo del dolore. E' quindi il contrario dell'angoscia (Abbagnano).
La parola coraggio viene dal provenzale coratge, cioè dal lat. volgare *coraticum, che è dal lat. tardo coratum, forma popolare di cor, cordis (che significa, certo, cuore, ma anche, metonimicamente, l'anima e per traslato mente, sentimento, ma anche senso, buon senso, senno, accortezza, intelligenza, secondoCalonghi). Sinonimi sono forza e tenacia, se riferiti all'animo, ma anche forza, robustezza (fisica), e solidità, compattezza.
Tenacia ha a che fare con tenax : è qualcosa "che tiene, che fa presa", come la pece, o che resiste alla deformazione, come il metallo. Da qui si passa al significato morale di forte, resistente, saldo nei propositi, costante (Garzanti). Raccogliendo insieme queste diverse indicazioni, potremmo dire che la fortezza, o coraggio, è la virtù dell'animo, inteso come centro della persona, sede degli affetti e dei sentimenti, quando sia dotato di forza e quindi sia resistente, perseverante, costante nei propositi e capace di equilibrio tra gli eccessi opposti della paura e della temerità. La capacità cioè di non pavere, che è lo stato di chi ha subito l'azionedi pavire, cioè "battere", in particolare in terra, da cui pavimentum. Temerario è invece "chi va alla cieca", da temere, avverbio che costituisce la forma irrigidita di ablativo di un supposto *temus, temeris, connesso a tenebrae. Il coraggio sarà dunque la virtù di non temere di essere battuti (avere paura) ma neppure di buttarsi nelle cose alla cieca (essere temerario).
La ricerca potrebbe anche non fermarsi qui e la riflessione estendersi a tutte quelle altre virtù, o doti dell'animo,che sono comunque importanti, anche se non proprio cardinali. Ne indico qui una serie, che ho raggruppato in piccoli insiemi per affinità.
Sincerità Onestà Lealtà Franchezza Schiettezza
Benevolenza Pazienza Umiltà Obbedienza Mitezza MansuetudineModestia Indulgenza
Moderazione Ragionevolezza Sobrietà Castità Continenza
Magnanimità Liberalità Generosità Altruismo
Purezza Castità
Parsimonia
Sensibilità Tatto Delicatezza
Scrupolosità Accuratezza Puntualità SollecitudineLaboriosità Coscienziosità Meticolosità
. Comenio e le virtù
Forse non è così evidente come si possa collocare e ricondurre tutte queste diverse incarnazioni della virtù alle quattro cardinali, ma si può ricorrere alla riflessioneche permettono alcune pagine di Comenio : la parola dei grandi, pur espressa in epoca e in condizioni diversissime dalle attuali, conserva un sapore di verità e di utilità.
3.1 Comenio. La figura e l’opera
A dire la verità un corso di didattica del latino dovrebbe addirittura iniziare nel nome di Comenio, il pedagogista, filosofo, riformatore religioso e scolastico moravo, che con la sua “Didactica Magna” ha fondato gli studi di didattica nell’età moderna. E’ cioè stato il primo a sistemare in una visione organica e completa le molteplici questioni e problematiche che investono il rapporto educativo nella sua dimensione propriamente scolastica, in accordo con lo sviluppo che all’epoca l’istituzione scolastica come mezzo collettivo di istruzione e di formazione si andava sempre più diffondendo, specialmente nei Paesi di cultura protestante.
Ma c’è di più. Poiché l’asse portante della scuola era per Comenio la cultura umanistica messa al servizio di una ispirazione cristiana profondamente sentita e sincera, in gran parte la didattica comeniana è didattica pèroprio della lingua e della cultura latina (verba et res!)e occupa gran parte delle opere didattiche di Comenio.
L’opera di Comenio è strettamente connessa alle vicende della sua complessa e tumultuosa biografia, di cui ci limitiamo qui a richiamare le tappe essenziali.
Giovanni Amos Comenio nacque in Moravia, probabilmente a Nivnice, paesino vicino al confine ungherese, il 28 marzo 1592. Il padre era un importante esponente della setta protestante detta “Unione dei fratelli boemi”. Dopo avere studiato a Uhersky Brod e poi a Straznice, e dal 1608 alla scuola latina di Prerov, quando si manifestò la sua vocazione religiosa, passò all’Accademia di Herborn in Nassau nel 1611, dove ebbe per maestri filosofi e teologi importanti come Giovanni Fischer (Piscator) ed Enrico Gutberlet e soprattutto Giovanni Enrico Alstedt, un calvinista che influì assai sulle sue idee pedagogiche. A Herborn, come si può dedurre da sue opere rimaste allo stato di abbozzo, già si cominciano a profilare i due grandi interessi di Comenio e cioè lo studio sistematico della lingua nazionale e il sogno di una scienza universale, che sistemasse tutto lo scibile e fornisse l’oggetto e lo scopo della didattica. La chiamò pansofia. Dopo un breve soggiorno a Heidelberg, nel 1614, a 22 anni, il primo lavoro: direttore della sua vecchia scuola dell’Unità di Prerov. Nel 1616 viene ordinato pastore e assegnato a una sede importante, Fulnek, dove anche dirigeva la scuola. Il periodo di Fulnek fu l’ultimo felice e tranquillo nella vita di Comenio (che, tra l’altro, nel 1618 si sposò), perché cominciarono nel 1621 le persecuzioni contro i protestanti dopo lo scoppio della guerra dei trent’anni. Fulnek fu distrutta dalle armate spagnole, Comenio perdette scuola, biblioteca, manoscritti inediti, dovette scappare nelle campagne e sopportare con cristiana rassegnazione la notizia della morte per peste della moglie e dei due figli piccoli. Da allora cominciò la peregrinazione di Comenio in varie città dell’Europa centrale che lo condusse, non senza avere attraversato una grande crisi mistica che lo fece aderire alle visioni millenaristiche di Kotter ed essersi risposato, ad approdare nel 1628 al rifugio polacco di Lezno, dove aveva ben attecchito, sviluppando una numerosa comunità, l’ Unione dei Fratelli Boemi. Fu a Lezno che scrisse in ceco la “Grande didattica”, poi tradotta in latino nel 1635-1636. Solo la redazione latina ebbe diffusione a partire dalla sua pubblicazione negli Opera didactica omnia del 1657ad Amsterdam. In questo periodo si acuisce anche l’interesse in Comenio per lo studio delle lingue, in particolare del latino : del 1631 è la Ianua linguarum reserata, il cui successo fu enorme e che fu diffusa ovunque, tradotta in molte lingue e più volte da lui stesso rimaneggiata. Si apre poi una feconda stagione di viaggi, pedagogici e filosofici : in Inghilterra, poi, sulla strada per la Svezia, in Olanda, dove incontra vicino a Leida Cartesio. In Svezia, finalmente, dà mano alla riforma della scuola svedese risiedendo a Elbing, città della Prussia ma vicina alla Svezia. Proprio a Elbing, tra la stesura di opere teologiche e lunghe controversie religiose, vede la luce la Linguarum methodus novissima, l’altra grande opera che Comenio dedicò alla didattica del latino e di cui pubblichiamo e proponiamo alla lettura alcuni estratti.nella sezione “materiali”. Torna a Lezno, dove è nominato vescovo nel 1650, per andarsene subito dopo in Ungheria, dove scrive numerose opere didattiche e anche qui dimostra il suo spirito pratico e realizzativo istituendo e organizzando scuole. In Ungheria concepisce e prepara un’altra grande e famosa opera, l’Orbis sensualium pictus (1659) un testo che, attraverso le immagini, mette in rapporto le res e i verba. Il primo grande libro moderno per l’insegnamento della lingua materna, imitato nei secoli successivi e tuttora bellissimo, che fa seguito ai principi delineati per lo studio del latino. E’, insieme alla Didactica magna l’opera più nota di Comenio (ed. italiana a cura di A. Biggio, Firenze, La Nuova Italia, 1993) ancora reperibile in edizioni moderne (per es. quella curata ancora da Anna Biggio, con prefazione di B. Vertecchi, Tecnodid., Napoli, 1994). Tornato a Lezno nel 1654 l’anno seguente accadde a Comenio la stessa cosa che già gli era capitata a Fulnek. Egli si era schierato dalla parte di Carlo Gustavo di Svezia, alfiere della causa protestante contro gli Asburgo cattolici, che fu disastrosamente sconfitto. Lezno fu distrutta, i manoscritti di Comenio dispersi e Comenio si dà alla macchia finché non lo raggiunge l’invito di Lorenzo de Geer a recarsi nella libera Amsterdam. Proprio qui, a spese dello stesso suo protettore de Geer, può curare l’edizione (1657) dei famosi Opera Didactica Omnia, di cui l’Accademia cecoslovacca delle Scienze, in occasione del tricentenario del 1957 ha pubblicato la riproduzione anastatica, rendendo così possibile la conoscenza anche di altre opere di Comenio oltre la Didactica magna e l’Orbis pictus. Il grande educatore continuò a scrivere, a lottare, a polemizzare per ancora 13 anni, quando la morte lo colse nel 1670. Fu seppellito a Naarden vicino Amsterdam.
3.2 Letture comeniane
La Didactica magna è l'opera più nota di Comenio ed è facilmente reperibile ; le altre sono, credo, inedite in Italia. Si può leggerle nella ristampa anastatica (Praga 1957, in due voll. più un volume di commenti e indici) a cura dell' accademia delle Scienze cecoslovacca, condotta sulla raccolta ordinata dallo stesso Comenio degli Opera Didactica Omnia(ODO), e pubblicata, come abbiamo appena detto, ad Amsterdam nel 1657.
Segnalo come particolarmente degna di discussione la decisa presa di posizione del grande educatore sulla virtù dell'obbedienza, intesa come parte della fortezza: dopo due secoli di Romanticismoe cinquant'anni di permissivismo, forse può essere un invito a rivedere, mutatis mutandis, certe incrollabili certezze moderne. Per non parlare della temperanza, che di tutte sembra oggi la virtù più negletta (vedi l'uso della droga, ma anche del fumo, e dell'alcool). In particolare la cultura giovanile è imperniata sulla trasgressione e sull'esaltazione del contrario di queste virtù. Ma, come diceva anche Platone, la virtù si può insegnare e, quindi, si deve. O almeno, per Comenio questo è ancora un assioma certissimo.
Comenio. Didactica magna. Cap. XXIII.
[ 1-2. Il capitolo si occupa dell'educazione morale e religiosa, che è lo scopo ultimo del sapere e che deve essere necessariamente introdotta nelle scuole.] 3. La disciplina della formazione morale si basa su sedici regole. La prima è: I. bisogna radicare nei giovani tutte le virtù, senza nessuna eccezione. E infatti non si può fare nessuna eccezione in materia di ciò che è retto e onesto senza che si produca un vuoto e un turbamento dell'armonia.
4. II. In primo luogo sono fondamentali quelle che si usa definire cardinali: prudenza, temperanza fortezza e giustizia.
Ciò per evitare che venga innalzato un edificio senza fondamenta e che le parti non siano ben saldate fra di loro perché non bene stabilite sulle loro basi.
5.III. La prudenza verrà appresa grazie a un buon insegnamento, consistente nell'imparare a distinguere con esattezza le cosefra loro e il loro differente valore. [...]
6. IV. Quanto alla temperanza, la imparino e si abituino a osservarla nel prendere cibo e bevanda e nel sonno e nella veglia, nelle fatiche e nei divertimenti, nel parlare e nel tacere per tutto il tempo di scuola. E qui bisogna rinfrescare sempre ai giovani la regola: mai nulladi troppo: così si otterrà di fermarsi sempre primadi provare sazietà e nausea.
7. V. La fortezza bisogna che la imparino superando se stessi: e cioè reprimendo il gusto di andare qua e là o di giocare al di fuori e oltre il tempo consentito e frenando l'insofferenza, l'aggressività, l'ira.[...] E poiché i ragazzi non sono capaci di un così responsabile e razionale modo di procedere (almeno non tutti), si compendierà chiaramente l'insegnamento riguardo alla fortezza e al dominio di sé nell'indurli all'abitudinedi fare la volontà altrui piuttosto che la propria : ossia obbedendo ai superiori prontissimamente in tutte le cose. "Chi sa ben allevare i cavalli, dice Lattanzio, insegna loro anzituttoa obbedire al morso : pertanto chi vuole educare i ragazzi, prima di tutto li abitui a essere ubbidienti agli ordini". Quantasperanza si può avere in essi per ricondurre a un miglio restato le follie umane, di cui il mondo è sommerso, se si abituano a essere tolleranti gli uni con gli altri, a fare tutti tutto ciò che è loro proprio secondo ragione findall'inizio della vita !
8.VI.. La giustizia l'impareranno non danneggiando nessuno, dando a ciascuno il suo, fuggendo le bugie e gli inganni,
mostrandosi premurosi e amabili. A questo devono essere educati, come a ciò che precede, nei modi e coi criteri stabiliti dalle regole che seguono.
9. VII. La fortezza può essere di due tipi e cioè una onesta libertà di parola e la capacità di sopportare le fatiche e sono entrambe necessarie principalmente per i giovani. Poiché infatti la vita deve trascorre nei rapporti sociali e nel lavoro, bisogna insegnare ai giovani ad affrontare gli uomini e qualunque onesta fatica : così che non diventino esseri umbratili o misantropi, dei mangioni pigri, inutili pesi dellaterra. La virtù si alimenta coi fatti, non con le prediche.
10. VIII. L'onesta libertà di parola si acquista con la frequente compagnia delle persone per bene e con l''abitudine a parlare di qualsiasi cosa si debba in loro presenza. [cita l'esempiodi Alessandro, abituato da Aristotele a parlare di tutto con tutti: lo stesso deve fare il maestro coi suoi allievi].
11. IX. Quanto alle fatiche, i giovani acquisteranno la capacità di sopportarle se saranno costantemente occupati, sia in cose serie che leggere. A questo scopo infatti non ha alcuna importanza che cosa e perquale fine si faccia, purché si faccia. Anche col gioco si può imparare ciò che serva ad apprendere cose serie, quando l'occasione e la situazione lo richieda. Siccome dunque quel che si deve fare si impara facendo... anche il lavoro s'imparerà lavorando , in modo che le continue attività mentali e fisiche (tuttavia moderate) si traducano in laboriosità e l'uomo operoso consideri intollerabile l'ozio inoperoso. E allora sarà vero il detto di Seneca che la fatica è il nutrimento degli animi nobili
12. X. Quella virtù sorella della giustizia, e cioè la prontezza e la generosità nel servire gli altri, nei fanciulli si deve istillare fin dagli inizi. Sta attaccata infatti a una natura corrotta un vizio tetro, l'egoismo, per cui ognuno vuole solo ciò che serve a lui, trascurando completamente gli effetti sugli altri. E ciò è fontedi diversi turbamenti nelle umane cose, giacché ciascuno si occupa delle cose proprie posponendovi la considerazione del bene comune. Si deve dunque inculcare nei giovani con cura quelloche è lo scopo della nostra vita, e cioè che noi non siamo al mondo per noi soli ma per Dio e per il prossimo, e cioè per la vita sociale : in tal modo si abituino veramente fin da bambini a imitare Dio, gli angeli, il sole e tutte le creature più nobili, cioè a desiderare di giovare col proprio aiuto al maggior numero di persone e di operare in loro favore.[...].
Comenio dedicò allo studio della lingua e degli autori latini, cioè alla Eruditio scholastica , un corso completo,costituito di Vestibulum, rerum et linguae fundamenta ponens ; Ianua, rerum et linguarum structuram exhibens e Atrium, rerum et linguarum ornamenta exhibens. Della Ianua fa parte una sortedi enciclopedia, chiamata Ianualis rerum et verborum contextus, historiolam rerum continens. La Ianua si compone di 100 capitoli, di cui il 1o è l'"ingresso" e il 100o l'"uscita".I capp. 2-99 il transitus.
Questo si suddivide nelle tre parti : Natura (capp. 2-31), Uomo (capp. 32-98), Dio (cap 99). Nella seconda parte, tra le arti umane subtilissimae, si distingue la Filosofia e, in essa, quella pratica, cioè l'etica. I capitoli LXI-LXX sono appunto dedicati all'etica nelle sue diverse articolazioni. L'interesse di questa trattazione consiste nel fatto che l'insegnamento dell'etica viene a costituire una parte di quello della lingua latina. I diversi concetti morali vengono spiegati a partire dai significati, presentati con opportune distinzioni e precisazioni, delle parole latine corrispondenti. Nella concezione didattica di Comenio, infatti, res e verba sono sempre compenetrati. Talora si arriva alle parole dalle cose, come nell'Orbis pictus (cheperò non fa parte degli ODO, ma fu molte volte pubblicatoed ebbe un'immensa fortuna per tutto il Seicento e il Settecento),dove il punto di partenza è addirittura costituito da immagini appositamente dipinte per arrivare alle parole, sempre inserite in brevi enunciazioni ; altre volte invece, e precisamente in opere destinate, come appunto la Ianua, ad allievi più avanzati, il percorso è tutto interno al linguaggio : che si fa così insieme miniera di indicazioni sulle cose, strumento per significarle, obiettivo dell'apprendimento, medium, ancora,dell'insegnamento. Le distinzioni, infatti, vengono condotte sulle parole latine e hanno di mira l'apprendimento del latino : le parole man mano studiate sono in corsivo, posto dallo stesso Comenio.
Comenio. ODO. Vol. II. Ian. Contextus. Coll. 542-551.
LXI. Etica
Importanza dello studio dell'etica 601 La virtù è fondamento della vita felice 602 La radice della virtù è nell'intelletto 603 Natura del vizio 604 Gradi del vizio605 I tre requisiti della cura di sé 606 Divisione dell'etica in cinque parti 607
601 La parte più importante della filosofia è l'etica perché insegna all'uomo come dominare se stesso, come possa vivere e
morire senza perturbazioni dell'animo, sanonel corpo, con la coscienza tranquilla e senza essere di peso a sè o agli altri e senza alcuna forma di dannosa indigenza(col favore di Dio).
602 Vuoi sapere anche questo ? te lo dirò in breve : saggezza,virtù, innocenza sono le cose che danno all'uomo tranquillità e gioia, che lo rendono amabile e accetto. Invece la stoltezza, il vizio, la cattiveria lo turbano e lo rendono meritatamente odioso e biasimevole.
603 Ma lo studio delle virtù non può essere cacciato dentro di noi con semplici precetti né l'odio per i vizicon semplici proibizioni, lodi e biasimi ; anzi, neppure con premi e castighi bisogna pensare di avere penetrato quanto in noi la virtù formi l'immagine di Dio e quanto il vizio la distrugga.
604 La virtù consiste nella giusta misura, il vizio nell'eccesso o nel difetto, è comunque un trasgredire, per quanto ci siano gradi diversi di trasgressione.
605 Certo un'azione disonesta fatta senza riflettere è una colpa ; se ci si è pensato, è un delitto ; se si è fatto apposta, cattiveria ; se in misura enorme, scelleratezza(vergogna) ; se con cattiveria, perché faccia del male ad altri, perversione ; ciò che è perverso non havergogna della sua cattiveria e chi non resiste all'abitudine che insensibilmente s'insinua in lui, diventerà incorreggibile, perderà se stesso e insozzerà il suo nome di una macchia indelebile.
606 Se vuoi condurti bene devi conoscere prima 1 l'origine delle inclinazioni naturali, per non ignorare dove esse ti trascinino e come si debba seguirle o resistere a esse perché non escano dai limiti ; 2 gli oggetti, verso i quali sono attratte le tue inclinazioni naturali ; che sono tu stesso, il prossimo, Dio ; 3 gli allettamenti e gli stimoli, che ci traggono da unaparte o dall'altra.
607 La cosa più importante sarà di essere prudente in tutte le cose che intraprendi : verso te stesso particolarmente cauto ; verso il prossimo equo ; verso Dio riverente ; infine nel bene integro, sincero e costante.
LXII Prudenza
Concetto generale di prudenza 608 suoi requisiti 609 quale fine delle azioni si debba prestabilire 610 quali mezzi si debbanoscegliere 611 quale criterio si debba adottare nell'uso dei mezzi 612 chi agisce imprudentemente ; il triplice oggetto della virtù.
608 La prudenza consiste nel fatto di non pensare o non dire o non fare mai nulla a vuoto o con incertezza, ma tutto con circospezione: apprezzando qualsiasi cosa al suo giusto valore (la grande di gran valore, la piccola di piccolo) e ricercando i beni così da raggiungerli ed evitando i mali così da sfuggirli.
609 Se è questo che vuoi, guarda dovunque sia al fine,distingui i mezzi, sta attento all'occasione perché non ti sfugga ; cioè valuta 1 che cosa si deve desiderare o intraprendere 2 se si debba raggiungerlo in questo o quel modo 3 che ostacoli potrebbero opporsi, se non li si previene .
610 Il fine sia sempre qualcosa di veramente onesto e utile e insieme (se possibile) piacevole ; tale che una volta raggiuntolo non te ne possa vergognare : tieniti sempre lontano da ciò che è dannoso, rinuncia a ciò che è superfluo e se è possibile la scelta tra più cose, preferisci al bene il meglio, al meglio l'ottimo.
611 Bada ai mezzi per quanto possibile 1 certi e infallibili ; 2 facili da usare (il difficile si ritiene impossibile) ; 3 in numero minore più che maggiore: perché in qualche caso non siano tra loro d'impaccio.
612 Una volta prestabilito il fine e indicati i mezzi, perché tutto ciò non sia vano, prevedi anche i modi per usare bene dei mezzi : in questo campo se prevedi un qualche impedimento, previenilo tempestivamente e perciò comincia velocemente, prosegui cautamente, affrettati a concludere speditamente per evitare di cadere all'inizio (agendo prematuramente) o di attardarti durante la corsa o di desistere prima di raggiungere la meta.
613 Così se saprai agire in ogni situazione, sarai preveggente: anche se (per l'incostanza delle cose) talora la nostra circospezioneci inganni, non potrà tuttavia farlo sempre : come fa a coloro che sono insensati, che ricercano cose illecite ; e pazzi,che si gettano a imprese impossibili ; e avventati, che trascurano le occasioni di fare ; e sciocchi, che cominciano molte cose,ma non portano nulla a compimento.
614 Ma parliamo delle virtù una per una perché tu veda partitamente quali sono i tuoi doveri verso te stesso, ilprossimo e Dio.
LXIII Diligenza
In che cosa l'uomo deve temperarsi 615 in che modo nelle fatiche 616, 617, 618 in che modo si debba fuggire la pigrizia 619.
615 Devi a te stesso la cura, cioè una cauta e assidua attenzione per la conservazione di te stesso : ed essa consiste nella
moderazione delle fatiche, dei desideri, delle avversità.
616 Delle fatiche : per evitare che sfuggendo a esse ti arrenda alla pigrizia e che tu disponga la tua vita in modo da essere inutile a te e a gli altri ; o viceversa che per l'eccesso di fatiche tu fiacchi le tue forze e ti danneggi o anche ti ammazzi.
617 Fuggi entrambi questi estremi, ma di più tuttavia la pigrizia e l'indolenza, perché è più facile scivolare nel peccato da questa parte : comincia presto a essere laborioso e cessa tardi, tutto andrà bene.
618 Mentre gli altri si preoccupano delle proprie cose, tu non trascurare te stesso : non sottrarti a nessuna fatica onesta o non sfuggirle di nascosto ma affrontala alacremente e con diligenza e costanza persegui ciò che hai cominciato (senza tergiversare e differire) fino a portarlo a compimento.
619 I pigri sono sempre in festa (come dice il proverbio) anche nei giorni feriali : invece tu sii operoso anche nel riposo :cioè mentre ti concedi il riposo (giacché è permesso a chi è stanco riposare, non oziare) non essere indolente, ma riprendi velocemente le stanche forze.
LXIV Temperanza
Ci si deve guardare dalle tentazioni 620 di tre tipi 621 latemperanza si mostra nel tenore di vita 622 e l'intemperanza 623,624 desideri impuri 625, 626 e la castità 627 il male dell'avarizia628 e la frugalità 629 l'ambizione 630 e la modestia 631 la curiosità 632 e la temperanza nel conoscere 633
620 La philautia (egoismo) è innato in noi come il desiderio di ciò che ci fa piacere : ma bisogna tenersi lontani dalle tentazioni, che sogliono attirare i nostri desideri in modo che rimaniamo impigliati in cose che non riguardano la vera felicità e dimentichiamo i veri beni, facendo prima quello che si devefare dopo, noi non facciamo uso della vita ma la consumiamo :anzi, non la consumiamo neppure, ma semplicemente ci agitiamo.
621 Questo accade quando, assecondando smoderatamente la bramadi piaceri o ricchezze od onori o della scienza, scivoliamo nei vizi tetri, la gozzoviglia, la lascivia, l'avarizia, l'ambizione smodata, la curiosità sfrenata.
622 Sii dunque temperante e sobrio, astieniti da cibi superflui: quando hai fame, mangia ; quando hai sete, bevi, quanto basta; tu che fai una vita di studio o comunque sedentaria, contentati del pranzo e della cena, lascia la colazione e la merenda aglioperai, perché il corpo per l'eccesso di sazietà impigrisce e s'inselvatichisce, lo spirito invece diventa incapace di affrontare i suoi compiti.
623 Guarda infatti i voraci e beoni mangioni e ghiottoni comea forza di mangiare consumino le proprie sostanze ! e i golosi sporcaccioni, quanto si ingozzino tutti i giorni sbevazzando e riempiano insaziabili le loro pance ! Ubriachi come bruti schiamazzano, gridano, vengono alle mani, vacillano, scivolano, scaracchiano, sputano e (chiedo venia) pisciano, scoreggiano, tirano peti, vomitano e soltanto non ribevono quello che hanno vomitato, quei begli ometti !
624 Che altro ? come la mente degli astemi è agile, così la follia ottunde e rende furiosi i beoni (gli avvinazzati diventanoturbolenti, gli ubriaconi violenti) come pure gli eccessi del giorno prima disturbano gli ubriachi il giorno dopo ; gli ubriaconi sono tormentati da tremiti, vertigini, artrite e altre malattie dolorose e dolorosamente ne sono privati della vita. Ecco le dolcezzedei crapuloni !
625 Che dire dell'incontinenza della libidine ? contiene in sé la stessa perdizione ma una vergogna maggiore : darsi alla lascivia è da animali (per quanto gli animali si accoppino soloper generare) : quanto vergognosa porcheria, che l'adultero insozziil letto altrui, il donnaiolo il suo e che il concubino mantenga l'amante, che il crapulone vagabondi per i lupanari, la meretrice prostituisca la sua pudicizia, il lenone e la ruffiana allettino e insudicino altri. E insomma ! sono tutti detestabili ed esecrandi.
626 D'altra parte non solo gli adultéri (o gli incesti, gli stupri, i libertinaggi, gli amplessi illegittimi) ma ancheogni lascivia sessuale, i baci indecenti, le canzoni d'amore, le conversazioni invereconde, non di meno le fantasie oscene,sono tutte cose impudiche e insozzano l'anima.
627 Sii casto, pudico, incontaminato ; sia lontana da te l'impudenzanei gesti, l'oscenità nelle parole, l'imprudenza sfacciata nelle azioni e, perché nessuna sporcizia ti contamini, la tua castità aneli alla vita matrimoniale ; non impazzire perdendoti appassionatamente dietro le donne.
628 Lo smodato desiderio di possesso genera l'avarizia, un male insaziabile, perché l'avaro non è mai sazio di ricchezze(è preso dal timore di mancare del necessario e si affatica con mezzi buoni e cattivi per arricchire) anche se possiede borse piene zeppe di denari e ceste piene di vestiti e scrigni pieni di gioielli e suppellettili di ogni tipo, tuttavia ha paura della povertà e perciò nell'abbondanza prova la penuria: infine tuttavia ciò che si è malamente acquisito malamente lo mandano in rovina gli eredi prodighi.
629 Sii frugale così da rifuggire sia la tirchieria chela prodigalità. Non ricercare smoderatamente le ricchezze,non ammassarle ansiosamente, non disprezzarle stupidamente o prodigamentema risparmia e tutto ciò che ricevi e spendi annotalo nellibro delle entrate e delle uscite ; avrai abbastanza se non sarai povero e la parsimonia stessa sarà il tuo tesoro.
630 Il desiderio di emergere spinge gli uomini all'ambizione, all'arroganza, alla superbia, alla presunzione ; così attribuendosi meriti eccessivi o insuperbiscono in silenzio o vantano sé e le proprie cose, le ostentano, le innalzano eccessivamente e davanti a tutti, senza freni ambiscono a cariche e titoli e aspirano smisuratamente all'approvazione della folla, talvolta anche in modo ridicolo, vanagloriosi come sono.
631 Sia tua lode la moderazione : tieniti le tue qualità per te, senza ostentarle ; e cura di essere, più che di sembrare, degno d'onore. Se ti si offre un onore degno di te, accettalo con rispetto, altrimenti, se non è adatto a te, rifiuta con moderazione.
632 L'avidità di conoscere è colpevole e si ha quando un intrigante che desidera sapere molte cose oltre misura e non è capace di accontentarsi di quello che sa, si immischia in tutto, va in caccia delle minime voci da ogni parte e cerca di scoprire quello che è nascosto e così porta noia agli altri e a sè : anzi questa curiosità spinge taluni al punto che (orribile a dirsi !) per brama di onniscienza hanno fatto un patto con Satana.
633 Frena il desiderio di scienza : impara non cose in gran quantità ma scelte, non futili, ma utili (certe è meglio ignorarle) e ciò che non ti riguarda, smetti di volerlo sapere : così starete in pace tu e gli altri.
LXV Coraggio
634 Finora abbiamo visto come si debba evitare che allettamenti piacevoli ci allontanino dalla via delle virtù : segue ora come si debba fare per non essere sviati dai timori dovuti a difficoltà, pericoli e avversità.
635 Per questo occorre fortezza d'animo, capace di vincere ogni cosa per mezzo dell'equanimità, della magnanimità e della pazienza.
636 Essere equanime significa rimanere indifferente di fronte a ogni evento, e cioè non esaltarsi per i casi fortunati e non
deprimersi per la sfortuna : essere magnanimo significa non abbattersi davanti agli infortuni improvvisi, nei quali si vede in pericolo sè e il proprio scopo ma cercare la via o per evitarli prudentemente o, se si vede che sono inevitabili, per superarli impavidamente; essere paziente vuol dire sopportare con coraggio il male a cui non si è riusciti a sfuggire e, senza deviare perciò dalla retta via, fare il callo a tutto.
637 Il pusillanime al contrario si gonfia nei momenti felici e perde animo nelle avversità ; si abbatte davanti agli eventi imprevisti e trema e non sa dove rivolgersi e sussulta come una donna di fronte a qualsiasi rumore : travolto dalla disgrazia la crede cosa intollerabile e riempiendo il mondo di lamenti, piange indecentemente, urla, si lamenta, si strugge nella tristezza e così, per la sua impazienza raddoppiando le proprie disgrazie,vi soccombe.
638 Stoltamente tuttavia gli insolenti, per non essere tacciati di pusillanimità, temerariamente si mettono in faccende difficili, di cui non sono all'altezza, e fidando sulla loro temerità vanno in cerca di pericoli che potrebbero essere evitati e non c'è nulla che non osino : per questo si ritirano sconfitti e dopo osano appena borbottare o aprir bocca.
639 Tra il forte, dunque, il pigro e il temerario, che differenza c'è ? il primo compie i doveri del suo stato, il secondo li trascura, il terzo si infiamma per ciò che non lo riguarda; il primo agisce con sollecitudine, il secondo con indolenza, il terzo con precipitazione ; il primo con diligenza, il secondo con debolezza, il terzo con superficialità ; il primo con tranquillità, il secondo sbadigliando, il terzo disordinatamente; il primo senza rimandare nulla, il secondo rinviando tutto, il terzo prendendo e riprendendo in mano i diversi compiti in modo discontinuo ; il primo infine non è mai privo di forza, il secondo non smette mai di essere fiacco, il terzo non smette mai di cambiare : ora si ferma, ora si riscuote, ora riprende in mano ciò che ha smesso.
640 Tu se (fidando in Dio) sarai stato solerte per le cose oneste, impavido (imperterrito) davanti agli ostacoli e incrollabile di fronte alle avversità, dovunque otterrai completa vittoria.
LXVI Umanità
Le tre leggi della convivenza umana 641, 642. Le sette parti della umana società 643. Modestia 644, 645, 646. Affabilità 647.
Lealtà 648. Sincerità 649. Gentilezza 650,651. Socievolezza 652. Mansuetudine 653.
641 Nessuno di noi nasce per sé solo, la necessitàdella convivenza ci tiene insieme secondo una triplice legge da cui ciascuno è obbligato.
I. Non danneggiare nessuno.
II. Dare a ciascuno il suo.
III. Giovare spontaneamente a chiunque sia possibile.
642 Otterrai questi tre obbiettivi se farai luogo 1 alla umanità, non offendendo o rattristando nessuno ; 2 alla giustizia,
non ledendo il diritto di nessuno ; alla benignità, facendodel bene a chi potrai.
643 Per evitare offese sarà utile mantenere nei confrontidi tutti modestia, affabilità, lealtà, sincerità, gentilezza, cortesia, mitezza.
644 Essere modesto significa essere umile, non arrogante ; rispettoso, non sfacciato ; affabile, non litigioso o astioso ;taciturno, piuttosto che loquace ; serio, piuttosto che frivolo (è infatti sgradito il chiacchierone pettegolo che non teme di parlare di fatti e misfatti ; e il ciarlone che ciarla di sciocchezze da vecchi ; e il chiacchierone futile che parla a vanvera di segretia lui affidati; e coloro che intervengono a sproposito : tu dunque,quando non è necessario parlare, taci : non ci si pente mai di avere taciuto).
645 Soprattutto evita con gli altri il disprezzo e l'ostilità senza ragione o l'aggressività o le offese o di recare molestia o di irritare presuntuosamente o di diffamare o di ridicolizzare; deridendo se presenti o calunniando se assenti (le calunnie ricadono sul calunniatore) ; usa moderazione nel lodare, e ancora di più nel criticare.
646 Hai saputo qualcosa che deve rimanere nascosto : non divulgarlo, nascondilo piuttosto che mostrarlo . Se di una cosa non sei sicuro, non dire né sì né no e tanto meno sostienila con calore o respingila con decisione ; invece se si diffonde una certa diceria, oppure c'è chi racconta, persuade, dissuade, esorta o diffida, non contrastare caparbiamente e non insistereostinatamente perché sia la diffidenza che la credulità sono ugualmente dannose e ogni insistenza nella contraddizione odiosa.
647 Sarai affabile se non rifiuterai di frequentare ogni personaper bene (nobile e non) e se, da chiunque tu vada o oltrepassi o incontri, lo saluterai amichevolmente ; e al suo gentile saluto, se tu restituisci il saluto ; e quando se ne va via da te, se lo accompagni in qualche posto e quando lui si rivolge a te e ti fa una domanda, se tu gli rispondi con dolcezza, sia in sensopositivo che negativo : così potrai essere amico di tutti, anche se non in confidenza con tutti.
648 Mostrati leale con chiunque ti capiti di frequentare, senza astuzia e senza malizia : non sospettare facilmente il male, non incolpare un altro di nessun male . Se un amico ha fatto qualcosa di sbagliato, ammoniscilo, biasimalo, correggilo ma con dolcezza: sii alieno dall'inganno e dal sospetto, come pure dalla simulazione.Dì lealmente le cose come stanno e lascia l'adulazioneagli ipocriti ; l'adulatore finge lealtà con carezze e inganni : all'apparenza è amico, in realtà èun traditore fraudolento, un furbo scaltro.
649 Procura di essere reputato sincero : ti sarà facile se eviterai sempre di mentire, se non inventerai nulla con nessuno, non farai promesse solo a parole, non farai giuramenti facili. Se poi hai giurato, devi mantenere : perché il bugiardo(e chi giura e spergiura) per il suo spergiuro viene punito con la perdita di ogni credibilità per i giuramenti passati e presenti. I bugiardi, che inventano menzogne, li detestiamo.
650 Essere gentile vuol dire stare sempre attento a ciò che si conviene o non si conviene ; assumere un atteggiamento cortese, privo di rozzezza. Dove si piange, bisogna piangere,dove si ride, ridere ; dove si scherza, aggiungere nelle nostre azioni e nei nostri discorsi arguzie e scherzi festosi (è noioso chi non sa inventare scherzi convenienti né sopportarequelli altrui).
651 Occorre tuttavia fare attenzione a non essere sfacciatamente insolenti e a non irritare gli altri con sarcasmi e motti pungenti e a non sorridere scioccamente a tutti e a non sghignazzare senza spirito, come fanno gli imbecilli : ma avere un sorriso luminoso sarà piacevole prova della tua cortesia. Chi deride per abitudine prende in giro gli altri stupidamente ; il buffone si abbandona alla bassa adulazione ; il pagliaccio mostra disprezzoe scherno a chi attacca, e storce la bocca, mostra la lingua, fa il becco di cicogna con le mani, mostra il sedere e fa altri tipi di sberleffi.
652 Essere socievole vuol dire vivere tranquillamente con i tuoi vicini, amici, concittadini, conterranei : non invidiare a nessuno i suoi successi, congràtulati con loro ; non permettere che durino le liti che siano sorte perché non degenerino nell'odio e nell'inimicizia ; i litigiosi disputano, litigano, vivono in perenne discordia ; i lamentosi piangono e si lagnano sempre di qualcuno.
653 Essere mite significa non essere irritabile né irremovibile, incline non al ribollire dell'ira ma neppure alla sua repressione; non a restituire le offese, ma a sopportarle . Hai ricevutoun danno da qualcuno ? sii indulgente e cerca di farlo vergognare; se si pente di ciò che ha fatto, scusalo, perdona e giustifica la sua colpa. Se l'offesa viene da te non vergognarti di riconoscerla e parlane e chiedine perdono, non per finta, ma con sincerità: così ti renderai tutti completamente amici.
654 Ma essere iracondo e privo di autocontrollo e andare subito in escandescenze e fremere, infuriarsi, minacciare, maledire, scagliare imprecazioni, ribattere alle accuse con altre accuse, alle percosse con altre percosse, a che serve ? sconvolge le coseancora di più ed esaspera gli altri fino alla crudeltà bestiale, che si potrebbe solo a stento reprimere, come si vede nei casi di omicidio : ma tu fuggi lontano da simile follia.
655 L'animo generoso è padrone di sé, anche se è capace di indignarsi di fronte alle malvagità e rimprovera chi fa il male, ma senza adirarsi ; è contrario, non nemico; preferisce la mitezza alla violenza ; la benevolenza alla ostilità; placare tutti, senza irritare nessuno e così essere in accordo con tutti, senza essere in disaccordo con nessuno.
LXVIII Giustizia
Giustizia duplice 656 commutativa 657 distributiva 663, ecc.
656 La vita sociale degli uomini consiste soprattutto in un sistema di scambi e nella distribuzione tra persone di doveri, premi, pene : in entrambi i casi si esercita l'imperio della giustizia commutativa e distributiva, capace di mantenere la proporzione(o congruenza) tra cosa e cosa e tra persona e persona.
657 Essere giusto dunque significa non volere ciò che appartienea un altro né appropriarsene a sua insaputa ; restituire il deposito e non negarlo e ancor meno giurare sulla sua inesistenza,perché questo è disonesto come rubare.
658 E ciò che si riceve in prestito va restituito intatto, senza danneggiamenti e poi, nella misura del possibile, senzadeterioramento : per ciò che si scambia (si dà in cambio) si restituisce qualcos'altro, ma di pari valore.
659 Se ti si chiede uno scambio, fallo pure ; soprattutto se c'è reciproco impegno formale : chiedi tuttavia un impegno scritto di pugno, o un pegno, o un'ipoteca o altra cauzione, perché bisogna cautelarsi e perché gli uomini sono mortali e la loro lealtà malcerta.
660 Ma una volta pagato il debito, cancella il nome del debitore e rilascia la ricevuta, in cui tu attesti di essere stato pagato e di avere ricevuto il pagamento oppure rilascia l'accettazione, in cui attesti di essere stato pagato e di avere ricevuto il pagamento oppure rilascia l'accettilazione, in cui attesti di essere soddisfatto in un modo qualsiasi tra voiconvenuto.
661 Fa offesa a se stesso chi si carica di debiti al punto di essere infine costretto a cedere i suoi beni al creditore ; agli altri poi (fa offesa) chi esige (come l'usuraio) interessi illeciti al di sopra del tasso legale : ma chi impoverisce il debitore(con l'usura sull'usura) è un usuraio tristissimo.
662 In breve : agisci con giustizia, non volere niente che siad'altri, sii costante nelle tue promesse e nelle tue azioni (nelcaso di fatti volontari o di transazioni con chiunque o di richieste e a qualsiasi condizione o eccezione) : non dare modo a nessuno di lagnarsi di te.
663 Nell'attribuire benefici mantieni sempre un equilibrio : approva, loda, promuovi chi agisce lodevolmente ; rimprovera, biasima chi non è in alcun modo degno di lode ; abbi compassione di chi fa il male senza sapere o al di là della propria volontà e attribuisci gli errori all'imperizia e non usare rigidamente il biasimo o l'ingiuria ma prenditela con chi fa il male di proposito, scusa invece coloro che peccano per un istinto o impulso esterno.
664 Per ottenere un favore, non ti rincresca di chiederlo tenacemente o anche di supplicare umilmente (il mendicante superbo non ricevenulla, chi chiede importunamente è odioso e non riceve nulla) : se alla nostra giusta richiesta viene opposto un rifiuto non molestare, non brontolare, non maledire.
665 Se ci sono più aspiranti a un favore dà di più a chi più merita, di meno a chi merita meno : per i favori ricevuti da chiunque mostra gratitudine e precisamente riconoscendo, divulgando, ricambiando, ricompensando o almeno ringraziando se non è possibile restituire : infatti ricambiare i favori ed essere riconoscente molte volte non è possibile.
666 Se ricevi qualcosa da qualcuno senza averlo chiesto non restituirlo decisamente per non sembrare sprezzante e per non essere accusato di ingratitudine.
LXVIII Bontà
Natura della bontà 667 modo di compiacere gli altri 668 liberalità 669 dolcezza verso tutti 670
667 Non basta all'uomo per bene rifuggire dai contrasti ; egli cerca di giovare a tutti prestando gratuitamente i suoi favori.
668 Perciò tu, se uno ha bisogno di consiglio, consiglialo; di consolazione, consolalo ; di aiuto, aiutalo ; di soldi, dagliene; di patrocinio, difendilo : suggerisci una cosa a chi non la sa, se tu la conosci : non fermare chi ti viene incontro e se tu puoi beneficare chiunque in qualsiasi maniera, non farglielo pesare : perché così non meriterai più riconoscenza; chi non è gentile vuole essere pregato o si fa aspettare.
669 Sei ricco ? sii dunque generoso con gli amici di strenne e regali : cogli stranieri, ospitale ; coi poveri, caritatevole (anche se non sei ricco, dividi il poco ; se non con larghezza, almeno con generosità) ; verso i miseri, sii misericordioso, senza irridere ma compatendo la loro disgrazia e così non aggiungendo ma togliendo afflizione agli afflitti.
670 Con l'ossequio verso i superiori, la generosità versoi tuoi pari, la dolcezza e la mitezza verso gli inferiori ti procurerai delle vere amicizie e non riceverai disprezzo dagli altri, come capita di solito agli arroganti, ai superbi, ai parassiti, anzi, ti concilierai perfino i tuoi nemici.
LXIX Devozione religiosa
671 Ti deve stare sempre e dovunque davanti agli occhi quelloche è al di sopra di tutto e dalla cui grazia soltantoa te elle tue cose possono venire benedizione e dalla cui collera possono venire invece maledizione e rovina : questo soltanto devi temere, amare in sommo grado, invocare sempre e mai peccare al suo cospetto in nessun luogo e affidargli ogni tuo bene : sicuramente Egli ti renderà magnificamente beato !
LXX Costanza
Le tre coronidi delle virtù 672 Integrità 673Sincerità 674 Costanza 675 Chiunque le aggiunge alle altrevirtù è felice.
672 Sebbene la nostra rassegna non sia completa, tuttavia tu, per apprestarti un abito di completa onestà, aggiungi come coronidi la costanza, la integrità della virtù e la sincerità.
673 L'integrità richiede la ricerca della presenza di ogni virtù capace di renderti onesto e integro in ciascuno stato o grado della tua vita o condizione : così sia la modestia, la silenziosità, la capacità di ascoltare, l'agilità, la pulizia ad adornare la tua adolescenza ; la reverenza, la castità, l'operosità, la gentilezza, la fedeltà, la tua giovinezza; l'operosità e la prudenza, la tua maturità ; la gravità, la saggezza, l'attesa e il disprezzo della morte, la tua vecchiaia.
674 La sincerità esige che si agisca senza affettazione, simulazione, in apparenza o per modo di dire ; e si faccia tutto con sincerità, con rispetto della verità e in buona fede ; che ci si mantenga, anche senza sorveglianza, puri e immuni da colpa : a questo fine e per essere più vicino alla perfezione, devi essere coscienzioso ; ogni cosa che ti sembri necessaria (anche minima) devi badare a non consapevolmente trascurarla di tua volontà.
675 La costanza richiede di permanere fermi in un proposito eccellente, anche se c'è chi tenta di farci recedere ; di essere pronti a morire piuttosto che sporcarsi e perdere il proprio onore ; se ci viene offerta un'alternativa migliore, non essere ostinati: è meglio ritirarsi che avanzare malamente.
676 Ti rendi conto di quanto stia in te essere felice, solo che tu voglia perseverare ? affrettati dunque a metterti al servizio di Dio e di te stesso ! così sarai in potere a te stesso e non tratto o travolto dal capriccio altrui ; e così, completamente consapevole di te stesso, resterai sicuro e indenne ed esulterai con moderazione.
Semantica della virtù.
A cura del webmaster
Premessa
L'occasione di ricerche e approfondimenti come quelli che qui si suggeriscono può essere offerta da letture effettuate in classe, di carattere letterario, storico, religioso, accompagnate da discussioni su temi di attualità, di politica, di costume, ecc. ; materia di riflessione può essere fornita anche dall'ascolto e dalla visione dei mezzi di comunicazione di massa, dal linguaggio dei fumetti, ecc. ecc. I versanti qui affrontati sono però quelli più congeniali alla scuola, cioè gli ambiti della letteratura e della lingua, non necessariamente in quest'ordine. Data la sede in cui è accolto, questo contributo poi non vuole essere niente più che spunto e traccia di un percorso didattico possibile,con una particolare attenzione agli strumenti da utilizzare. All' insegnante raccogliere l'invito e tradurlo nella pratica del rapporto educativo.
1. La letteratura
Quello delle virtù è stato un grande tema soprattutto nella letteratura del Rinascimento (Machiavelli, Castiglione, Tasso, ecc.). Molte opere propongono modelli di virtù, soprattutto la temperanza e la fortezza, atte a rendere il perfetto gentiluomo emulo degli antichi, capace di essere insieme politico, uomo di lettere e filosofo, secondo l'ideale di Cicerone e di Seneca. Risalta nel confronto la piattezza, lo scarso spessore semantico delle parole indicanti le grandi virtù, quale appare nei secoli successivi, in cui si fa sempre più ricorso ai sinonimi, che indicano le piccole virtù. Per esempio nei "Vicerè" di De Roberto, la prudenza si banalizza e quasi sempre significa cautela, pazienza, se non addirittura doppio gioco, "diplomazia " alla Don Abbondio.
Tutto ciò può risultare evidente grazie alla consultazione di uno strumento come il CD "LIZ 2.0" (LIZ = Letteratura taliana Zanichelli), contenente un vasto corpus di testi dalle origini ai primi del '900, che consente di avere i passi e il contesto mediante una ricerca condotta su alcune parole "storiche"e di constatare facilmente le affermazioni prima avanzate. A titolo d'esempio riporto una piccola antologia, scelta dal materiale così reperito : spetta all'insegnante utilizzarla in rapporto alla situazione della sua classe . Qui ci si limiterà a dare, attraverso il titolo premesso a ciascun brano, un'indicazione sul senso in cui esso può essere inquadrato in rapportoalla semantica della virtù. Il testo letterario consente di rivolgere una attenzione più intensa sui contenuti e di dare prospettiva storico-culturale alla ricerca propriamente semantico-lessicale, prevalentemente giocata sul piano sincronico, che segue. Il passo senecano che apre la piccola rassegna, peraltro assai noto, è segnalato da P. Veyne, Seneca, trad. it.,Il Mulino. Saggi, Bologna 1999 (ed orig. 1993), pp. 17 ss. : l'esercizio della virtù è la prima distinzione della milizia filosofica.
Seneca. Epistole 108, 13-23 (trad. Boella, Utet, Torino 1969).
Filosofia e pratica della virtù
Certo quando udivo Attalo parlare contro i vizi, contro gli errori, contro i mali della vita, spesso provavo un senso di pietà per il genere umano e giudicavo quel filosofo un essere sublimee superiore alla condizione umana. [...] quando poi cominciava a raccomandare la povertà e a dimostrare come tutto ciò che va oltre il bisogno sia un peso inutile e molesto per chi deve portarlo, sovente mi sarebbe piaciuto uscire povero dalla scuola. Quando cominciava a farsi beffa dei nostri piaceri, a sostenere la castità, la temperanza, la purezza dell'anima che si astiene non solo dai piaceri illeciti, ma anche da quelli inutili, veniva voglia di porre un freno alla gola e al ventre. Perciò alcuni principi si conservarono ben saldi nel mio animo, o Lucilio : giacché con grande ardore per tutti gli insegnamenti ero andato a quella scuola. Di poi, tornato alla vita della città, lasciai svanire tutti i buoni propositi, all'infuori di pochi. Rinunziai alle ostriche e ai funghi pe rtutta la vita [...]. Parimenti mi astengo dal profumarmi per tuttala vita poiché il corpo manda un odore più gradevolequando non ne manda alcuno ; lascio lo stomaco privo di vino enon frequento più i bagni caldi [...]. E siccome ho cominciato a dirti come da giovane mi accostai alla filosofia con slancio molto maggiore di quello di quello con cui da vecchio continuo a coltivarla, non mi vergognerò di confessare quale amore mi abbia ispirato Pitagora [...]. Pitagora [...]sosteneva che tutti quanti gli esseri sono stretti tra di loro da legami di parentela e che vi è relazione tra le anime trasmigranti da una forma all'altra [...]. In tanto Pitagora suscitò negli uomini il timore di commettere un delitto e più precisamente un parricidio, poiché essi possono assalire senza saperlo l'anima del padre o della madre o oltraggiano con un'arma o col morso, se in qualche animale alberga lo spirito di un congiunto[...]. spinto da tali insegnamenti cominciai ad astenermi dal mangiare animali [...]. Pregato da mio padre che non temeva di essere falsamente accusato, ma nutriva avversione per la filosofia, ritornai all'antica abitudine : e senza difficoltà gli riuscì a indurmi a mangiare cibi meno frugali. Attalo era solito lodare il materasso che non cede al peso del corpo ; ed io, anche ora che sono vecchio, mi servo di un simile materasso, in cui non è possibile scorgere alcuna traccia. Ti ho detto queste cose per dimostrarti con quanto ardore i principianti vadano verso tutto ciò che è bello e buono, se qualcuno li esorta e li incita.
T . Tasso. De la dignità
Virtù e cavalleria.
A quel tempo fu più tosto nome di ordine ne la città che d'alcuna dignità o maggioranza, percioché l'ordine de' cavalieri sia differente da quel de' padri ; ma ora son fatti cavalieri molti di quelli istessi che sono de l'ordine senatorio; e perché i principi e i re grandissimi sono cavalierie chi è degno di questo nome, d'ogni altro onore è stimato meritevole, senza fallo oggi è in grandissimo pregio la cavaleria ; de' quali alcuni portano al petto la croce per segno che siano cavalieri cristiani : con quel segno di vittoria hanno ricevute molte memorabili vittorie contra turchi e contra Mori ; il quale è di tre colori, o bianco per dimostrar la fede, o verde per significar la speranza, o vermiglio per manifestar la carità...In tal guisa da lor son dimostrate per segni le virtù teologiche, le quali sono così proprie de' cavalieri cristiani come le morali erano de' gentili. Ma chi possede quelle tre sacre virtù non è senza l'altre: percioché, da la prudenza, da la giustizia, da la temperanza e da la fortezza sono accompagnati.
Nicolò Machiavelli, Principe, cap. 19.
Fortezza del principe
...il principe...pensi...di fuggire quelle cose che lo faccino odioso e contemnendo ; e qualunque volta fuggirà questo, arà adempiuto le parti sua e non troverrà nelle altre infamie periculo alcuno. Odioso lo fa, sopra tutto, come io dissi, lo essere rapace e usurpatore soprattutto della roba e delle donne de' sudditi : di che si debbe astenere ; e qualunque volta alle universalità degli uomini non si toglie né roba né onore, vivono contenti ; e solo si ha a combattere con la ambizione di pochi, la quale in molti modo e con facilità si raffrena. Contennendo lo fa essere tenuto vario, leggieri, effeminato, pusillanime, irresoluto : da che uno principe si debbe guardare come da uno scoglio, e ingegnarsi che nelle azioni sua si riconosca grandezza, animosità, gravità, fortezza, e, circa e' maneggi privati de' sudditi, volere che la sua sentenzia sia irrevocabile ...
N. Machiavelli, Discorsi su T. Livio, lib. 2, cap.2.
Fortezza dei pagani, fortezza dei cristiani
La religione antica, oltre a di questo, non beatificava se non uomini pieni di mondana gloria ; come erano capitani di eserciti e principi di repubbliche. La nostra religione ha glorificato più gli uomini umili e contemplativi, che gli attivi. Ha di poi posto il sommo bene nella umiltà e abiezione, e nel dispregio delle cose umane : quell'altra lo poneva nella grandezza dell'animo, nella fortezza del corpo, ed in tutte le altre cose atte a fare gli uomini fortissimi. E se la religione nostra richiede che tu abbi in te fortezza, vuole che tu sia atto a patire più che a fare cosa forte.
B. Castiglione. Il libro del Cortegiano. Lib. 4,18.
Tutte le virtù nascono dalla temperanza
Rispose il signor Ottaviano : Io non ho detto che la temperanzia levi totalmente e svella degli animi umani gli affetti, né ben saria il farlo, perché negli affetti ancora sono alcune parti bone ; ma quello che negli affetti è perverso e renitente allo onesto riduce ad obedire alla ragione. Però non è conveniente, per levar le perturbazioni, estirpar gli affetti in tutto ; che questo saria come se per fuggir la ebrietà si facesse un editto che niuno bevesse vino, o perché talor correndo l'omo cade, se interdicesse ad ognuno il correre. Eccovi che quelli che domano i cavalli non gli vietano il correre e saltare, ma vogliono che lo facciano a tempo e ad obedienza del cavaliero.Gli affetti adunque, modificati dalla temperanzia, sono favorevoli alla virtù, come l'ira che aiuta la fortezza, l'odio contra i scelerati aiuta la giustizia, e medesimamente l'altre virtù son aiutate dagli affetti ; li quali se fossero in tutto levati, lassariano la ragione debilissima e languida, di modo che poco operar potrebbe, come governator di nave abbandonato da' venti in gran calma. Non vi maravigliate adunque, messer Cesare, s'io ho detto che dalla temperanzia nascono molte altre virtù; che quando un animo è concorde di questa armonia, per mezzo della ragione poi facilmente riceve la vera fortezza, la quale lo fa intrepido e sicuro da ogni pericolo e quasi sopra le passioni umane ; non meno la giustizia, vergine incorrotta,amica della modestia e del bene, regina di tutte l'altre virtù...
B. Castiglione. Il libro del Cortegiano. Lib. 4,28.
Virtù in pace e in guerra
Tutte (le virtù) son bone e giovevoli, perché tendono a bon fine ; pur nella guerra precipuamente val quella vera fortezza, che fa l'animo esento dalle passioni, talmente che non solo non teme li pericoli, ma pur non li cura ; medesimamente la constanzia e quella pazienzia tollerante, con l'animo saldo ed imperturbato a tutte le percosse di fortuna. Conviensi ancora nella guerra e sempre aver tutte le virtù che tendono all'onesto, come la giustizia, la continenzia, la temperanzia ; ma molto più nella pace e nell'ocio, perché spesso gli omini posti nella prosperità e nell'ocio, quando la fortuna seconda loro arride, divengono ingiusti, intemperanti e lassansi corrompere dai piaceri ; però quelli che sono in tale stato hanno grandissimo bisogno di queste virtù, perché l'ocio troppo facilmente induce mali costumi negli animi umani. Onde anticamente si diceva in proverbio che ai servi non si debbe dar ocio...
G. Leopardi. Zibaldone. 3 dic. 1821.
Virtù e forza virile
Virtù presso i latini era sinonimo di valore, fortezza d'animo, e anche s' applicava in senso di forza alle cose non umane, o inanimate, come virtus Bacchi, cioè del vino,virtus virium, ferri, herbarum. V. onninamente il Forcellini. Anche noi diciamo virtù per potenza, virtù del fuoco, dell'acqua, de' medicamenti ec. V. la Crusca. Virtù insomma presso i latini non era propriamente altro che fortitudo, applicata particolarmente all'uomo, da vir. E anche dopo il grand'uso di questa parola presso i latini, tardò ella molto a poter essere applicata alle virtù non forti non vive per gli effetti e la natura loro, alla pazienza (quella che oggi costuma), alla mansuetudine, alla compassione ec. Qualità, che gli scrittori latini cristiani chiamarono virtutes, non si potrebbero nemmeno oggi chiamar così volendo scriver in buon latino, benché virtù elle si chiamino nelle sue lingue figlie, e con nomi equivalenti nelle altre moderne.
G. Leopardi. Operette morali. 24 Dial. Di Tristano e un amico.
Il coraggio di non sperare
Chi vuole o dee vivere in un paese, conviene che lo creda uno dei migliori della terra abitabile ; e lo crede tale. Gli uomini universalmente, volendo vivere, conviene che credano la vita bella e pregevole ; e tale la credono ; e si adirano contro chi pensa altrimenti : perché in sostanza il genere umano crede sempre, non il vero, ma quello che è o pare che sia, più a proposito suo. Il genere umano, che ha creduto e crederà tante scempiataggini, non crederà mai di non saper nulla, anzi di non essere nulla, né di non aver nulla a sperare.Nessun filosofo che insegnasse l'una di queste tre cose, avrebbe fortuna né farebbe setta, specialmente nel popolo : perché oltre che tutte tre sono poco a proposito di chi vuol vivere, le due prime offendono la superbia degli uomini, la terza, anzi ancora le altre due, vogliono coraggio e fortezza d'animo a essere credute. E gli uomini sono codardi, deboli, d'animo ignobile e angusto ; docili sempre a sperar bene...
A. Manzoni. Promessi sposi. Cap. 3.
Prudenza dei furfanti
Mentre il dottore leggeva, Renzo gli andava dietro lentamentecon l'occhio, cercando di cavar il costrutto chiaro, e di mirar proprio quelle sacrosante parole, che gli parevano dover essereil suo aiuto. Il dottore, vedendo il nuovo cliente più attento che atterrito, si maravigliava. Che sia matricolato costui, pensava tra sé. Ah ! ah ! gli disse poi : vi siete però fatto tagliare il ciuffo. Avete avuto prudenza : però volendo mettervi nelle mie mani, non faceva bisogno. Il caso è serio ; ma voi non sapete quel che mi basti l'animo di fare, in un'occasione.
Per intender quest'uscita del dottore, bisogna sapere, o rammentarsi che, a quel tempo, i bravi di mestiere, e i facinorosi d'ogni genere, usavan portare un lungo ciuffo, che si tiravan poi sul volto, come una visiera, all'atto di affrontar qualcheduno, ne'casi in cui stimasser necessario di travisarsi, e l'impresa fossedi quelle, che richiedevano nello stesso tempo forza e prudenza. Le gride non erano state in silenzio su questa moda.
F. De Roberto. I Vicerè. Parte I, 3.
Prudenza e paura
Il duca non se lo fece dire due volte, e andò a Palermo.Lì il partito d'azione, vinto egualmente, era tuttavia meno depresso : le speranze non eran morte o cominciavano a risorgere. Passata la paura che le ultime vicende gli avevan messa in corpo, rinatagli in cuore l'ambizione inappagata e mortificata, il duca preso di nuovo orecchio alle sollecitazioni dei liberali anche per dimostrare ai suoi concittadini che egli non meritava il lorodisprezzo. E quantunque non s'allontanasse dalla consueta prudenza, e andasse ai conciliaboli rivoluzionarii come ai ricevimenti del Luogotenente generale del Re, e tornasse insomma, con più prudenza, al gioco di prima, arrivò tuttavia a Catania la voce che egli era nei comitati agitatori e in corrispondenza cogli emigrati, e che dava quattrini per la buona causa, e che soccorreva i patrioti perseguitati. Oltre la voce, arrivarono anche i quattrini che egli mandava ai comitati locali, comprendendo finalmente che quella era la buona via, che uno come lui, senza fede e senza coraggio, non poteva far valere altro titolo se non i denari sonanti.
I. Nievo. Confessioni di un Italiano. 2,18.
La vita umana è un ministero di giustizia
La fede a' suoi tempi era almeno una idealità una forza un conforto ; e chi non aveva il coraggio di soffrire cercando e aspettando, avea la fortuna di sopportare credendo. Ora la fedese ne va, e la scienza viva e completa non è venuta ancora. Perché, dunque glorificar tanto questi tempi che i più otttimisti chiamano di transizione ? Onorate il passato ed affrettate il futuro ; ma vivete nel presente coll'umiltà e coll'attività di chi sente la propria impotenza e insieme il bisogno di trovare una virtù. Educato senza le credenze del passato e senza la fede nel futuro, io cercai indarno nel mondo un luogo di riposo dei miei pensieri. Dopo molti anni strappai al mio cuore un brano sanguinoso sul quale era scritto giustizia, e conobbi che la vita umana è un ministero di giustizia, e l'uomo un sacerdotedi essa, e la storia un'espiatrice che ne registra i sagrifici a vantaggio dell'umanità che sempre cangia e sempre vive. Antico d'anni piego il mio capo sul guanciale della tomba : e addito questa parola di fede a norma di coloro che non credono più e pur vogliono ancora pensare in questo secolo di transizione.
A. Fogazzaro. Piccolo mondo moderno. 6, 4 $ 7.
La giustizia non esiste
La signora batteva il chiodo della giustizia, dei torti che le sono pur fatti nella società del nostro tempo ; e Carlino,dopo avere rimbeccato il poeta mettendo avanti che praticamente l'avvenire non esiste ma esiste soltanto una serie di presenti, sostenendo quindi che la vera scienza della vita è il godimento e la interpretazione ottimistica del presente, uscì a direche in fin de' conti esistono infiniti concetti individuali della giustizia, ma proprio la giustizia non esiste. "A pian !! fece il giureconsulto...
Semantica della virtù. 2^ parte
2. La lingua
L'approccio linguistico può essere più sistematico e l'obiettivo insieme "tecnico" e in senso lato educativo.
Dal punto di vista tecnico, si tratta di portare i discenti a osservare e conoscere i meccanismi di formazione e di funzionamentodel lessico, a livello di struttura, e quindi fuori contesto,e a livello comunicativo, nel contesto. Qualcosa che ècerto materia di insegnamento frequente e comune nella scuola media, allo scopo di rendere il linguaggio dei ragazzi, scritto e parlato, più appropriato, più ricco, più preciso, più elegante ; si tratta, insomma, di un obiettivo generale dell'educazione linguistica.
Il valore educativo può risiedere nella particolare porzionedi lessico prescelta : quella che compone la "semantica della/evirtù", e che va vista nel contesto dell'educazione morale. Sono infatti convinto che la lingua, non meno della letteratura (e abbiamo appena visto quanto materiale di riflessione essa offra, se ben utilizzato), rappresenti un deposito importante di sedimentazioni culturali e che attingendo a esso sia possibile una riflessione sulla cosa significata, andando alla sua radice in senso anche linguistico, cioè facendo ricorso all'etimologia, così che si renda palese il senso primo e sia poi chiarito tutto il dispiegarsi in successione degli altri significati.
L'etimologia chiama in causa il latino e quindi il riferimentodei programmi vigenti alle "origini latine della lingua italiana "può trovare in questa proposta didattica una rispondenza puntuale e concreta. Non però allo scopo di sottolineare una continuità fra latino e italiano sul piano fonetico.o morfologico, certo interessante ma forse più per unospecialista che per un adolescente, o, sul piano lessicale, inseguendo una mera curiosità erudita, ma per portare luce su concetti che forse altrimenti rimarrebbero opachi e poco comprensibili. Nello spirito dellaa “philosophy for children”, prospettiva storica dunque, percorso in verticale, "à rebours" : ricondurre la parola italiana alla "famiglia"a cui appartiene. E, naturalmente, prospettiva orizzontale : la parola collocata nell'insieme delle altre che sono appartenenti al medesimo campo semantico : somiglianze, differenze. Anche mediante i meccanismi di formazione, rappresentati dai suffissi e dai prefissi: si curerà di discriminare tra i significati di paroleappartenenti a famiglie diverse : es., TEMPERANZA vs. MODERAZIONE; o tra parole discendenti dalla stessa radice : RISPETTO DISPETTO COSPETTO ; inoltre, di stabilire relazioni gerarchiche tra parole: sinonimi e contrari ; iperonimi, iponimi, meronimi. Questo generedi studio può servire a tracciare accurate distinzioni non solo linguistiche ma di sostanza ; per esempio a stabilire quali sono i difetti che hanno apparenza di virtù e quali le virtù che hanno apparenza di difetti.
Gli strumenti da usare sono, ovviamente, i dizionari : monolingue, dei sinonimi e contrari, latino/italiano, etimologico dell'italiano, etimologico del latino.
Parte del lavoro può essere fatto in classe con l'insegnante,parte in gruppo, parte individualmente a casa. Quella che segue è una parziale esemplificazione della ricerca da fare.
Ho usato i seguenti strumenti, ma l'indicazione non è cogente :
"Dizionario di Filosofia" di N . Abbagnano, UTET,1961 (= Abbagnano)
"Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana",Milano 1987 (= Garzanti)
"Dizionario Garzanti dei sinonimi e dei contrari", Milano1991 (= Garzanti sin.)
"Avviamento alla etimologia italiana", di G. Devoto,Firenze 1968, ora da A . Mondadori, più volte ristampato(= Devoto).
"Dictionnaire éthymologique de la langue latine. Histoiredes mots", di A. Ernout e A. Meillet, 1959 4^ ed. (= E.-M.).
Il Dizionario filosofico consente di costruire un primo abbozzodel quadro, con la consultazione del lemma VIRTU', da cui si apprende la distinzione tra virtù cardinali, virtù dianoetiche e virtù etiche. Per ognuna di queste, poi, si consulteranno, nell'ordine, il dizionario normale, per un primo significato generale,con la costruzione di un albero semantico, che consente la visualizzazionedella materia nel suo insieme. Segue il dizionario dei sinonimi,che permette di estendere la riflessione a una vasta gamma disignificati affini a quello fondamentale, istituendo tutta una serie di distinzioni e di precisazioni. Per sinonimi s'intendono quei termini che possiedono un fascio di tratti semantici in comune fra loro, ma poi divergono l'uno dall'altro per la loro collocabilità in contesti diversi. Per esempio la virtù della temperanza può essere sinonimo di sobrietà come pure di frugalità, ma mentre si può essere sobri nel mangiare e nel bere, si è frugali solo nel mangiare. E metaforicamente lo stiledi uno scrittore può essere sobrio, mentre non lo si direbbe mai frugale. Rispetto a esse sarà poi molto utile la consultazionedel dizionario etimologico della lingua italiana. Infine il dizionario etimologico latino aiuterà a penetrare ancora più a fondo nello scavo del significato vero della parola. Eventualmente potrà aprire la possibilità di uno sguardo sul dominio indeuropeo e quindi sulle altre lingue possibili, cioè che i ragazzi studiano o potrebbero studiare, come il greco antico, l'inglese, il francese, il tedesco, ecc.
Starà naturalmente al discernimento e al senso della misura dell'insegnante la scelta del grado di approfondimento a cui spingere la ricerca, e ciò in relazione agli interessi, alle capacità, alla situazione generale degli alunni con cui si trova a operare. E' pure superfluo sottolineare che il dizionario filosofico e quello etimologicodel latino dovranno essere usati dall'insegnante o sotto la sua guida per inquadrare l'argomento e i suoi sviluppi : non se ne può pretendere certo la consultazione diretta da partedei ragazzi ! In generale dovrebbe risultare chiaro come tutte le "piccole virtù" si riconducano in ultima analisia una delle "grandi virtù" e come tutte le grandi all'unica virtù, che consiste nell'abitudine acquisita alla ricerca e alla pratica del bene.
Darò dunque : a) la visione d'insieme, con il concettodi virtù e la classificazione delle virtù in categorie; b) un esempio di approfondimento del significato del termine designante ciascuna di esse, con riguardo al senso filosofico, a quello semantico generale, alla sinonimia, all'etimologia italianae a quella latina .
2.1 La virtù e le virtù
Secondo Abbagnano, il termine "virtù" può designare "1o capacità o potenza in generale ; 2ocapacità o potenza propria dell'uomo ; 3o capacità o potenza propria dell'uomo, di natura morale". Fermandoci a quest'ultima accezione, la virtù può essere intesa filosoficamente in cinque sensi. Riassumiamo brevemente la vocedel dizionario filosofico.
Nel primo senso, come "capacità di adempiere un compito o a una funzione", risale a Platone, che assegna all'anima diverse virtù come sono diverse le funzioni che essa assolve.Tra esse se ne distinguono principalmente quattro, che sono appunto per questo dette "cardinali" (v. sotto). La virtù, in secondo luogo, può essere concepita come "abito o disposizione razionale costante". E' la concezione di Aristotele e degli Stoici ed la più diffusa nell'etica classica. "Secondo Aristotele, la V. è l'abito che rende l'uomo buono e gli consente di far bene il suo compito proprio (Et. Nic. 2, 16, 1106a 22) ; ed è un abito razionale (ibid. 2,2 1103 b 32) nonché,come tutti gli abiti, uniforme e costante". Nel suo terzo significato la virtù è la capacità di un calcolo utilitario. Questa concezione risale a Epicuro che considera virtù "suprema, dalla quale tutte le altre derivano, la saggezza che giudica sui piaceri che occorre scegliere e su quelli che sono da fuggire e distrugge le opinioni che sono la causa delle perturbazioni dell'anima".
Ancora la virtù può essere intesa come "sentimento o tendenza, cioè come spontaneità". Soprattutto l'Illuminismo, e in particolare Rousseau, difesero questa concezione. Così per Rousseau la pietà è "una virtù naturale"che è "una disposizione conveniente a esseri così deboli e soggetti a tanti mali come gli uomini" e che precede ogni riflessione. A Kant infine, e prima ancora a Rousseau, si fa risalire la dottrina della virtù come sforzo. "Diceva Rousseau :"Non c'è felicità senza coraggio né V. senza lotta : la parola V. deriva dalla parola forza; la forza è la base di ogni virtù. La V. appartiene soltanto agli esseri deboli di natura, ma forti di volontà: per questo appunto rendiamo onore all'uomo giusto e per questo, pur attribuendo a dio la bontà, non lo diciamo virtuoso, perché le sue buone opere sono da lui compiute senza sforzo alcuno" (Emile, V)" (Abbagnano) .
VIRTU'
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cardinali dianoetiche etiche teologali
Virtù cardinali significa "principali", e risalgono alla "Repubblica di Platone", ma così le aveva denominate S. Ambrogio (De off. Ministr. 1,34 ; De Par.3,18 ; De sacr. 3,2). Fanno parte delle virtù che si dicono etiche secondo la denominazione di Aristotele.
Sono
VIRTU’ CARDINALI
prudenza giustizia temperanza fortezza
a esse si riconducono tutte le altre perché solo esse, secondo S . Tommaso, esigono la disciplina dei desideri (rectitudo appetitus), nella quale consiste la virtù perfetta.
Virtù etiche. Secondo Aristotele sono le virtù che corrispondono alla parte appetitiva dell'anima, in quanto è moderata o guidata dalla ragione (Et. Nic. 1, 13, 1102b 16) e consistono nel giusto mezzo tra due eccessi viziosi. Sono
VIRTU' ETICHE
coraggio temperanza liberalità magnanimità mansuetudine franchezza giustizia
Virtù dianoetiche (intellettive). "Secondo Aristotele... le virtù che sono proprie della parte intellettualedell'anima che, pur essendo priva di ragione, può, in una certa maniera, obbedire alla ragione stessa (Et. Nic. 1, 13, 1102b)"(Abbagnano). Sono cinque :
VIRTU' DIANOETICHE
arte scienza saggezza sapienza intelletto
Virtù teologali (o teologiche). "Virtù dipendenti da doni divini e dirette al raggiungimento di una beatitudine cui l'uomo non può giungere con le sole forze della sua natura" (Abbagnano). Esse sono :
VIRTU' TEOLOGALI
fede speranza carità
2.1.1 Prudenza
La prudenza, o saggezza, si dice in gr. phronesis , in lat.Sapientia, Prudentia ; in ingl, Wisdom ; in fr. Sagesse ; in ted.Weisheit.
Essa è "in generale la disciplina razionaledelle faccende umane ; cioè il comportamento razionale in ogni campo o la virtù che determina ciò che è bene o male per l'uomo...La S. non è la conoscenza di cose alte e sublimi, remote dalla comune umanità, come la sapienza(v.) : è la conoscenza delle faccende umane e del miglior modo di condurle" (Abbagnano). In certe lingue Sapienza e Saggezza sono designate dalla stessa parola, ma la distinzione posta da Aristotele è tuttora operante : Saggezza =pratica; Sapienza = teoria (Abbagnano, s. v. Saggezza). In greco si ha chiaramente la distinzione tra phronesis e sofìa. Garzanti distingue tra un primo significato, per cui la saggezzaè la qualità che consiste nel "non correre inutili rischi e...evitare a sè e ad altri qualsiasi possibiledanno", e questo è il senso più comune, diciamo più banale, per il quale è difficile parlare di virtù "cardinale" : sembra piuttosto una virtù"minimale". Ma col secondo significato, quello per cui la prudenza "fa discernere il bene dal male e fa seguire la retta ragione nell'operare", siamo al senso "forte"di prudenza. Etimologicamente prudenza viene da prudentia, cioè da pro-videre,"vedere prima", mentre il sinonimo saggezza si riallaccia al lat. sapere, "avere sapore", che in italiano si continua attraverso il normale saggezza, arrivato a noi per via "popolare",come pure attraverso l'"allotropo" sapienza, parola di tradizione "dotta" e quindi più chiaramente legata all'origine latina.
La sinonimia di prudenza/prudente si richiama quasi tutta all'etimologiadal lat. videre. Difatti si trova avveduto/ -ezza e accorto/ -ezza,vicino di senso ad avveduto, ma che si rifà , attraversoil participio, ad accorgere / -ersi, che risale a sua volta al lat. tardo adcorrigere e dove l'immagine non è propriamente visiva, ma spaziale : corrigo viene infatti da cum ,"con, e *regere, "dirigere, guidare". Evidente che cos'è l'oculatezza : il saper vedere, l'avere occhi, la cui radice *okw- si ritrova nel greco oph(thalmos) e nel ted. Auge.
Al primo, più corrente, significato di Prudenza, sembrano riallacciarsi cautela, circospezione, guardingo. In cautela è facile rintracciare l'etimo da cautus, partic. di caveo, "stare in guardia, guardarsi, badare" (cfr. precauzione, cauzione).Origine pure evidente anche in circospezione : *circum-spicere,"guardarsi attorno", anche con sospetto ; in chi è guardingo "l'atteggiamento di prudenza sconfina nella diffidenza; il guardingo esercita la cautela soprattutto per timore di essere sorpreso e colto in fallo" (Garzanti sin., s. v. Prudente). Guardingo è "incrocio del tema di guardare col suffisso-ingo di origine longob." (Devoto) e viene dal lat. altomedievaleguardare, che si riallaccia al franco wardon, "stare in guardia"e al ted. warten, "aspettare".
2.1.2 Giustizia
La giustizia è il "valore etico-sociale per cui si riconoscono e si rispettano i diritti altrui, come si vuole che siano riconosciuti e rispettati i propri" (Garzanti), cioè "conformità di comportamento (o di una persona nel suo comportamento) a una norma". Si rifà al lat. iustitia, da ius, "diritto". I sinonimi segnalati sono diritto, equanimità, equità, imparzialità. Diritto. Tra i suoi molti significati (v. Garzanti), importerà sottolineare quello di "complesso delle leggi che regolanoi rapporti sociali e il cui rispetto, assicurato dagli organi della giustizia, ha carattere di obbligatorietà per tutti i cittadini (diritto privato, penale, civile, costituzionale, canonico)", distinto in diritto naturale (iscritto nella natura umana) e positivo (cioè "posto, dato"),ossia le leggi storicamente prodotte dagli uomini per regolare la convivenza civile", rispetto all'altro per cui è la "facoltà assicurata dalla legge di manifestare o mettere in atto una determinata volontà o di esigere che altri agiscano in un dato modo o si astengano da un dato comportamento". Se è giusto distinguere diritto come sostantivo da diritto come aggettivo, che in italiano divergono quanto al significato, l'etimologia ne chiarisce i rapporti riconducendoli entrambi al lat. volgare *dirictus, lat. class. directus, partic. pass. di dirigere, composto di regere e dis, "con senso di provenienza e continuità" (Devoto), per cui it. dirigere significa"volgere verso una data direzione ; indirizzare, rivolgere"(Garzanti), mentre il lat. dirigere aveva ancor prima il significato fondamentale di "drizzare, porre o disporre in linea retta, allineare, far camminare diritto, far correre orizzontalmente"(Calonghi). Equità viene da aequus, che significa "piano, eguale, orizzontale" e quindi "propizio, favorevole", contrapposto a iniquus, ma poi anche "uguale : ugualmente largo ; pari, con eguali diritti" e poi "giusto, conveniente, ragionevole",ecc. ecc. (Calonghi). L'etimologia lo apparenta a aequor, -oris, che significa "piano, pianura = superficie", della campagna o del mare (Calonghi). Da qui l'immagine della giustizia rappresentata da una donna che tiene in mano una bilancia, i cui pesi sono perfettamente in equi-librio, da aequus e librare, "bilanciare" o meglio "pesare con la bilancia", che in effetti si dice in lat. libra, ma significava anche una misura di peso, cioè la libbra. Per cui librarsi significherà "tenersi in sospeso o in equilibrio" (Garzanti). C'è differenza tra giustizia ed equità ? certamente, perché l'equità è "l'appello alla giustizia in quanto diretto a correggere la legge in cui la giustizia si esprime. Questo è il concetto classico di E. quale fu chiaritoda Aristotele e riconosciuto dai giuristi romani" (Abbagnano). Poiché non tutto la legge può prevedere, per Aristotele l'equità è una virtù superiore alla giustizia intesa come diritto positivo. Mentre per Kant non è un concetto giuridico, ma solo morale. Essa non concerne i tribunali, ma il tribunale della coscienza.
2.1.3 Temperanza
Secondo il dizionario Garzanti è la "capacità di non eccedere nel soddisfacimento dei bisogni e dei desideri naturali ; nella teologia cattolica è una delle quattro virtù cardinali". Il dizionario filosofico di Abbagnano indica questi equivalenti nelle lingue di cultura : gr. Sofrosyne ; lat. Temperantia ; ingl. Temperance ; franc. Tempérance ; ted. Besonnenheit. Proseguer ichiamando Aristotele, che restringeva la temperanza alla capacitàdi moderare i piaceri del mangiare, del bere e del sesso (Et.Nic. 3, 9-12). Per Platone invece essa è "l'amicizia e l'accordo delle parti dell'anima che si ha quando la parte che comanda e quelle che obbediscono convergono nell'opinione chespetti al principio razionale di governare e così non gli si ribellano" (Rep. 3, 412 b). Sinonimi di temperanza sono : sobrietà, moderazione, moderatezza,continenza, misura, morigeratezza, frugalità e contrari: intemperanza, incontinenza, sfrenatezza, smodatezza, sregolatezza. Il Devoto rimanda, per l'etimologia, al lat. temperantia, che si riconduce al verbo temperare. Secondo l'E.-M. esso presenta due sensi. Per il primo significa "mescolare", in particolare l'acqua al vino, e quindi "moderare, addolcire, temperare"; per il secondo significa "moderarsi, astenersi". In particolare temperantia viene da temperans : cfr Cic. Tusc. 3,8,16: temperans, quem Graeci sofrona appellant eamque virtutem sofrosynen vocant quam soleo equidem tum temperantiam, tum moderationem appellare, nonnumquam etiam modestiam" ("temperante : in grecoè sofron, e la virtù relativa si dice sofrosyne: io la chiamo di solito o temperanza, o moderazione, talvolta anche modestia"). Non sembra certa l'etimologia da tempus, a meno di ammettere che tempus significhi "taglio, divisione(del tempo)". I sinonimi più importanti sono sobrietà, moderazione, misura.
Sobrietà: " qualità di chi o di ciò che è sobrio ; moderazione , misura. Sobrio : 1 non alteratodagli effetti dell'alcool ; lucido 2 temperante e controllato nel mangiare e nel bere ; parco, moderato. 3 (fig.) semplice, misurato, alieno da eccessi e superfluità" (Garzanti). Viene dal lat. sobrius, comp. di so- (v. SOLO), grado forte di se-, per es. se(curus), se(verus), prf. di privazione opposizione(v. SECERNERE) e di ebrius, v. EBBRO e cfr. UBRIACO (Devoto). Moderazione. Moderato significa :" 1 tenuto entro giusti limiti, contenuto...2 che sa moderarsi ; misurato, sobrio 3 che è su posizioni politiche conservatrici o prudentemente riformistiche, aliene da ogni radicalismo" (Garzanti). Viene dal lat. moderare, class. moderari, verbo denom. da modus, -eris "misura, forma" (v. MODESTO), incr. di un più antico modos- con modo-s. v. MODO. A sua volta modo viene dal lat. modus "misura" poi "regola", tema in-o con la rad. al grado forte da MED, da cui deriva anche modus,-eris ; v. MODERARE, MODESTO. La rad. MED è la stessa di meditari e di mederi ; v. MEDITARE e MEDICO. In ant. Iranico conserva l'antico valore medico, perché sopravvivevano le tradizioni magico-sacerdotali relative alla medicina (Devoto).
Continenza. "l'essere continente ; temperanza, moderazione"; Continente "che si contiene, sa frenare i propri impulsi e desideri, spec. quelli dei sensi ; morigerato" (Garzanti).Viene dal lat. continentia, astr. di contineri. Questo d'altra parte è composto dal perfettivo com e tenere e significa"contenersi, trattenersi". Teneo ha la stessa radice *ten- di tendo, che significa "tendere", mentre teneo ha il valore specializzato di "tenere" e, in senso assoluto,di "durare, "persistere" o "mantenersi in una posizione" (linguaggio militare) o "mantenersi in una direzione, puntare verso" (termine nautico). A contineo, oltre continentia, si riallacciano il valore assoluto continens,"che si trattiene, che si contiene" ; continuus (ma anche continuare, continuatio). Da contineo si ha pure l'aggettivoverbale contentus, che significava inizialmente "che si contiene", e poi "che si contenta di" (Devoto).
Misura. Dall'Abbagnano apprendiamo che Platone (Polit. 284 e)aveva individuato "le arti che misurano il rapporto al giusto mezzo, al conveniente, all'opportuno, al doveroso e insomma a quelle determinazioni che stanno nel mezzo tra due estremi". Era dunque la medietà il canone della virtù etica e "in questo senso la M. è uno dei concetti fondamentali della cultura classica greca ". Tra i molti significati della parola Garzanti elenca : "4 (estens) criterio di valutazione, proporzione...5 giusto limite ; modo, moderazione". Etimologicamente, viene dall'it. ant. mesura, lat. mensura, astr. deriv. da mensus, part. pass. del sistema di metiri. Il lat. metior deriva da un tema meti- "misura, combinazione mentale". E.-M. rinvia a corrispondenti nell'antico inglese, nel greco, nel sanscrito, nel gotico, nell'ittita, nell'antico russo. Rinvia quindi a mensis("mese") e senza dubbio a modus. Per cui c'è una parentela anche etimologica tra "modo, moderazione, modestia"e "misura".
2.1.4 Fortezza
La fortezza, o coraggio, è la "forza spirituale, morale "propria di chi ha vigore, perseveranza morale"(Garzanti). I corrispondenti sono in gr. Andreia, lat. Fortitudo, ingl. Courage, franc. Courage, ted. Muth. Platone definisce la fortezza come "l'opinione retta e conforme alla legge su ciò che si deve e su ciò che non si deve temere" (Rep. 4, 430 b). Aristotele la definisce come il giusto mezzo tra la paura e la temerarietà (Et. Nic.3, 16, 1115 a 4). Per Cicerone
(Tusc. 2, 18, 43) essa ha come principali attributi il disprezzo della morte e il disprezzo del dolore. E' quindi il contrario dell'angoscia (Abbagnano).
La parola coraggio viene dal provenzale coratge, cioè dal lat. volgare *coraticum, che è dal lat. tardo coratum, forma popolare di cor, cordis (che significa, certo, cuore, ma anche, metonimicamente, l'anima e per traslato mente, sentimento, ma anche senso, buon senso, senno, accortezza, intelligenza, secondoCalonghi). Sinonimi sono forza e tenacia, se riferiti all'animo, ma anche forza, robustezza (fisica), e solidità, compattezza.
Tenacia ha a che fare con tenax : è qualcosa "che tiene, che fa presa", come la pece, o che resiste alla deformazione, come il metallo. Da qui si passa al significato morale di forte, resistente, saldo nei propositi, costante (Garzanti). Raccogliendo insieme queste diverse indicazioni, potremmo dire che la fortezza, o coraggio, è la virtù dell'animo, inteso come centro della persona, sede degli affetti e dei sentimenti, quando sia dotato di forza e quindi sia resistente, perseverante, costante nei propositi e capace di equilibrio tra gli eccessi opposti della paura e della temerità. La capacità cioè di non pavere, che è lo stato di chi ha subito l'azionedi pavire, cioè "battere", in particolare in terra, da cui pavimentum. Temerario è invece "chi va alla cieca", da temere, avverbio che costituisce la forma irrigidita di ablativo di un supposto *temus, temeris, connesso a tenebrae. Il coraggio sarà dunque la virtù di non temere di essere battuti (avere paura) ma neppure di buttarsi nelle cose alla cieca (essere temerario).
La ricerca potrebbe anche non fermarsi qui e la riflessione estendersi a tutte quelle altre virtù, o doti dell'animo,che sono comunque importanti, anche se non proprio cardinali. Ne indico qui una serie, che ho raggruppato in piccoli insiemi per affinità.
Sincerità Onestà Lealtà Franchezza Schiettezza
Benevolenza Pazienza Umiltà Obbedienza Mitezza MansuetudineModestia Indulgenza
Moderazione Ragionevolezza Sobrietà Castità Continenza
Magnanimità Liberalità Generosità Altruismo
Purezza Castità
Parsimonia
Sensibilità Tatto Delicatezza
Scrupolosità Accuratezza Puntualità SollecitudineLaboriosità Coscienziosità Meticolosità
. Comenio e le virtù
Forse non è così evidente come si possa collocare e ricondurre tutte queste diverse incarnazioni della virtù alle quattro cardinali, ma si può ricorrere alla riflessioneche permettono alcune pagine di Comenio : la parola dei grandi, pur espressa in epoca e in condizioni diversissime dalle attuali, conserva un sapore di verità e di utilità.
3.1 Comenio. La figura e l’opera
A dire la verità un corso di didattica del latino dovrebbe addirittura iniziare nel nome di Comenio, il pedagogista, filosofo, riformatore religioso e scolastico moravo, che con la sua “Didactica Magna” ha fondato gli studi di didattica nell’età moderna. E’ cioè stato il primo a sistemare in una visione organica e completa le molteplici questioni e problematiche che investono il rapporto educativo nella sua dimensione propriamente scolastica, in accordo con lo sviluppo che all’epoca l’istituzione scolastica come mezzo collettivo di istruzione e di formazione si andava sempre più diffondendo, specialmente nei Paesi di cultura protestante.
Ma c’è di più. Poiché l’asse portante della scuola era per Comenio la cultura umanistica messa al servizio di una ispirazione cristiana profondamente sentita e sincera, in gran parte la didattica comeniana è didattica pèroprio della lingua e della cultura latina (verba et res!)e occupa gran parte delle opere didattiche di Comenio.
L’opera di Comenio è strettamente connessa alle vicende della sua complessa e tumultuosa biografia, di cui ci limitiamo qui a richiamare le tappe essenziali.
Giovanni Amos Comenio nacque in Moravia, probabilmente a Nivnice, paesino vicino al confine ungherese, il 28 marzo 1592. Il padre era un importante esponente della setta protestante detta “Unione dei fratelli boemi”. Dopo avere studiato a Uhersky Brod e poi a Straznice, e dal 1608 alla scuola latina di Prerov, quando si manifestò la sua vocazione religiosa, passò all’Accademia di Herborn in Nassau nel 1611, dove ebbe per maestri filosofi e teologi importanti come Giovanni Fischer (Piscator) ed Enrico Gutberlet e soprattutto Giovanni Enrico Alstedt, un calvinista che influì assai sulle sue idee pedagogiche. A Herborn, come si può dedurre da sue opere rimaste allo stato di abbozzo, già si cominciano a profilare i due grandi interessi di Comenio e cioè lo studio sistematico della lingua nazionale e il sogno di una scienza universale, che sistemasse tutto lo scibile e fornisse l’oggetto e lo scopo della didattica. La chiamò pansofia. Dopo un breve soggiorno a Heidelberg, nel 1614, a 22 anni, il primo lavoro: direttore della sua vecchia scuola dell’Unità di Prerov. Nel 1616 viene ordinato pastore e assegnato a una sede importante, Fulnek, dove anche dirigeva la scuola. Il periodo di Fulnek fu l’ultimo felice e tranquillo nella vita di Comenio (che, tra l’altro, nel 1618 si sposò), perché cominciarono nel 1621 le persecuzioni contro i protestanti dopo lo scoppio della guerra dei trent’anni. Fulnek fu distrutta dalle armate spagnole, Comenio perdette scuola, biblioteca, manoscritti inediti, dovette scappare nelle campagne e sopportare con cristiana rassegnazione la notizia della morte per peste della moglie e dei due figli piccoli. Da allora cominciò la peregrinazione di Comenio in varie città dell’Europa centrale che lo condusse, non senza avere attraversato una grande crisi mistica che lo fece aderire alle visioni millenaristiche di Kotter ed essersi risposato, ad approdare nel 1628 al rifugio polacco di Lezno, dove aveva ben attecchito, sviluppando una numerosa comunità, l’ Unione dei Fratelli Boemi. Fu a Lezno che scrisse in ceco la “Grande didattica”, poi tradotta in latino nel 1635-1636. Solo la redazione latina ebbe diffusione a partire dalla sua pubblicazione negli Opera didactica omnia del 1657ad Amsterdam. In questo periodo si acuisce anche l’interesse in Comenio per lo studio delle lingue, in particolare del latino : del 1631 è la Ianua linguarum reserata, il cui successo fu enorme e che fu diffusa ovunque, tradotta in molte lingue e più volte da lui stesso rimaneggiata. Si apre poi una feconda stagione di viaggi, pedagogici e filosofici : in Inghilterra, poi, sulla strada per la Svezia, in Olanda, dove incontra vicino a Leida Cartesio. In Svezia, finalmente, dà mano alla riforma della scuola svedese risiedendo a Elbing, città della Prussia ma vicina alla Svezia. Proprio a Elbing, tra la stesura di opere teologiche e lunghe controversie religiose, vede la luce la Linguarum methodus novissima, l’altra grande opera che Comenio dedicò alla didattica del latino e di cui pubblichiamo e proponiamo alla lettura alcuni estratti.nella sezione “materiali”. Torna a Lezno, dove è nominato vescovo nel 1650, per andarsene subito dopo in Ungheria, dove scrive numerose opere didattiche e anche qui dimostra il suo spirito pratico e realizzativo istituendo e organizzando scuole. In Ungheria concepisce e prepara un’altra grande e famosa opera, l’Orbis sensualium pictus (1659) un testo che, attraverso le immagini, mette in rapporto le res e i verba. Il primo grande libro moderno per l’insegnamento della lingua materna, imitato nei secoli successivi e tuttora bellissimo, che fa seguito ai principi delineati per lo studio del latino. E’, insieme alla Didactica magna l’opera più nota di Comenio (ed. italiana a cura di A. Biggio, Firenze, La Nuova Italia, 1993) ancora reperibile in edizioni moderne (per es. quella curata ancora da Anna Biggio, con prefazione di B. Vertecchi, Tecnodid., Napoli, 1994). Tornato a Lezno nel 1654 l’anno seguente accadde a Comenio la stessa cosa che già gli era capitata a Fulnek. Egli si era schierato dalla parte di Carlo Gustavo di Svezia, alfiere della causa protestante contro gli Asburgo cattolici, che fu disastrosamente sconfitto. Lezno fu distrutta, i manoscritti di Comenio dispersi e Comenio si dà alla macchia finché non lo raggiunge l’invito di Lorenzo de Geer a recarsi nella libera Amsterdam. Proprio qui, a spese dello stesso suo protettore de Geer, può curare l’edizione (1657) dei famosi Opera Didactica Omnia, di cui l’Accademia cecoslovacca delle Scienze, in occasione del tricentenario del 1957 ha pubblicato la riproduzione anastatica, rendendo così possibile la conoscenza anche di altre opere di Comenio oltre la Didactica magna e l’Orbis pictus. Il grande educatore continuò a scrivere, a lottare, a polemizzare per ancora 13 anni, quando la morte lo colse nel 1670. Fu seppellito a Naarden vicino Amsterdam.
3.2 Letture comeniane
La Didactica magna è l'opera più nota di Comenio ed è facilmente reperibile ; le altre sono, credo, inedite in Italia. Si può leggerle nella ristampa anastatica (Praga 1957, in due voll. più un volume di commenti e indici) a cura dell' accademia delle Scienze cecoslovacca, condotta sulla raccolta ordinata dallo stesso Comenio degli Opera Didactica Omnia(ODO), e pubblicata, come abbiamo appena detto, ad Amsterdam nel 1657.
Segnalo come particolarmente degna di discussione la decisa presa di posizione del grande educatore sulla virtù dell'obbedienza, intesa come parte della fortezza: dopo due secoli di Romanticismoe cinquant'anni di permissivismo, forse può essere un invito a rivedere, mutatis mutandis, certe incrollabili certezze moderne. Per non parlare della temperanza, che di tutte sembra oggi la virtù più negletta (vedi l'uso della droga, ma anche del fumo, e dell'alcool). In particolare la cultura giovanile è imperniata sulla trasgressione e sull'esaltazione del contrario di queste virtù. Ma, come diceva anche Platone, la virtù si può insegnare e, quindi, si deve. O almeno, per Comenio questo è ancora un assioma certissimo.
Comenio. Didactica magna. Cap. XXIII.
[ 1-2. Il capitolo si occupa dell'educazione morale e religiosa, che è lo scopo ultimo del sapere e che deve essere necessariamente introdotta nelle scuole.] 3. La disciplina della formazione morale si basa su sedici regole. La prima è: I. bisogna radicare nei giovani tutte le virtù, senza nessuna eccezione. E infatti non si può fare nessuna eccezione in materia di ciò che è retto e onesto senza che si produca un vuoto e un turbamento dell'armonia.
4. II. In primo luogo sono fondamentali quelle che si usa definire cardinali: prudenza, temperanza fortezza e giustizia.
Ciò per evitare che venga innalzato un edificio senza fondamenta e che le parti non siano ben saldate fra di loro perché non bene stabilite sulle loro basi.
5.III. La prudenza verrà appresa grazie a un buon insegnamento, consistente nell'imparare a distinguere con esattezza le cosefra loro e il loro differente valore. [...]
6. IV. Quanto alla temperanza, la imparino e si abituino a osservarla nel prendere cibo e bevanda e nel sonno e nella veglia, nelle fatiche e nei divertimenti, nel parlare e nel tacere per tutto il tempo di scuola. E qui bisogna rinfrescare sempre ai giovani la regola: mai nulladi troppo: così si otterrà di fermarsi sempre primadi provare sazietà e nausea.
7. V. La fortezza bisogna che la imparino superando se stessi: e cioè reprimendo il gusto di andare qua e là o di giocare al di fuori e oltre il tempo consentito e frenando l'insofferenza, l'aggressività, l'ira.[...] E poiché i ragazzi non sono capaci di un così responsabile e razionale modo di procedere (almeno non tutti), si compendierà chiaramente l'insegnamento riguardo alla fortezza e al dominio di sé nell'indurli all'abitudinedi fare la volontà altrui piuttosto che la propria : ossia obbedendo ai superiori prontissimamente in tutte le cose. "Chi sa ben allevare i cavalli, dice Lattanzio, insegna loro anzituttoa obbedire al morso : pertanto chi vuole educare i ragazzi, prima di tutto li abitui a essere ubbidienti agli ordini". Quantasperanza si può avere in essi per ricondurre a un miglio restato le follie umane, di cui il mondo è sommerso, se si abituano a essere tolleranti gli uni con gli altri, a fare tutti tutto ciò che è loro proprio secondo ragione findall'inizio della vita !
8.VI.. La giustizia l'impareranno non danneggiando nessuno, dando a ciascuno il suo, fuggendo le bugie e gli inganni,
mostrandosi premurosi e amabili. A questo devono essere educati, come a ciò che precede, nei modi e coi criteri stabiliti dalle regole che seguono.
9. VII. La fortezza può essere di due tipi e cioè una onesta libertà di parola e la capacità di sopportare le fatiche e sono entrambe necessarie principalmente per i giovani. Poiché infatti la vita deve trascorre nei rapporti sociali e nel lavoro, bisogna insegnare ai giovani ad affrontare gli uomini e qualunque onesta fatica : così che non diventino esseri umbratili o misantropi, dei mangioni pigri, inutili pesi dellaterra. La virtù si alimenta coi fatti, non con le prediche.
10. VIII. L'onesta libertà di parola si acquista con la frequente compagnia delle persone per bene e con l''abitudine a parlare di qualsiasi cosa si debba in loro presenza. [cita l'esempiodi Alessandro, abituato da Aristotele a parlare di tutto con tutti: lo stesso deve fare il maestro coi suoi allievi].
11. IX. Quanto alle fatiche, i giovani acquisteranno la capacità di sopportarle se saranno costantemente occupati, sia in cose serie che leggere. A questo scopo infatti non ha alcuna importanza che cosa e perquale fine si faccia, purché si faccia. Anche col gioco si può imparare ciò che serva ad apprendere cose serie, quando l'occasione e la situazione lo richieda. Siccome dunque quel che si deve fare si impara facendo... anche il lavoro s'imparerà lavorando , in modo che le continue attività mentali e fisiche (tuttavia moderate) si traducano in laboriosità e l'uomo operoso consideri intollerabile l'ozio inoperoso. E allora sarà vero il detto di Seneca che la fatica è il nutrimento degli animi nobili
12. X. Quella virtù sorella della giustizia, e cioè la prontezza e la generosità nel servire gli altri, nei fanciulli si deve istillare fin dagli inizi. Sta attaccata infatti a una natura corrotta un vizio tetro, l'egoismo, per cui ognuno vuole solo ciò che serve a lui, trascurando completamente gli effetti sugli altri. E ciò è fontedi diversi turbamenti nelle umane cose, giacché ciascuno si occupa delle cose proprie posponendovi la considerazione del bene comune. Si deve dunque inculcare nei giovani con cura quelloche è lo scopo della nostra vita, e cioè che noi non siamo al mondo per noi soli ma per Dio e per il prossimo, e cioè per la vita sociale : in tal modo si abituino veramente fin da bambini a imitare Dio, gli angeli, il sole e tutte le creature più nobili, cioè a desiderare di giovare col proprio aiuto al maggior numero di persone e di operare in loro favore.[...].
Comenio dedicò allo studio della lingua e degli autori latini, cioè alla Eruditio scholastica , un corso completo,costituito di Vestibulum, rerum et linguae fundamenta ponens ; Ianua, rerum et linguarum structuram exhibens e Atrium, rerum et linguarum ornamenta exhibens. Della Ianua fa parte una sortedi enciclopedia, chiamata Ianualis rerum et verborum contextus, historiolam rerum continens. La Ianua si compone di 100 capitoli, di cui il 1o è l'"ingresso" e il 100o l'"uscita".I capp. 2-99 il transitus.
Questo si suddivide nelle tre parti : Natura (capp. 2-31), Uomo (capp. 32-98), Dio (cap 99). Nella seconda parte, tra le arti umane subtilissimae, si distingue la Filosofia e, in essa, quella pratica, cioè l'etica. I capitoli LXI-LXX sono appunto dedicati all'etica nelle sue diverse articolazioni. L'interesse di questa trattazione consiste nel fatto che l'insegnamento dell'etica viene a costituire una parte di quello della lingua latina. I diversi concetti morali vengono spiegati a partire dai significati, presentati con opportune distinzioni e precisazioni, delle parole latine corrispondenti. Nella concezione didattica di Comenio, infatti, res e verba sono sempre compenetrati. Talora si arriva alle parole dalle cose, come nell'Orbis pictus (cheperò non fa parte degli ODO, ma fu molte volte pubblicatoed ebbe un'immensa fortuna per tutto il Seicento e il Settecento),dove il punto di partenza è addirittura costituito da immagini appositamente dipinte per arrivare alle parole, sempre inserite in brevi enunciazioni ; altre volte invece, e precisamente in opere destinate, come appunto la Ianua, ad allievi più avanzati, il percorso è tutto interno al linguaggio : che si fa così insieme miniera di indicazioni sulle cose, strumento per significarle, obiettivo dell'apprendimento, medium, ancora,dell'insegnamento. Le distinzioni, infatti, vengono condotte sulle parole latine e hanno di mira l'apprendimento del latino : le parole man mano studiate sono in corsivo, posto dallo stesso Comenio.
Comenio. ODO. Vol. II. Ian. Contextus. Coll. 542-551.
LXI. Etica
Importanza dello studio dell'etica 601 La virtù è fondamento della vita felice 602 La radice della virtù è nell'intelletto 603 Natura del vizio 604 Gradi del vizio605 I tre requisiti della cura di sé 606 Divisione dell'etica in cinque parti 607
601 La parte più importante della filosofia è l'etica perché insegna all'uomo come dominare se stesso, come possa vivere e
morire senza perturbazioni dell'animo, sanonel corpo, con la coscienza tranquilla e senza essere di peso a sè o agli altri e senza alcuna forma di dannosa indigenza(col favore di Dio).
602 Vuoi sapere anche questo ? te lo dirò in breve : saggezza,virtù, innocenza sono le cose che danno all'uomo tranquillità e gioia, che lo rendono amabile e accetto. Invece la stoltezza, il vizio, la cattiveria lo turbano e lo rendono meritatamente odioso e biasimevole.
603 Ma lo studio delle virtù non può essere cacciato dentro di noi con semplici precetti né l'odio per i vizicon semplici proibizioni, lodi e biasimi ; anzi, neppure con premi e castighi bisogna pensare di avere penetrato quanto in noi la virtù formi l'immagine di Dio e quanto il vizio la distrugga.
604 La virtù consiste nella giusta misura, il vizio nell'eccesso o nel difetto, è comunque un trasgredire, per quanto ci siano gradi diversi di trasgressione.
605 Certo un'azione disonesta fatta senza riflettere è una colpa ; se ci si è pensato, è un delitto ; se si è fatto apposta, cattiveria ; se in misura enorme, scelleratezza(vergogna) ; se con cattiveria, perché faccia del male ad altri, perversione ; ciò che è perverso non havergogna della sua cattiveria e chi non resiste all'abitudine che insensibilmente s'insinua in lui, diventerà incorreggibile, perderà se stesso e insozzerà il suo nome di una macchia indelebile.
606 Se vuoi condurti bene devi conoscere prima 1 l'origine delle inclinazioni naturali, per non ignorare dove esse ti trascinino e come si debba seguirle o resistere a esse perché non escano dai limiti ; 2 gli oggetti, verso i quali sono attratte le tue inclinazioni naturali ; che sono tu stesso, il prossimo, Dio ; 3 gli allettamenti e gli stimoli, che ci traggono da unaparte o dall'altra.
607 La cosa più importante sarà di essere prudente in tutte le cose che intraprendi : verso te stesso particolarmente cauto ; verso il prossimo equo ; verso Dio riverente ; infine nel bene integro, sincero e costante.
LXII Prudenza
Concetto generale di prudenza 608 suoi requisiti 609 quale fine delle azioni si debba prestabilire 610 quali mezzi si debbanoscegliere 611 quale criterio si debba adottare nell'uso dei mezzi 612 chi agisce imprudentemente ; il triplice oggetto della virtù.
608 La prudenza consiste nel fatto di non pensare o non dire o non fare mai nulla a vuoto o con incertezza, ma tutto con circospezione: apprezzando qualsiasi cosa al suo giusto valore (la grande di gran valore, la piccola di piccolo) e ricercando i beni così da raggiungerli ed evitando i mali così da sfuggirli.
609 Se è questo che vuoi, guarda dovunque sia al fine,distingui i mezzi, sta attento all'occasione perché non ti sfugga ; cioè valuta 1 che cosa si deve desiderare o intraprendere 2 se si debba raggiungerlo in questo o quel modo 3 che ostacoli potrebbero opporsi, se non li si previene .
610 Il fine sia sempre qualcosa di veramente onesto e utile e insieme (se possibile) piacevole ; tale che una volta raggiuntolo non te ne possa vergognare : tieniti sempre lontano da ciò che è dannoso, rinuncia a ciò che è superfluo e se è possibile la scelta tra più cose, preferisci al bene il meglio, al meglio l'ottimo.
611 Bada ai mezzi per quanto possibile 1 certi e infallibili ; 2 facili da usare (il difficile si ritiene impossibile) ; 3 in numero minore più che maggiore: perché in qualche caso non siano tra loro d'impaccio.
612 Una volta prestabilito il fine e indicati i mezzi, perché tutto ciò non sia vano, prevedi anche i modi per usare bene dei mezzi : in questo campo se prevedi un qualche impedimento, previenilo tempestivamente e perciò comincia velocemente, prosegui cautamente, affrettati a concludere speditamente per evitare di cadere all'inizio (agendo prematuramente) o di attardarti durante la corsa o di desistere prima di raggiungere la meta.
613 Così se saprai agire in ogni situazione, sarai preveggente: anche se (per l'incostanza delle cose) talora la nostra circospezioneci inganni, non potrà tuttavia farlo sempre : come fa a coloro che sono insensati, che ricercano cose illecite ; e pazzi,che si gettano a imprese impossibili ; e avventati, che trascurano le occasioni di fare ; e sciocchi, che cominciano molte cose,ma non portano nulla a compimento.
614 Ma parliamo delle virtù una per una perché tu veda partitamente quali sono i tuoi doveri verso te stesso, ilprossimo e Dio.
LXIII Diligenza
In che cosa l'uomo deve temperarsi 615 in che modo nelle fatiche 616, 617, 618 in che modo si debba fuggire la pigrizia 619.
615 Devi a te stesso la cura, cioè una cauta e assidua attenzione per la conservazione di te stesso : ed essa consiste nella
moderazione delle fatiche, dei desideri, delle avversità.
616 Delle fatiche : per evitare che sfuggendo a esse ti arrenda alla pigrizia e che tu disponga la tua vita in modo da essere inutile a te e a gli altri ; o viceversa che per l'eccesso di fatiche tu fiacchi le tue forze e ti danneggi o anche ti ammazzi.
617 Fuggi entrambi questi estremi, ma di più tuttavia la pigrizia e l'indolenza, perché è più facile scivolare nel peccato da questa parte : comincia presto a essere laborioso e cessa tardi, tutto andrà bene.
618 Mentre gli altri si preoccupano delle proprie cose, tu non trascurare te stesso : non sottrarti a nessuna fatica onesta o non sfuggirle di nascosto ma affrontala alacremente e con diligenza e costanza persegui ciò che hai cominciato (senza tergiversare e differire) fino a portarlo a compimento.
619 I pigri sono sempre in festa (come dice il proverbio) anche nei giorni feriali : invece tu sii operoso anche nel riposo :cioè mentre ti concedi il riposo (giacché è permesso a chi è stanco riposare, non oziare) non essere indolente, ma riprendi velocemente le stanche forze.
LXIV Temperanza
Ci si deve guardare dalle tentazioni 620 di tre tipi 621 latemperanza si mostra nel tenore di vita 622 e l'intemperanza 623,624 desideri impuri 625, 626 e la castità 627 il male dell'avarizia628 e la frugalità 629 l'ambizione 630 e la modestia 631 la curiosità 632 e la temperanza nel conoscere 633
620 La philautia (egoismo) è innato in noi come il desiderio di ciò che ci fa piacere : ma bisogna tenersi lontani dalle tentazioni, che sogliono attirare i nostri desideri in modo che rimaniamo impigliati in cose che non riguardano la vera felicità e dimentichiamo i veri beni, facendo prima quello che si devefare dopo, noi non facciamo uso della vita ma la consumiamo :anzi, non la consumiamo neppure, ma semplicemente ci agitiamo.
621 Questo accade quando, assecondando smoderatamente la bramadi piaceri o ricchezze od onori o della scienza, scivoliamo nei vizi tetri, la gozzoviglia, la lascivia, l'avarizia, l'ambizione smodata, la curiosità sfrenata.
622 Sii dunque temperante e sobrio, astieniti da cibi superflui: quando hai fame, mangia ; quando hai sete, bevi, quanto basta; tu che fai una vita di studio o comunque sedentaria, contentati del pranzo e della cena, lascia la colazione e la merenda aglioperai, perché il corpo per l'eccesso di sazietà impigrisce e s'inselvatichisce, lo spirito invece diventa incapace di affrontare i suoi compiti.
623 Guarda infatti i voraci e beoni mangioni e ghiottoni comea forza di mangiare consumino le proprie sostanze ! e i golosi sporcaccioni, quanto si ingozzino tutti i giorni sbevazzando e riempiano insaziabili le loro pance ! Ubriachi come bruti schiamazzano, gridano, vengono alle mani, vacillano, scivolano, scaracchiano, sputano e (chiedo venia) pisciano, scoreggiano, tirano peti, vomitano e soltanto non ribevono quello che hanno vomitato, quei begli ometti !
624 Che altro ? come la mente degli astemi è agile, così la follia ottunde e rende furiosi i beoni (gli avvinazzati diventanoturbolenti, gli ubriaconi violenti) come pure gli eccessi del giorno prima disturbano gli ubriachi il giorno dopo ; gli ubriaconi sono tormentati da tremiti, vertigini, artrite e altre malattie dolorose e dolorosamente ne sono privati della vita. Ecco le dolcezzedei crapuloni !
625 Che dire dell'incontinenza della libidine ? contiene in sé la stessa perdizione ma una vergogna maggiore : darsi alla lascivia è da animali (per quanto gli animali si accoppino soloper generare) : quanto vergognosa porcheria, che l'adultero insozziil letto altrui, il donnaiolo il suo e che il concubino mantenga l'amante, che il crapulone vagabondi per i lupanari, la meretrice prostituisca la sua pudicizia, il lenone e la ruffiana allettino e insudicino altri. E insomma ! sono tutti detestabili ed esecrandi.
626 D'altra parte non solo gli adultéri (o gli incesti, gli stupri, i libertinaggi, gli amplessi illegittimi) ma ancheogni lascivia sessuale, i baci indecenti, le canzoni d'amore, le conversazioni invereconde, non di meno le fantasie oscene,sono tutte cose impudiche e insozzano l'anima.
627 Sii casto, pudico, incontaminato ; sia lontana da te l'impudenzanei gesti, l'oscenità nelle parole, l'imprudenza sfacciata nelle azioni e, perché nessuna sporcizia ti contamini, la tua castità aneli alla vita matrimoniale ; non impazzire perdendoti appassionatamente dietro le donne.
628 Lo smodato desiderio di possesso genera l'avarizia, un male insaziabile, perché l'avaro non è mai sazio di ricchezze(è preso dal timore di mancare del necessario e si affatica con mezzi buoni e cattivi per arricchire) anche se possiede borse piene zeppe di denari e ceste piene di vestiti e scrigni pieni di gioielli e suppellettili di ogni tipo, tuttavia ha paura della povertà e perciò nell'abbondanza prova la penuria: infine tuttavia ciò che si è malamente acquisito malamente lo mandano in rovina gli eredi prodighi.
629 Sii frugale così da rifuggire sia la tirchieria chela prodigalità. Non ricercare smoderatamente le ricchezze,non ammassarle ansiosamente, non disprezzarle stupidamente o prodigamentema risparmia e tutto ciò che ricevi e spendi annotalo nellibro delle entrate e delle uscite ; avrai abbastanza se non sarai povero e la parsimonia stessa sarà il tuo tesoro.
630 Il desiderio di emergere spinge gli uomini all'ambizione, all'arroganza, alla superbia, alla presunzione ; così attribuendosi meriti eccessivi o insuperbiscono in silenzio o vantano sé e le proprie cose, le ostentano, le innalzano eccessivamente e davanti a tutti, senza freni ambiscono a cariche e titoli e aspirano smisuratamente all'approvazione della folla, talvolta anche in modo ridicolo, vanagloriosi come sono.
631 Sia tua lode la moderazione : tieniti le tue qualità per te, senza ostentarle ; e cura di essere, più che di sembrare, degno d'onore. Se ti si offre un onore degno di te, accettalo con rispetto, altrimenti, se non è adatto a te, rifiuta con moderazione.
632 L'avidità di conoscere è colpevole e si ha quando un intrigante che desidera sapere molte cose oltre misura e non è capace di accontentarsi di quello che sa, si immischia in tutto, va in caccia delle minime voci da ogni parte e cerca di scoprire quello che è nascosto e così porta noia agli altri e a sè : anzi questa curiosità spinge taluni al punto che (orribile a dirsi !) per brama di onniscienza hanno fatto un patto con Satana.
633 Frena il desiderio di scienza : impara non cose in gran quantità ma scelte, non futili, ma utili (certe è meglio ignorarle) e ciò che non ti riguarda, smetti di volerlo sapere : così starete in pace tu e gli altri.
LXV Coraggio
634 Finora abbiamo visto come si debba evitare che allettamenti piacevoli ci allontanino dalla via delle virtù : segue ora come si debba fare per non essere sviati dai timori dovuti a difficoltà, pericoli e avversità.
635 Per questo occorre fortezza d'animo, capace di vincere ogni cosa per mezzo dell'equanimità, della magnanimità e della pazienza.
636 Essere equanime significa rimanere indifferente di fronte a ogni evento, e cioè non esaltarsi per i casi fortunati e non
deprimersi per la sfortuna : essere magnanimo significa non abbattersi davanti agli infortuni improvvisi, nei quali si vede in pericolo sè e il proprio scopo ma cercare la via o per evitarli prudentemente o, se si vede che sono inevitabili, per superarli impavidamente; essere paziente vuol dire sopportare con coraggio il male a cui non si è riusciti a sfuggire e, senza deviare perciò dalla retta via, fare il callo a tutto.
637 Il pusillanime al contrario si gonfia nei momenti felici e perde animo nelle avversità ; si abbatte davanti agli eventi imprevisti e trema e non sa dove rivolgersi e sussulta come una donna di fronte a qualsiasi rumore : travolto dalla disgrazia la crede cosa intollerabile e riempiendo il mondo di lamenti, piange indecentemente, urla, si lamenta, si strugge nella tristezza e così, per la sua impazienza raddoppiando le proprie disgrazie,vi soccombe.
638 Stoltamente tuttavia gli insolenti, per non essere tacciati di pusillanimità, temerariamente si mettono in faccende difficili, di cui non sono all'altezza, e fidando sulla loro temerità vanno in cerca di pericoli che potrebbero essere evitati e non c'è nulla che non osino : per questo si ritirano sconfitti e dopo osano appena borbottare o aprir bocca.
639 Tra il forte, dunque, il pigro e il temerario, che differenza c'è ? il primo compie i doveri del suo stato, il secondo li trascura, il terzo si infiamma per ciò che non lo riguarda; il primo agisce con sollecitudine, il secondo con indolenza, il terzo con precipitazione ; il primo con diligenza, il secondo con debolezza, il terzo con superficialità ; il primo con tranquillità, il secondo sbadigliando, il terzo disordinatamente; il primo senza rimandare nulla, il secondo rinviando tutto, il terzo prendendo e riprendendo in mano i diversi compiti in modo discontinuo ; il primo infine non è mai privo di forza, il secondo non smette mai di essere fiacco, il terzo non smette mai di cambiare : ora si ferma, ora si riscuote, ora riprende in mano ciò che ha smesso.
640 Tu se (fidando in Dio) sarai stato solerte per le cose oneste, impavido (imperterrito) davanti agli ostacoli e incrollabile di fronte alle avversità, dovunque otterrai completa vittoria.
LXVI Umanità
Le tre leggi della convivenza umana 641, 642. Le sette parti della umana società 643. Modestia 644, 645, 646. Affabilità 647.
Lealtà 648. Sincerità 649. Gentilezza 650,651. Socievolezza 652. Mansuetudine 653.
641 Nessuno di noi nasce per sé solo, la necessitàdella convivenza ci tiene insieme secondo una triplice legge da cui ciascuno è obbligato.
I. Non danneggiare nessuno.
II. Dare a ciascuno il suo.
III. Giovare spontaneamente a chiunque sia possibile.
642 Otterrai questi tre obbiettivi se farai luogo 1 alla umanità, non offendendo o rattristando nessuno ; 2 alla giustizia,
non ledendo il diritto di nessuno ; alla benignità, facendodel bene a chi potrai.
643 Per evitare offese sarà utile mantenere nei confrontidi tutti modestia, affabilità, lealtà, sincerità, gentilezza, cortesia, mitezza.
644 Essere modesto significa essere umile, non arrogante ; rispettoso, non sfacciato ; affabile, non litigioso o astioso ;taciturno, piuttosto che loquace ; serio, piuttosto che frivolo (è infatti sgradito il chiacchierone pettegolo che non teme di parlare di fatti e misfatti ; e il ciarlone che ciarla di sciocchezze da vecchi ; e il chiacchierone futile che parla a vanvera di segretia lui affidati; e coloro che intervengono a sproposito : tu dunque,quando non è necessario parlare, taci : non ci si pente mai di avere taciuto).
645 Soprattutto evita con gli altri il disprezzo e l'ostilità senza ragione o l'aggressività o le offese o di recare molestia o di irritare presuntuosamente o di diffamare o di ridicolizzare; deridendo se presenti o calunniando se assenti (le calunnie ricadono sul calunniatore) ; usa moderazione nel lodare, e ancora di più nel criticare.
646 Hai saputo qualcosa che deve rimanere nascosto : non divulgarlo, nascondilo piuttosto che mostrarlo . Se di una cosa non sei sicuro, non dire né sì né no e tanto meno sostienila con calore o respingila con decisione ; invece se si diffonde una certa diceria, oppure c'è chi racconta, persuade, dissuade, esorta o diffida, non contrastare caparbiamente e non insistereostinatamente perché sia la diffidenza che la credulità sono ugualmente dannose e ogni insistenza nella contraddizione odiosa.
647 Sarai affabile se non rifiuterai di frequentare ogni personaper bene (nobile e non) e se, da chiunque tu vada o oltrepassi o incontri, lo saluterai amichevolmente ; e al suo gentile saluto, se tu restituisci il saluto ; e quando se ne va via da te, se lo accompagni in qualche posto e quando lui si rivolge a te e ti fa una domanda, se tu gli rispondi con dolcezza, sia in sensopositivo che negativo : così potrai essere amico di tutti, anche se non in confidenza con tutti.
648 Mostrati leale con chiunque ti capiti di frequentare, senza astuzia e senza malizia : non sospettare facilmente il male, non incolpare un altro di nessun male . Se un amico ha fatto qualcosa di sbagliato, ammoniscilo, biasimalo, correggilo ma con dolcezza: sii alieno dall'inganno e dal sospetto, come pure dalla simulazione.Dì lealmente le cose come stanno e lascia l'adulazioneagli ipocriti ; l'adulatore finge lealtà con carezze e inganni : all'apparenza è amico, in realtà èun traditore fraudolento, un furbo scaltro.
649 Procura di essere reputato sincero : ti sarà facile se eviterai sempre di mentire, se non inventerai nulla con nessuno, non farai promesse solo a parole, non farai giuramenti facili. Se poi hai giurato, devi mantenere : perché il bugiardo(e chi giura e spergiura) per il suo spergiuro viene punito con la perdita di ogni credibilità per i giuramenti passati e presenti. I bugiardi, che inventano menzogne, li detestiamo.
650 Essere gentile vuol dire stare sempre attento a ciò che si conviene o non si conviene ; assumere un atteggiamento cortese, privo di rozzezza. Dove si piange, bisogna piangere,dove si ride, ridere ; dove si scherza, aggiungere nelle nostre azioni e nei nostri discorsi arguzie e scherzi festosi (è noioso chi non sa inventare scherzi convenienti né sopportarequelli altrui).
651 Occorre tuttavia fare attenzione a non essere sfacciatamente insolenti e a non irritare gli altri con sarcasmi e motti pungenti e a non sorridere scioccamente a tutti e a non sghignazzare senza spirito, come fanno gli imbecilli : ma avere un sorriso luminoso sarà piacevole prova della tua cortesia. Chi deride per abitudine prende in giro gli altri stupidamente ; il buffone si abbandona alla bassa adulazione ; il pagliaccio mostra disprezzoe scherno a chi attacca, e storce la bocca, mostra la lingua, fa il becco di cicogna con le mani, mostra il sedere e fa altri tipi di sberleffi.
652 Essere socievole vuol dire vivere tranquillamente con i tuoi vicini, amici, concittadini, conterranei : non invidiare a nessuno i suoi successi, congràtulati con loro ; non permettere che durino le liti che siano sorte perché non degenerino nell'odio e nell'inimicizia ; i litigiosi disputano, litigano, vivono in perenne discordia ; i lamentosi piangono e si lagnano sempre di qualcuno.
653 Essere mite significa non essere irritabile né irremovibile, incline non al ribollire dell'ira ma neppure alla sua repressione; non a restituire le offese, ma a sopportarle . Hai ricevutoun danno da qualcuno ? sii indulgente e cerca di farlo vergognare; se si pente di ciò che ha fatto, scusalo, perdona e giustifica la sua colpa. Se l'offesa viene da te non vergognarti di riconoscerla e parlane e chiedine perdono, non per finta, ma con sincerità: così ti renderai tutti completamente amici.
654 Ma essere iracondo e privo di autocontrollo e andare subito in escandescenze e fremere, infuriarsi, minacciare, maledire, scagliare imprecazioni, ribattere alle accuse con altre accuse, alle percosse con altre percosse, a che serve ? sconvolge le coseancora di più ed esaspera gli altri fino alla crudeltà bestiale, che si potrebbe solo a stento reprimere, come si vede nei casi di omicidio : ma tu fuggi lontano da simile follia.
655 L'animo generoso è padrone di sé, anche se è capace di indignarsi di fronte alle malvagità e rimprovera chi fa il male, ma senza adirarsi ; è contrario, non nemico; preferisce la mitezza alla violenza ; la benevolenza alla ostilità; placare tutti, senza irritare nessuno e così essere in accordo con tutti, senza essere in disaccordo con nessuno.
LXVIII Giustizia
Giustizia duplice 656 commutativa 657 distributiva 663, ecc.
656 La vita sociale degli uomini consiste soprattutto in un sistema di scambi e nella distribuzione tra persone di doveri, premi, pene : in entrambi i casi si esercita l'imperio della giustizia commutativa e distributiva, capace di mantenere la proporzione(o congruenza) tra cosa e cosa e tra persona e persona.
657 Essere giusto dunque significa non volere ciò che appartienea un altro né appropriarsene a sua insaputa ; restituire il deposito e non negarlo e ancor meno giurare sulla sua inesistenza,perché questo è disonesto come rubare.
658 E ciò che si riceve in prestito va restituito intatto, senza danneggiamenti e poi, nella misura del possibile, senzadeterioramento : per ciò che si scambia (si dà in cambio) si restituisce qualcos'altro, ma di pari valore.
659 Se ti si chiede uno scambio, fallo pure ; soprattutto se c'è reciproco impegno formale : chiedi tuttavia un impegno scritto di pugno, o un pegno, o un'ipoteca o altra cauzione, perché bisogna cautelarsi e perché gli uomini sono mortali e la loro lealtà malcerta.
660 Ma una volta pagato il debito, cancella il nome del debitore e rilascia la ricevuta, in cui tu attesti di essere stato pagato e di avere ricevuto il pagamento oppure rilascia l'accettazione, in cui attesti di essere stato pagato e di avere ricevuto il pagamento oppure rilascia l'accettilazione, in cui attesti di essere soddisfatto in un modo qualsiasi tra voiconvenuto.
661 Fa offesa a se stesso chi si carica di debiti al punto di essere infine costretto a cedere i suoi beni al creditore ; agli altri poi (fa offesa) chi esige (come l'usuraio) interessi illeciti al di sopra del tasso legale : ma chi impoverisce il debitore(con l'usura sull'usura) è un usuraio tristissimo.
662 In breve : agisci con giustizia, non volere niente che siad'altri, sii costante nelle tue promesse e nelle tue azioni (nelcaso di fatti volontari o di transazioni con chiunque o di richieste e a qualsiasi condizione o eccezione) : non dare modo a nessuno di lagnarsi di te.
663 Nell'attribuire benefici mantieni sempre un equilibrio : approva, loda, promuovi chi agisce lodevolmente ; rimprovera, biasima chi non è in alcun modo degno di lode ; abbi compassione di chi fa il male senza sapere o al di là della propria volontà e attribuisci gli errori all'imperizia e non usare rigidamente il biasimo o l'ingiuria ma prenditela con chi fa il male di proposito, scusa invece coloro che peccano per un istinto o impulso esterno.
664 Per ottenere un favore, non ti rincresca di chiederlo tenacemente o anche di supplicare umilmente (il mendicante superbo non ricevenulla, chi chiede importunamente è odioso e non riceve nulla) : se alla nostra giusta richiesta viene opposto un rifiuto non molestare, non brontolare, non maledire.
665 Se ci sono più aspiranti a un favore dà di più a chi più merita, di meno a chi merita meno : per i favori ricevuti da chiunque mostra gratitudine e precisamente riconoscendo, divulgando, ricambiando, ricompensando o almeno ringraziando se non è possibile restituire : infatti ricambiare i favori ed essere riconoscente molte volte non è possibile.
666 Se ricevi qualcosa da qualcuno senza averlo chiesto non restituirlo decisamente per non sembrare sprezzante e per non essere accusato di ingratitudine.
LXVIII Bontà
Natura della bontà 667 modo di compiacere gli altri 668 liberalità 669 dolcezza verso tutti 670
667 Non basta all'uomo per bene rifuggire dai contrasti ; egli cerca di giovare a tutti prestando gratuitamente i suoi favori.
668 Perciò tu, se uno ha bisogno di consiglio, consiglialo; di consolazione, consolalo ; di aiuto, aiutalo ; di soldi, dagliene; di patrocinio, difendilo : suggerisci una cosa a chi non la sa, se tu la conosci : non fermare chi ti viene incontro e se tu puoi beneficare chiunque in qualsiasi maniera, non farglielo pesare : perché così non meriterai più riconoscenza; chi non è gentile vuole essere pregato o si fa aspettare.
669 Sei ricco ? sii dunque generoso con gli amici di strenne e regali : cogli stranieri, ospitale ; coi poveri, caritatevole (anche se non sei ricco, dividi il poco ; se non con larghezza, almeno con generosità) ; verso i miseri, sii misericordioso, senza irridere ma compatendo la loro disgrazia e così non aggiungendo ma togliendo afflizione agli afflitti.
670 Con l'ossequio verso i superiori, la generosità versoi tuoi pari, la dolcezza e la mitezza verso gli inferiori ti procurerai delle vere amicizie e non riceverai disprezzo dagli altri, come capita di solito agli arroganti, ai superbi, ai parassiti, anzi, ti concilierai perfino i tuoi nemici.
LXIX Devozione religiosa
671 Ti deve stare sempre e dovunque davanti agli occhi quelloche è al di sopra di tutto e dalla cui grazia soltantoa te elle tue cose possono venire benedizione e dalla cui collera possono venire invece maledizione e rovina : questo soltanto devi temere, amare in sommo grado, invocare sempre e mai peccare al suo cospetto in nessun luogo e affidargli ogni tuo bene : sicuramente Egli ti renderà magnificamente beato !
LXX Costanza
Le tre coronidi delle virtù 672 Integrità 673 Sincerità 674 Costanza 675 Chiunque le aggiunge alle altre virtù è felice.
672 Sebbene la nostra rassegna non sia completa, tuttavia tu, per apprestarti un abito di completa onestà, aggiungi come coronidi la costanza, la integrità della virtù e la sincerità.
673 L'integrità richiede la ricerca della presenza di ogni virtù capace di renderti onesto e integro in ciascuno stato o grado della tua vita o condizione : così sia la modestia, la silenziosità, la capacità di ascoltare, l'agilità, la pulizia ad adornare la tua adolescenza ; la reverenza, la castità, l'operosità, la gentilezza, la fedeltà, la tua giovinezza; l'operosità e la prudenza, la tua maturità ; la gravità, la saggezza, l'attesa e il disprezzo della morte, la tua vecchiaia.
674 La sincerità esige che si agisca senza affettazione, simulazione, in apparenza o per modo di dire ; e si faccia tutto con sincerità, con rispetto della verità e in buona fede ; che ci si mantenga, anche senza sorveglianza, puri e immuni da colpa : a questo fine e per essere più vicino alla perfezione, devi essere coscienzioso ; ogni cosa che ti sembri necessaria (anche minima) devi badare a non consapevolmente trascurarla di tua volontà.
675 La costanza richiede di permanere fermi in un proposito eccellente, anche se c'è chi tenta di farci recedere ; di essere pronti a morire piuttosto che sporcarsi e perdere il proprio onore ; se ci viene offerta un'alternativa migliore, non essere ostinati: è meglio ritirarsi che avanzare malamente.
676 Ti rendi conto di quanto stia in te essere felice, solo che tu voglia perseverare ? affrettati dunque a metterti al servizio di Dio e di te stesso ! così sarai in potere a te stesso e non tratto o travolto dal capriccio altrui ; e così, completamente consapevole di te stesso, resterai sicuro e indenne ed esulterai con moderazione.