La melagrana

LA MELAGRANA
Presentato durante i lavori rituali del 22 febbraio 2011 dal Fr∴ Antonino Capodicasa.

Nota del 2° Sorvegliante:
E' una tavola frutto di ricerche e di un lavoro meticoloso, di straordinaria bellezza, che svela l'essenza della Massoneria, il significato dei simboli, il senso del nostro lavoro, e, verosimilmente, utilissima agli Apprendisti (e non solo) nel cammino iniziatico, quindi ne suggeriamo ai MM.VV. e al 2° Sovegliante di riproporla periodicamente per la trattazione.  

« Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente.
Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente.
Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente.
Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente.
Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi.
Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai.
Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai.
Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei. »
San Giovanni della Croce

Le tracce dell’esistenza di un’unica saggezza primordiale, oltre che nelle opere di Platone sono anche negli insegnamenti di Ammonio Sacca, Budda, Pitagora, Orfeo, Confucio, Socrate e persino del Cristo Gesù, i quali, pur non avendo scritto, tramite i discepoli ci hanno tramandato le loro conoscenze riconducibili essenzialmente ad una comune origine. 
Se quindi con genuino desiderio i Massoni inseguono la saggezza al pari di coloro che Platone definisce “filosofi” - amanti della sapienza – ebbene allora non devono certamente disperdere le loro energie e concentrarsi, al contrario, sui pensieri dei pensatori piuttosto che sulla loro realtà storica! 
Non è “massonico” il cercare l’origine delle cose rinunciando, per un qualsiasi pregiudizio, a indagare liberamente a 360°. 
Nondimeno la storia, seppure scandisce i tempi delle cose sensoriali, non può davvero rappresentare il punto centrale quando meno è invischiato nel tempo e nello spazio, dal momento che riguarda verità universali nei cui confronti la storia è impotente, nel bene come nel male.  
Il F:. Giosué Carducci nel 1871 scrisse la poesia “ Pianto Antico” dedicandola al figlio Dante, morto a solo 3 anni di tifo, che era stato l'ultimo, unico frutto, di una pianta, di quella ormai inutile vita che Carducci sentiva non più scorrere in lui. 
“ Ormai il poeta non piange più, è completamente inaridito perché la sua vita è stata spezzata dalle radici. Quel piccolo orto, prima luminoso e sonoro dei rossi colori del melograno e dei giochi del bimbo ora appare al poeta troppo silenzioso e solitario ed ormai né il sole, né l'amore potranno farvi ritornare la vita “.

“L'albero a cui tendevi la pargoletta mano,
  il verde melograno da' bei vermigli fior
  nel muto orto solingo rinverdì tutto or ora,
  e giugno lo ristora di luce e di calor. 
  Tu fior de la mia pianta 
  Percossa e inaridita,
  Tu de l'inutil vita
  Estremo unico fior,
  Sei ne la terra fredda,
  Sei ne la terra negra;
  Né il sol più ti rallegra
  Né ti risveglia amor . ” 

Quest'albero, che al termine dell'inverno appare secco e arido, tale da sembrare ormai morto, ecco che invece ricomincia a nascere al calore del sole primaverile e a mettere quei bei piccoli fiori, di un rosso intenso come quello del sangue vitale, che la giovane vita del piccolo Dante invano ha cercato di afferrare. Il melograno resusciterà a nuova vita non così il bambino ormai per sempre nella terra fredda e nera.
La melagrana, il cui nome deriva da “malum”, mela, e da “garantum”, con grani, si pone funzionalmente, come una immagine particolarmente adatta alla ricerca dei simboli e delle figure allegoriche dell’arte suscettibile com’è dei diversi gradi di lettura resi possibili, dall’interscambio tra l’Oriente e l’Occidente.
La melagrana nell'antichità era anche simbolo di fertilità ma anche, specie nell'arte rinascimentale italiana, in Donatello, Michelozzo, Verrocchio, Rossellino ed altri, motivo ornamentale diffuso anche nella scultura, soprattutto sepolcrale e nell’architettura classica, era anche simbolo di morte. Questo frutto è stato rappresentato tra le mani di divinità a cui era consacrato e l’albero è stato sempre simbolo da millenni di prosperità, fortuna, eros, ma ance dell’Aldilà, per tutte le culture che si sono lasciate sedurre dai suoi frutti, ricchi di semi dall’attraente colore rosso ed espressione dell’esuberanza della vita. 
Simbolo universale, ha dato anche il suo nome ad una famosa città spagnola, Granata, dopo che nell’800 d.C. i Mauretani lo trasportarono nella penisola Iberica. Durante l’epoca barocca, l’abbondanza dei semi è divenuto simbolo della carità, del donare per amore, mentre in araldica è divenuto l’emblema di Granada e della Columbia ( l’ex “Nuova Granada”). 
Nell’arte copta (1) si incontra l’albero del melograno come simbolo di resurrezione e le leggende, le tradizioni ed i simbolismi collegati al melograno sono tanti quanti i suoi semi! La melagrana si presta pertanto a rappresentare, per via della sua valenza squisitamente formale, la prima origine delle potenzialità, di tutte le potenzialità. In tal senso è il seme di tutti i semi ed è insieme potenza, come promessa del frutto, ed atto, come proprio mero esistere in quanto tale. I molti semi alludono alle caratteristiche molteplici di questo simbolo specifico, in virtù della giusta posizione delle varie tradizioni che ad esso si riferiscono, quasi desiderando, la presenza di un ordine implicito che renda funzionalmente analoghe tutte le varie interpretazioni. 
La simbologia cristiana trasfigura in senso spirituale il motivo della ricchezza e del dono; il frutto accostato alla figura di Cristo indica l'amore per l'umanità sino all'estremo dono, tali i significati della melagrana spaccata tra le mani della Vergine e del Bambino nella celebre tela del Botticelli. Nell’iconografia Cristiana, sono davvero molte le rappresentazioni della Madonna con in mano questo frutto. Pensiamo a due opere di Sandro Botticelli, in questo senso: la Madonna della Melagrana (1487 circa, oggi agli Uffizi ) e la Madonna del Magnificat (1481-1485, sempre agli Uffizi ). 
In entrambe le opere, il frutto è tenuto in mano sia dalla Vergine che dal Bambino, per cui, qui il melograno avrebbe doppio significato di castità e resurrezione. Sempre in entrambe le opere, il melograno è aperto e mostra i propri chicchi rappresentando, oltre ai due significati precedenti, anche la Chiesa che riunisce in sé diversi popoli, l’Amore di Dio e la ricchezza dei misteri divini.
Altre immagini raffiguranti la Madonna con la melagrana sono a firma di: Leonardo Da Vinci - Jacopo della Quercia e il sogno del melograno di Castrati. Nell’opera di Pier della Francesca si trova diffusamente il disegno “a melagrana” tant’è che per ben sedici volte egli ha raffigurato un tessuto con il disegno del frutto. 
Nel santuario di Santa Maria del Granato a Capaccio Vecchio, in provincia di Salerno, si venera una Vergine col Bambin Gesù, la Madonna del Granato, che tiene nella mano destra una melagrana, quasi fosse uno scettro. 
Nel Museo di Paestum, è conservata una statua arcaica, probabilmente del VII sec. A.C., in terracotta e rappresentanti nutrice come donne stanti o sedute in trono, con un bimbo in braccio e recanti la melagrana. Nello stesso museo un'altra statua arcaica di terracotta rappresenta una dea non identificata, seduta su un trono e con lo stesso frutto.
Nel territorio di Giarratana, si ha notizia di una prima chiesa dedicata all’Apostolo San Bartolomeo negli anni 1308-1310. La primitiva statua del Santo, del XVI secolo, che è custodita in Chiesa Madre, viene esposta con il ricco trono su una pedana, che funge da basamento, che è pervasa da un motivo floreale con foglie di acanto e ciascun lato contiene una testa di angelo, mentre agli angoli si notano teste di draghi, tipici della scultura del 1500 e la presenza di melagrane, un elemento tipico dell’iconografia paleocristiana, oltre ad essere un frutto tipico delle terre di Giarratana.
Più volte è citata nella Bibbia come uno dei frutti della terra promessa e citato come segno di fertilità: "Perché il tuo Signore t’indurrà in un’ottima terra...terra da grano, da orzo e da viti, dove prosperano i fichi, i melograni e gli uliveti".
Potrebbero essere questi i motivi che indussero Hiram, l’architetto del Tempio di Salomone, a riportare l’immagine scolpita della melagrana intorno ai capitelli delle due Colonne: 
"Compì le colonne con due ordini di melagrane attorno al reticolato, da coprirne il capitello che sormontava la colonna. Lo stesso fece al capitello dell’altra... 
V’erano inoltre, in cima alle colonne, sopra ai reticolati, altri capitelli proporzionati alla colonna, ed intorno a questo secondo capitello, disposte in ordine, altre duecento melagrane".
È il frutto simbolo di quell’abbondanza che gli antichi greci personificavano nella dea “Era” - La Madre terra, e che, invece, gli ebrei dell’Esodo riferivano a quella fertile terra che Dio aveva promesso di dare in dono ai loro antenati (Abramo, Isacco, Giacobbe). Terra dell’abbondanza che gli ebrei appunto designavano con termine enfatico come: “terra dove scorre latte e miele”
Secondo un mito greco il primo melograno nacque dalle stille di sangue di Dioniso. Quando uscì dal rifugio che era stata la coscia del padre Zeus, il piccolo fu catturato da Titani che, ispirati dalla gelosissima “Era”, lo fecero a pezzi e poi lo misero a bollire in un paiolo. Dal sangue che si era sparso spuntò un albero, il melograno; e altri sorsero sulle tombe di giovani eroi racchiudendo nell'essenza vegetale le stille del loro sangue. 
In Grecia, il melograno era considerato una pianta sacra a Venere e a Giunone e secondo una leggenda, fu Afrodite che impiantò questo albero a Cipro. 
Le donne ateniesi mangiavano i semi del frutto per conquistare fertilità e prosperità; i sacerdoti erano incoronati con rami di melograno ma non potevano mangiarne i frutti. 
Veniva usato in polvere come medicinale, come tintura o come aroma aromatizzante dei vini rossi o per conciare con la buccia essiccata la pelle come facevano i romani.
Le decorazioni che riportano immagini del melograno sono molto comuni in Grecia e, proprio nella lingua greca, il nome usato per la melagrana, ha il significato uguale allo “scorrere della forza dell’universo”. 
Durante le feste in onore della dea Demetra, le ateniesi mangiavano i semi luccicanti del frutto per conquistare la fertilità e la prosperità, mentre i sacerdoti erano incoronati con rami di melograno, ma non potevano mangiarne il frutto in quanto, come simbolo di fertilità, aveva la proprietà di far scendere l’anima nella carne. 
Persefone aveva mangiato sei chicchi di melagrana offerti da Plutone per farle dimenticare la madre Demetra, madre di tutti gli dei, protettrice del matrimonio e della fertilità, e fu condannata agli inferi per aver mangiato sette chicchi di melagrana. 
Ma il più antico mito della Grecia che lo riguarda è quello che lo associa ad Orione, che era la più grande e luminosa costellazione e che si diceva fosse un’enorme figura gigantesca, figlio della terra e famosissimo per la sua bellezza. Si racconta che avesse sposato Side, ma che non fosse stato fortunato nella scelta, poiché lei era così vanitosa da credere di essere più bella della stessa. Era, e per questo la dea la punì scaraventandola nell’Ade (2), ove si trasformò in melograno. 
In base ad un altro mito, per volontà delle Erinni (3), un melograno fiorì sulla tomba di Polinice, i cui frutti quando venivano aperti colavano sangue. L’albero, infine, che fiorì dal sangue di Dioniso era proprio un melograno. 
Le melagrane sono state raffigurate nelle tombe egizie del 2500 a.C., di cui nella tomba di Ramses IV (1145 a.C.), e nominate nelle iscrizioni di Tutmosi I (4) (1547 a.C.). 
Per le sue proprietà terapeutiche e vermifughe, nell'antico Egitto, era ritenuta pianta medicinale e in alcuni riti funebri sembra che si aveva la consuetudine di porre all’interno dei sepolcri i frutti di melagrana e i semi. 
I Romani ornavano il capo delle spose con rametti di questa pianta per augurare loro fertilità; in effetti, a Roma la melagrana era tenuta in mano da Giunone e rappresentava il matrimonio, l’amore e quindi i frutti di questo amore. Chiaramente, anche presso i Romani il frutto aveva il significato opposto, cioè di morte; infatti, si possono osservare in molte tombe romane, sopra le epigrafi, dei melograni in basso rilievo, oltre che a immagini di uva e della vite ecc. 
Nell'Induismo, uno dei nomi del Dio Ganesha è "Bijapuraphalasakta", colui che gradisce la frutta dai molti semi - il melograno. 
In India le donne sterili ne bevono il succo e ancora oggi, in Vietnam si canta : “La melagrana si apre e lascia venire cento figli”, mentre in Turchia la sposa getta per terra una granata: avrà tanti figli, si dice, quanti sono i chicchi usciti dal frutto.
 Il Melograno è il simbolo più riprodotto sui tappeti orientali, e anche l'unico simbolo che ha conosciuto un'ampia diffusione in tutta l'Asia, tanto che lo si ritrova sia nell' iconografia islamica, sia in quella cinese. I disegni dei Tappeti Orientali costituiscono indubbiamente uno degli aspetti artistici più accattivanti, in grado di catturare l'attenzione di ogni osservatore. E' impossibile infatti non essere attratti dai decori floreali, che spesso si susseguono con una minuzia calligrafica davvero sorprendente, o dal rigore e dall'austera ripetizione di motivi geometrici, con il loro profilo spigoloso e ordinato. Tuttavia, l'analisi dei decori rappresenta simboli di antichissima origine che esprimono interessanti concetti legati alla storia, alle religioni e alla cultura dei popoli d'Oriente, anche se oggi, chi li riproduce, non ne conosce più il loro profondo e autorevole messaggio.
La Decorazione Floreale prende spunto dal mondo animale e vegetale, dando vita a tutta una serie di disegni e simboli che vengono riportati con uno stile quasi fotografico. All'interno di essa, possiamo notare una "sottocategoria" che chiameremo dei "tappeti figurati", esemplari relativamente più rari, che riproducono, più o meno fedelmente, scene di vita quotidiana o paesaggi, architetture ecc. 
La Decorazione Geometrica presenta tratti e simboli caratterizzati da geometrie molto ben definite e nette, linee dritte, angoli, assenza totale di smussature e ripetizione di elementi geometrici basilari. In effetti, spesso anche nella decorazione geometrica ci si trova davanti a motivi che traggono ispirazione o che vogliono descrivere fiori e animali, ma questi vengono "stilizzati". 
Le tribù nomadi sono state per secoli custodi di questi simboli primitivi, sopravvissuti a diversi periodi storici e tante religioni. I vari motivi rappresentati nel disegno di un tappeto rivestono un significato simbolico di grande interesse. D'altro canto la simbologia nei tappeti è un argomento estremamente complesso.
Simboli del Mondo Vegetale - Nel patrimonio simbolico dei tappeti d'Oriente un grande spazio è riservato anche alla celebrazione del mondo vegetale, attraverso la frequente riproduzione dell'Albero della Vita. E' facile comprendere l'importanza di questo motivo se si considera che molti popoli asiatici, secoli e secoli fa, conducevano la loro esistenza nomade peregrinando in terre aride e desertiche, dove la presenza della vegetazione nelle rare oasi significava la possibilità di trovare la preziosissima acqua, elemento indispensabile per la sopravvivenza.
Proprio da ciò è scaturita l'immagine che lega strettamente l'albero alla vita stessa, e ogni pianta viene concepita come un elemento in grado di collegare le tre parti principali che costituiscono l'universo: 
- il sottosuolo, dominato da forze magiche, dove si insinuano le radici;
- la superficie della terra, regno degli uomini, dove il fusto cresce e si sviluppa;
- il cielo, luogo del divino, verso il quale si protendono le chiome. 
Molto diffuso e rappresentato nel periodo sasanide (termine ormai preferito a Sassanidi, furono l'ultima dinastia indigena a governare la Persia prima della conquista islamica), utilizzato fra l'altro nel culto di Zoroastro anche come immagine del sole, in Persia il melograno divenne poi uno dei motivi più ricorrenti e amati dai Safavidi (5). Con sorprendente frequenza essi lo fecero riprodurre sui loro celebri tappeti, come tuttora si può verificare osservando uno dei più famosi esemplari conservati al “ Victoria and Albert Museum” di Londra, che con bizzarra innovazione riproduce il frutto spaccato, in cui si distinguono i chicchi colorati. 
L'idea conobbe un notevole successo, e un'ulteriore elaborazione di questa tipologia iconografica diede luogo al disegno denominato fiore a scacchiera, in cui i semi del frutto vengono rappresentati in modo piuttosto geometrico, come ordinate maglie ortogonali. I Safavidi fecero anche realizzare sui loro tappeti i fiori dell'albero e non a caso tale motivo è tuttora chiamato fiore Shah Abbasi dal nome di uno dei sovrani più importanti della potente dinastia. Per portare variazioni a questo unico decoro si rappresentarono anche corolle a petali semichiusi, oppure si celebrò l'importanza dell'albero di melograno riproducendolo interamente, per far pendere dai suoi rami i saporiti e ricchi frutti.
Simboli Numerici – Anche certe raffigurazioni simboliche legate al valore magico dei numeri hanno lasciato la loro testimonianza in alcuni aspetti iconografici dei tappeti orientali. Privilegiato è il quattro, emblema degli elementi originari (aria, acqua, terra e fuoco), delle stagioni, dei punti cardinali e delle settimane che si susseguono in un mese. 
La sua rappresentazione ha influenzato gli impianti di molti esemplari costituiti da un medaglione centrale e da quattro cantonali, ognuno dei quali è esattamente la quarta parte del medaglione che campeggia al centro. Questa forma di quadripartizione dello spazio, trova la sua corrispondenza nell'antichissimo simbolo della luna sumera divisa in quattro spicchi che, uniti, compongono un intero.
Simboli Religiosi – Sui tappeti si riproducono elementi architettonici e decorativi di origine islamica: ad esempio la nicchia, o mehrab (a destra), che nelle moschee è sempre posizionata verso la Mecca, e la lampada, sempre accesa nei luoghi di culto per indicare l'immortalità del divino. 
Dalla cosmogonia taoista deriva il noto emblema dello yin e dello yang, rappresentato da un cerchio con una parte chiara, solitamente gialla, e una scura, in genere blu. 
Sintetizza ed esprime i principi dualistici che regolano il mondo, dalla cui unione hanno avuto origine (nella tradizione orientale) i cinque elementi primari: la terra, il fuoco, il metallo, l'acqua e il cielo. 
Lo yang viene identificato con l'essenza maschile attiva, mentre lo yin corrisponde a quella femminile passiva. 
Per portare variazioni a questo unico decoro si rappresentarono anche corolle a petali semichiusi, oppure si celebrò l'importanza dell'albero di melograno riproducendolo interamente, per far pendere dai suoi rami i saporiti e ricchi frutti. 
Nel Deuteronomio (6), (cap.8,8) si menziona questo frutto nella nutrita lista dei prodotti che questa “terra promessa” produce: 
 “ E osserva i comandamenti dell’Eterno, dell’Iddio tuo, camminando nelle sue vie 
    e temendolo; perché il tuo Dio, l’Eterno, sta per farti entrare in un buon paese: 
    paese di corsi d’acqua, di laghi e di sorgenti che nascono nelle valli e nei monti;
    paese di frumento, d’orzo, di vigne, di fichi e di melagrani; 
    paese d’ulivi da olio e di miele; 
    paese dove mangerai del pane a volontà, dove non ti mancherà nulla;
    paese dove le pietre son ferro, e dai cui monti scaverai il rame ”.
In Deuteronomio Dio avverte cap. 4:2 - "Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore Dio vostro che io vi prescrivo".
Sull’appartenenza della melagrana alla simbologia biblica vi è la presenza di questo frutto nel testo sacro. Il nome del frutto in ebraico è: “Rimmon”, che la Bibbia traduce con “Roa” e la Vulgata con il latino “Melogranatum”, da cui la nostra forma dialettale “ granato ”.
Il frutto della melagrana, che richiama metaforicamente l’Albero della Vita posto nel Gran Eden, simboleggia le 613 Mitzvot sia perché conta lo stesso numero di chicchi sia perché nella Torah (7) è definita fonte di vita. Gli ebrei hanno diluito i 10 comandamenti in ben 613 precetti – Mitzvot - che si dividono in 248 obblighi e 365 divieti.
Il frutto, tipico di tutta l’area mediterranea, è pure molto presente nel territorio palestinese, coltivato fin dai tempi antichi, tanto da essere entrato in molti toponimi della regione della Terra Santa:  
- Gat-Rimmon, nel territorio della tribù di Manasse, 
- En- Rimmon nel deserto del Negheb 
- Rimmon nel territorio della tribù di Zabulon”.
Come sempre, i numeri non sono casuali ma hanno un significato simbolico:
“…come ci insegna la Tradizione Rabbinica 248 era considerato infatti il numero delle ossa del corpo umano e 365 sono notoriamente i giorni dell’anno - inoltre i tendini che collegano tra loro le ossa -; attraverso questi numeri ci sembra quindi voler dire che con le nostre 248 singole ossa dobbiamo compiere le 248 azioni prescritte e che ogni giorno dell’anno dobbiamo impegnarci a non violare i 365 precetti negativi “.
Secondo la simbologia cristiana e cattolica la melagrana rappresenta l’energia vitale, espressione dell'esuberanza della vita, e significa fecondità, abbondanza, amore ardente, carità, umiltà, unione di tutti i figli della Chiesa.
La melagrana è menzionata come ornamento su gli abiti liturgici nel tempio di Gerusalemme; è scritto nel libro dell’Esodo : 
Esodo 28:33 - Farai sul suo lembo melagrane di porpora viola, di porpora rossa e di 
 scarlatto, intorno al suo lembo, e in mezzo porrai sonagli d'oro 
Esodo 28:34 - Un sonaglio d'oro e una melagrana, un sonaglio d'oro e una melagrana  intorno all'orlo del manto.  
Esodo 28:35 - Esso rivestirà Aronne nelle funzioni sacerdotali e se ne sentirà il suono quando egli entrerà nel Santo alla presenza del Signore e quando ne uscirà; così non morirà.
Esodo 39:24 - Fecero sul lembo del manto melagrane di porpora viola, di porpora rossa, di scarlatto e di bisso ritorto.
Esodo 39:25 - Fecero sonagli d'oro puro e collocarono i sonagli in mezzo alle melagrane, intorno all'orlo del manto: 
Esodo 39:26 - un sonaglio e una melagrana, un sonaglio e una melagrana lungo tutto il giro del lembo del manto, per l'esercizio del ministero, come il Signore aveva ordinato a Mosè.
Troviamo menzionato questo frutto anche nel “ Libro dei Numeri ” (8): 
cap. 13,33 - “Giunsero fino alla valle di Escol, dove tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche Melagrane e fichi”.
Sempre nel medesimo Libro dei “Numeri” è raccontato come gli ebrei, ancora dimoranti sotto le tende nel deserto, si lamentano contro Mosé dicendo: 
cap. 20,5 - “ Perché ci hai fatto uscire dall’Egitto per condurci in questo luogo inospitale? Non è un luogo dove si possa seminare, non ci sono fichi, non vigne, non melograni ”.
Il Corano cita diverse volte il melograno, come esempio di cose buone create da Allah, e come frutto trovato nel giardino del Paradiso, descritto tra le buone cose create da Dio.
6:99 – “ Ed è lui che fa scendere l’acqua dal cielo, con la quale germogliano piante di ogni specie, da essa facciamo nascere verde fogliame e da essa grani in spighe e palme dalle cui spate pendono grappoli di datteri. E vigne olivi e melograni, che si assomigliano ma sono diversi gli uni dagli altri. Guardate i frutti quando si formano e maturano, in tutto questo sono i Segni per i Credenti! “.
6:141 - “Egli è colui che ha creato giardini di vigne con pergolati e senza pergolati, palme e piante dai diversi frutti, l’olivo e il melograno, simili, ma dissimili; mangiatene i frutti e versatene quanto dovuto nel giorno stesso della raccolta, senza eccessi, ché Allah non amagli stravaganti”.
“Ogni chicco di melograno che raggiunge lo stomaco è vita per il cuore e luce per l’anima e le tentazioni di Satana saranno placate per quaranta mattine. Ricorda inoltre che il melograno è uno dei frutti del paradiso.
55:68 – “Iddio afferma:- in entrambi vi saranno frutti, palme e melograni – “Chi mangia un melograno prima di andare a dormire, si rende sicuro   fino al mattino seguente”. Mangia melagrana in quanto purifica il corpo dalla gelosia e dall’odio”.
 E’ nel “culto dell’antica alleanza“ (9), tuttavia, che troviamo l’utilizzo più indicativo dell’immagine del melograno. 
Sui capitelli bronzei delle colonne d’ingresso del tempio di Gerusalemme, sono scolpite ghirlande di melograni: 
Nel I° Libro dei Re (10) al cap.7,18-20-42 è scritto: 
“ fece melagrane su due file intorno al reticolato per coprire i capitelli opra le colonne...c’erano capitelli sopra le colonne...essi contenevano    duecento melagrane in fila intorno a ogni capitello”.
“ Chiram, terminò tutte le commissioni del Re Salomone....le quattrocento     melagrane sui due reticolati, due file di melagrane per ogni reticolato”.
Anche nel II° Libro dei Re al cap. 25,17 - si fa riferimento a questo frutto quando si narra della presa di Gerusalemme e della distruzione del Tempio: 
“ I Caldei fecero a pezzi le colonne di bronzo che erano nel tempio e asportarono tutto il loro bronzo in Babilonia. Delle colonne poi ciascuna era sormontata da un capitello e tutto intorno al capitello c’erano un reticolato e melagrane ”.
I libri delle “Cronache” (11) che fanno parte dei libri storici dell’Antico Testamento, libro che riferiscono le notizie omesse nei libri dei Re, sono opera del giudaismo post-esilico, e riportano ai cap. 3,16 e 4,13 le seguenti note: 
“ fece ghirlande e le pose sulla cima delle colonne; fece anche cento melagrane e le collocò fra le ghirlande”. 
“ Chiram fece le quattrocento melagrane per ogni reticolato per coprire i due globi dei capitelli sopra le colonne”. 
La mistica cristiana traspone il simbolismo del “Cantico dei Cantici” (12) sul piano spirituale e, per questo, San Giovanni della Croce considera i semi di melagrana rappresentativi delle perfezioni divine e la rotondità del frutto un espressione dell’eternità. 
La soavità del succo diventa simbolo di godimento dell’anima che ama e conosce. I padri della Chiesa hanno visto nella melagrana una figurazione della Chiesa stessa (riferimento a san Paolo), “edificati sopra il fondamento degli Apostoli” Efesini (13) 2,20. Infatti come la melagrana contiene sotto un unica scorza un gran numero di semi, così la chiesa unisce in una sola fede popoli diversi. 
Anche il Cantico dei Cantici descrive il significato estetico e poetico della melagrana; è scritto, infatti: "Come spicchio di melagrana sono le tue guance, senza quello che di dentro si nasconde".
E più avanti il melograno ritorna, ma come simbolo di fertilità, speranza e fecondità: 
"Ero discesa nel giardino delle noci, per osservare i frutti delle valli, per vedere se la vigna fosse fiorita, se avessero germogliato i melograni. Io ti prenderò, ti condurrò nella casa di mia madre, là mi istruirai, io ti darò da bere il vino drogato ed il mosto delle mie melagrane". 
“ Ti farò bere il vino aromatico ed il mosto delle mie melagrane”.
Legato alla femminilità, esso viene anche citato nel Cantico dei Cantici :
“Come spicchio di melagrana la tua gota attraverso il velo” e, “I tuoi germogli sono un giardino di melagrane, con i frutti più squisiti”, ma è anche simbolo, oltre che di Fecondità e Prosperità, della Benedizione Divina. 
Il Signore, in Esodo, dice ad Aronne di ricamare nel bordo dell’abito sacerdotale varie melagrane di colore viola, porpora rossa e scarlatto, in mezzo a sonagli d’oro. 
San Gregorio di Nissa (14), Padre della Chiesa del IV secolo D.C, suggerisce che le melagrane sull'orlo del manto indicano uno stile di vita disciplinato e duro, come la scorza del frutto, in grado di compensare chi lo pratica con speranze, ricchezze e gratificazioni interiori, dolci come i chicchi in esso racchiusi. Secondo Gregorio di Nissa, la melagrana avrebbe anche rappresentato lo splendore di buone azioni: 
un tenore di vita saggio e duro - come la buccia del melograno - è ricolmo di buone speranze quando a tempo debito fiorisce - come la parte interna del frutto “. 
Ma questa idea non influirà molto sul pensiero medievale, dove invece il frutto indicherà la Chiesa che unisce in sé, in una sola fede, popoli diversi come i chicchi, che possono anche indicare la ricchezza dei martiri e dei misteri della Chiesa. Ma anche il succo rosso del frutto ricorda il sangue dei martiri. Inoltre, essendo il guscio duro, mentre all’interno la polpa è dolce e morbida, la melagrana ha anche simbolizzato la figura del sacerdote, severo esteriormente ma interiormente benevolo. Nel caso, poi, la melagrana fosse rappresentato aperto, avrebbe simbolizzato l’amore misericordioso del Cristo che si dona.
San Giovanni della Croce (15), mille e duecento anni dopo, scrive nel “Cantico spirituale”: "come ogni melagrana contiene molti chicchi nati e contenuti nella sua cavità sferica, così ogni attributo, mistero, giudizio e virtù di Dio contiene una grande moltitudine di effetti e provvidenze".
Rimanendo sempre in questo ambito, San Giovanni della Croce, nel Cantico spirituale fa dire alla sposa (che rappresenta l’anima la quale si rivolge all’Amore- Cristo): “ Godiamoci l’un l’altro, amato e andiamo a rimirarci nella tua bellezza alla selva e al colle, di dove scaturisce l’acqua pura: inoltriamoci nella macchia. E poi alle profonde caverne della pietra ce ne andremo e lì ci introdurremo e gusteremo il succo di melegrane che stanno ben nascoste”.
L’anima che vive nell’unione perfetta con Dio gli chiede di ricevere da Lui gioia e letizia, di diventare simile all’amato, di conoscere i suoi segreti e di penetrare nei misteri della sapienza divina nascosti in Cristo.
Ogni mistero divino è simboleggiato da una melagrana (i molti chicchi rappresentano le provvidenze di Dio contenuti da ogni virtù, mistero e giudizio)
La forma circolare del frutto che simboleggia Dio è il suo essere senza principio né fine e il suo succo è ciò che l’anima riceve dalla conoscenza. 
Come ci spiega Cattabiani (16), nel Rinascimento la Granata che raccoglie in sé i grani era considerato un simbolo di Giunone come: “conservatrice dell’unione dei popoli e suscitatrice della concordia famigliare". 
Cattabiani cita anche la Madonna del Granato del Carpaccio, dove la Madonna tiene il frutto nella mano destra come uno scettro. Il legame con le Grandi Madri antiche è abbastanza lampante e quindi il simbolo è quello di Grande Madre che genera e rigenera il cosmo; qui, la Vergine - con le Sacre Nozze - diventa genitrice del Figlio, apportatrice di fecondità spirituale a tutta l’umanità e portatrice dell’Amore divino.
Se è il Bambino a portare il frutto,  nell’iconografia medievale e rinascimentale, di solito indica l’Amore che si sacrifica e che poi rinasce (come il seme che cadendo in terra muore e si trasforma per rinascere) per redimere l’uomo. 
La melagrana si trova spesso anche in diversi dipinti che di sacro non hanno assolutamente nulla. 
Uno di questi dipinti, ad esempio, raffigura Matilde di Canossa, molto legata sì alla chiesa, ma donna di potere nel periodo medievale, con un melograno in mano per indicare i propri possedimenti. 
Un altro esempio di questo tipo, lo possiamo trovare in un dipinto di Albrecht Durer intitolato “L’imperatore Massimiliano I” (1519, Vienna), in cui appunto l’imperatore tiene in mano una melagrana che in questo caso rappresenta l’unione di molti sotto una singola autorità. 
Un altro dipinto di questo tipo è quello di Nicolò dell’Abate, Ritratto di giovane (1548-1552, Vienna), in cui un giovane uomo nobile, forse un letterato, viene ritratto con il frutto in mano che qui dovrebbe indicare la carità e la ricchezza interiore del protagonista.
Per questo Cesare Ripa (17) nella sua Iconologia (edita per la prima volta a Roma. e successivamente più volte ripubblicata, riporta  un ricco corredo di xilografie che, da sempre, furono considerate derivate in gran parte dai disegni di Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino, famoso pittore contemporaneo) nel 1593, dice che la Concordia viene rappresentata con una bella donna che tiene nella mano destra un melograno e nella sinistra uno scettro con in cima fiori e frutti.
Nella “Iconologia" la melagrana vi ricorre in ben tre figure: 
  • come due melagrane trattenute dalla mano sinistra della donna incoronata raffigurante “Accademia”; 
  • come una  melagrana su di un vassoio tenuto alto dalla figura femminile della    “Concordia”; 
  • come una melagrana il cui ramo, insieme ad un mirto, si avvolge in doppia elica intorno al   Caduceo impugnato da “Conversatione”, figura impersonificata da un giovane  dall’aspetto cordiale.
Anche Accademia, che riuniva diverse persone, era rappresentata da questo frutto che, tra l’altro, appariva nell’allegoria della Conversazione: “ un giovane ridente, vestito di verde, con una ghirlanda di alloro in testa con nella mano sinistra un caduceo a cui erano attorcigliati un ramo di melograno e di mirto; sopra, le alette di una lingua umana “.   
Il giovane sembra fare una riverenza, con il braccio destro teso in avanti da dove pende un nastro con la scritta “Veh soli”. 
Sull'esempio dei romanzi ciclici dell'ottocento di Honorè de Balzac (La commedia umana), di Zola (i Rougon-Macquart), di Verga (I vinti), D'Annunzio si propose di scrivere un ciclo di romanzi, suddiviso in tre trilogie, ciascuna denominata da un fiore (la rosa, il giglio, il melograno), simbolo delle tappe evolutive del suo spirito dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse, giacché i protagonisti dei romanzi non sono che la proiezione sul piano narrativo dello stesso D'Annunzio.
Gabriele D’Annunzio si ispirò, nel ‘900, al melograno, scrivendo nel 1898 “ I romanzi del melograno”, un ciclo di cui scrisse solo la prima parte (Il fuoco) per trarre dai frutti (che si schiudono d’autunno per far vedere i chicchi) il simbolo della Fecondità del poeta, mentre la coroncina regale rappresentava il Dominio del Superuomo.
Principalmente, i significati legati al frutto sono: 
- fertilità e morte (nel mondo pagano), 
- unione di parti diverse (nella Chiesa), 
- castità (se in mano alla Vergine), 
- risurrezione (se in mano a Gesù Bambino), 
- ma anche, nel caso di Cesare Ripa, Concordia e Conversazione. 
Quindi, in questo ultimo caso, rappresenta la Concordia e, se con l’allegoria della Conversazione, indica che in qualsiasi scambio dialettico è importante che rimangano salde l’unione e l’amicizia tra le parti.
Nel testo “La Dea bianca”, nel capitolo intitolato “ I sette pilastri “, Robert Graves (18) ci dice che il melograno era l’albero sacro a Saul, nonché di Rimmon, il nome di Adone dal cui sangue si dice sia sorto. Aggiunge, poi, che per tradizione la vittima pasquale veniva infilzata in uno spiedo di melograno.
Nella Religione ebraica il Sancta Sanctorum o "Il Santo dei Santi" o "Santissimo" (in ebraico Qodesh ha-Qodashim) costituiva l'area più sacra del tabernacolo prima e del Tempio dopo, nei quali era custodita l'arca dell'alleanza. 
Coperto da un telo color rosso/viola, in essa poteva entrare solo il Sommo Sacerdote, una volta l'anno, durante ricorrenza dello Yom kippur, per offrire l'incenso nel rituale d'espiazione e pronunciare il Tetragramma sacro, le cui vocali, interpolate tra le quattro consonanti, erano conosciute solo dal Sommo Sacerdote, e da questi tramandato solo al suo successore.
I piedi del Sommo Sacerdote venivano legati a una corda nel caso svenisse o venisse colto da un malore per l'emozione, nel pronunciare il Tetragramma.
Gli operai che si occupavano delle riparazioni dovevano essere calati dentro il Santo dei Santi dall'alto, in quanto non era permesso loro né entrarvi né sostare sulla superficie sacra.
Il Santo dei Santi era separato per mezzo di tende dal resto del santuario e al suo interno si trovava la presunta pietra di fondazione del mondo, ossia la even shetiyyah. Secondo la tradizione, questa roccia si trovava proprio nel centro del mondo, e fu la base sulla quale il mondo venne creato. Fino alla fine del periodo del primo Tempio, si conservavano nel Santo dei Santi una fiasca di manna e il bastone di Aronne, ma nel secondo Tempio la zona era completamente nuda, dato che anche l'arca era stata portata via e nascosta prima della cattività babilonese. La Bibbia racconta che il giorno in cui Gesù morì in croce sul telo coprente il Sancta Sanctorum si aprì uno squarcio, come avevano preannunciato le sacre scritture. 
Il frutto del melograno era l’unico ammesso nel Sancta Sanctorum del Tempio: 
piccole melagrane ricamate ornavano i paramenti sacri del Sommo Sacerdote quando vi compiva l’ingresso annuale”. 
Graves ritiene che essendo il settimo giorno sacro a Javhèh ed essendo Javhèh una forma di Bran, Saturno o Ninib - il Saturno assiro, Dio del Sud – come lo portano a credere varie riflessioni precedenti, tutto porterebbe a supporre che il frutto legato al settimo giorno della settimana della creazione fosse il melograno - tenendo come principio della settimana quella che sarebbe la giornata della domenica, dedicata al Sole; quindi, il 7° giorno sarebbe il sabato -. Graves parla della vita meditativa, legata al sabato e alla domenica, le due giornate legate rispettivamente al melograno e all’acacia. 
Il giorno del sabato, il melograno, sarebbe stato legato all’illuminazione, la domenica e l’acacia al riposo. 
Così come cita, poco più avanti , l’ipotesi ( già portata avanti anche da altri testi) che l’Albero della Vita del Paradiso Terrestre non fosse un melo ma un melograno. 
Inoltre, nel capitolo Guerra in cielo, dice: 
“Nel candelabro della Hanukkah, che tra gli Ebrei marocchini - la cui tradizione è la più pura ed antica - è sormontato da una piccola melagrana, le otto luci sono disposte in fila, ciascuna su un ramo separato, come nella Menorah; dal piedistallo esce un braccio con un suo portalampada e una sua luce che serve per accendere tutte le altre“. 
L’ottava luce della fila deve rappresentare il giorno supplementare dell’anno, il giorno della lettera J, che viene intercalato al solstizio d’inverno; perché la melagrana, emblema non solo del settimo giorno della settimana, ma anche del pianeta Ninib, che regge il solstizio di inverno, mostra che questo candelabro è una Menorah estesa a contenere tutte le lettere del Tetragrammaton (quelle che formano il nome di Dio in ebraico). 
Il candelabro della Hanukkah era il solo ad essere impiegato ritualmente nelle sinagoghe della Diaspora (per evitarne la riproduzione ed evitare che venisse fondato un altro tempio equivalente a quello di Gerusalemme)
Il senso della melagrana alla sommità è stato dimenticato dagli ebrei marocchini, che lo considerano un mero elemento decorativo, pur riconoscendone l’antichità; gli Ebrei dell’Europa Centrale l’hanno sostituita con un pomolo sormontato da una stella di David. 
Gli Ebrei marocchini pongono una melagrana anche all’estremità del bastone che è chiamato “ etz chaym ” , “ Albero della vita ”, mentre gli Ebrei dell’Europa centrale l’hanno ridotta ad una corona formata dal suo calice avvizzito. La spiegazione rabbinica della santità della melagrana è che si tratta dell’unico frutto inattaccabile dai vermi.”
Il frutto della melagrana, oltre ad essere un simbolo divino, diviene anche simbolo regale, grazie alla coroncina del frutto, ed entra a far parte ornamentale e in modo preponderante nella costruzione del primitivo Tempio di Gerusalemme, che fu eretto dal Re Salomone. 
Alla morte di Davide, suo figlio, Salomone, decise di proseguire nell’ideazione dell’opera teorizzata da Re Davide, ovvero quella di creare un grande tempio da dedicare al Dio d’Israele. 
Salomone stipulò con il re Hiram di Tiro un contratto, in base al quale quest’ultimo avrebbe fornito il materiale necessario per la costruzione della struttura che durò non meno di tre anni solo per i preparativi della costruzione. 
Per la supervisione dei lavori fu incaricato l’architetto Hiram che davanti al Tempio di Gerusalemme fa collocare due colonne riservate una Apprendisti e una ai Compagni poiché è presso Dio che ricevono la giusta paga per il lavoro.
La melagrana ha un valore simbolico forte, denso di significati, ed è stata utilizzata in contesti culturali distanti nel tempo e nello spazio, ciò nonostante è possibile indicare i temi simbolici più ricorrenti, talvolta ispirati alla struttura fisica del frutto e trasfigurati dalla trasposizione analogica, tra questi la ricchezza, il ciclo di morte e rinascita, la molteplicità nell'unità. Se il suo significato più immediato è certamente quello di abbondanza e prosperità, occorre però tener conto di altri significati.
La Libera Muratoria è una Comunione di uomini che si serve del linguaggio simbolico per perseguire il perfezionamento dell'io nel campo individuale e tendere ad accelerare il movimento verso una più perfetta realizzazione delle auspicabili condizioni di libertà, eguaglianza e fratellanza umana. Ma non è tutto qui. 
La Massoneria vuole essere una fratellanza di iniziati che perseguono questi fini e che ritengono che unica via per raggiungerli possa essere l'Iniziazione che significa, con la scomparsa dell'involucro profano, l'inizio di una nuova vita e l'accesso ad un mondo segreto che palesi l'essenza dell'essere. 
Nell'iconografia massonica, la melagrana è in parte sbucciata per lasciare vedere la coesione interna, mentre, la parte coperta significa la capacità di difendere i propri ideali dalla profanità che potrebbe intaccarli.
L'attitudine dei Massoni a difendere i propri ideali, viene intesa dal mondo profano come quella parte nascosta del frutto.
Il Tempio, dove si impara la scienza della Ragione in modo graduale e con fatica diventando sempre più esperti, è la scuola dell’iniziazione e la palestra dove insieme ci si addestra per imparare a crescere insieme.
Nel Tempio Massonico sono presenti due tipi di Simboli:
  • - I Simboli “Emblematici”, in relazione ad una Tradizione Sacra universale che precede e  comprende nel contempo la Tradizione Massonica, e,
  • - I Simboli “Operativi”, cioè gli Arnesi e Strumenti stessi del Lavoro da svolgere nel Luogo.
Come tutti i Luoghi Consacrati della Tradizione, e meticolosamente orientato in modo da evocare e da rappresentare, con l’intersezione delle sei direzioni dello Spazio nel suo epicentro: L’Intero Universo in scala ridotta.

Penetrando nel Tempio, i primi Oggetti Simbolici che si incontrano sono le Due Colonne, vestigia dei 2 Grandi Pilastri che precedevano l’ingresso nel Recinto Sacro dei Santuari Egizi; ciò che gli Ebrei, portati da un nomadismo ignorante verso la Civiltà dagli stessi Egizi, riprenderanno nel loro famoso Tempio di Salomone. 
Non dimentichiamo che le Colonne, in Architettura Sacra, non sono altro che una memoria sofisticata dei “primi pilastri”, onnipresenti in ciò che erano, universalmente, ì primissimi Santuari della Storia (assieme alle Caverne): i Boschi. Le due Colonne poste internamente al tempio massonico, che centrano l’ Asse del percorso di ciò che sarà la Via dell’Iniziato, dall’Occidente all’Oriente e dalle Tenebre alla Luce, sono nominate : “Jakin” e “Bohaz” - alterazione azzardata di due termini Ebraici la cui associazione invece, qualora vengono pronunciati bene, è molto significante “Iah Ken.... Bà ‘Oz” tradotto: “ Egli Dio stabilirà nella Forza”.  

Quella posta a sinistra entrando, degli Apprendisti, sostiene un globo terracqueo, la colonna opposta, dei Compagni d’Arte, sorregge tre melagrane semiaperte.
 
Ovviamente il loro rispettivo colore, anch’esso non è casuale: 
il Rosso di Jakin, al Meridione definisce la Polarità Maschile e Solare, come chiaramente il Nero di Bohaz, a Settentrione definisce la Polarità Femminile e Lunare.” 

Segnano i limiti del mondo creato, i confini del mondo profano di cui la vita e la morte, le rappresentazioni emblematiche dei principi della Forza e della Bellezza, Forza e stabilità, distruzione e creazione, tenebre e luce, vizio e virtù.

Il luogo d’incontro, consacrato dalla operatività e dal lavoro dei Fratelli Massoni, è il contenitore di altri contenitori dove all’interno vi è il Tempio in cui si entra per ritrovare quello che si era perduto e smarrito, per fortificare l’unione contro la divisione, l’armonia contro la distruzione, l’amore contro l’odio. 

Ma perché proprio la Melagrana appartiene alla simbologia massonica? 
Una risposta si trova nella presenza naturale, all’interno della Melagrana, di logge asimettriche contenenti granuli dalla forma prismatica al cui interno si trovano semi piccolissimi. Nella simbologia massonica i chicchi della Melagrana simbolizzano i Fratelli Massoni uniti fra di loro nell'ideale comune cementando l’amicizia e la solidarietà, e, l’elemento più significativo nella simbologia della Melagrana è il suo interno: celata da una scorza coriacea si trova una notevole quantità di granuli, approssimativamente circa 613, separatamente individuabili e separabili, ma uniti fra loro in un corpo unico. 

La radice del melograno essendo tossica ci dice che: 
i Fratelli Massoni nati da un mondo malvagio nella sua essenza, si elevano a uno stato di eccelsa bontà ”.
Ed essendo la scorza anch’essa tossica ci mostra: 
i Fratelli Massoni usciti da un mondo essenzialmente malvagio ed elevatisi a uno stato di perfezione”.

Le melagrane essendo semiaperte ricordano la carità che racchiude l'umiltà, la fecondità, la procreazione e la proliferazione, così pure l'introspezione richiesta al massone nonché il compito affidatogli di ricerca della Verità attraverso l'esoterismo non inteso come conoscenze chiuse agli estranei e riservate agli iniziati, ma esoterismo come conoscenza nel riparo dell’intimo del proprio essere, del proprio animus. 

Ogni seme può essere visto come un libero muratore, unico nella sua singolarità ma strettamente legato ai propri Fratelli in un'unica grande famiglia, la cui prosperità è diretta conseguenza di tale unione. 
Poiché la funzione del seme è quella di fruttificare, la loro abbondanza nella melagrana simboleggia anche l'augurio e la volontà dei Massoni di tutto il mondo di proliferare sempre più. 
Insieme, la molteplicità dei semi allude alla molteplicità di apporti sapienziali e filosofici che hanno creato, nel tempo, una tradizione compatta. 
Il pensiero mistico massonico è un soliloquio, un parlare con sé del sé profondo, per essere proprio quel sé profondo, è, quindi, un fare essendo. 
Questo soliloquio non deve essere confuso col monologo, perché è un parlare corale del singolo, in quanto parlare del singolo all’interno della comunione massonica. 
Questo parlare del sé a sé è la ricerca di una conoscenza tutta speciale, quella conoscenza che è l’essere la cosa conosciuta stessa, è la ricerca dell’identità tra soggetto conoscente e oggetto conoscibile.
Si può quindi attribuire alla Melagrana il valore simbolico nel rappresentare il fraterno sodalizio, laddove, ogni singolo Fratello è coeso all'altro da un vincolo saldo, comune e reciproco, non solo per obbiettiva destinazione ma anche per funzione “superindividuale”. 
La Fratellanza è reciproco sentimento ed affetto, veramente fraterno, è legame stabilito tra chi combatte sotto una stessa bandiera o per la medesima causa. É accordo profondo, spirituale, tra i Fratelli Massoni. Simbolo quindi di Fratellanza e Solidarietà che ispirano il comportamento dei Fratelli all’interno della Loggia in un contesto di reciprocità ed armonia poco individuabile e riconoscibile nel mondo profano. 

I granuli, simboleggiano non solo la molteplicità delle singole individualità dei Fratelli ma la filosofia Massonica stessa che unisce ed affratella la laboriosità di più Logge diverse in onore del richiamato principio di Fratellanza e Solidarietà Universali e comuni anche al più piccolo dei “semi”. 

È proprio alla luce di queste interpretazioni che si viene ad aggiungere un’altra importantissima e fondamentale regola che ora in essa viene esaltata l’essenzialità di un termine di carattere universale, la Fratellanza principio indubbiamente molto nobile, che dovrebbe permettere la coesione dei Fratelli Massoni poiché sarebbe assurdo pensare ad un rapporto di Solidarietà fraterna esclusivamente e limitatamente in uno scambio di esperienze. 
La Fratellanza è quando "io" penso al prossimo, è quando non penso più solo a "me", è quando pensare a se stessi vuol dire pensare agli altri. Insomma tutto comincia e si conclude per gli altri. 
Come nella compattezza si crea l’amalgama dei singoli granuli e la formazione di un unico frutto, la Fratellanza massonica è il dovere di riconoscere nell'uomo il proprio Fratello, rispettando la sua personalità, dignità, integrità, libertà, è la formazione dell’unione che si aggrappa ad un simbolico patto contro l'egoismo, l'incomprensione, l'indifferenza, è un patto di disponibilità permanente. 
Come disse Kant : " Fai in modo che le tue azioni possano essere elette a regole universali ". 
Anno di Vera Luce 6011
Fr:. Antonino Capodicasa
NOTE:

(1) Per "arte copta" si intende sia l'arte egiziana agli inizi dell'era cristiana, sia l'arte dei cristiani copti che ebbe i suoi periodi più fulgidi nel V-VI secolo e nel XII-XIII secolo. L'atto di nascita dell'arte copta fu costituito dall'apertura dei primi conventi cristiani avvenuta per merito degli anacoreti San Macario e San Pacomio. Gradualmente questi luoghi divennero la culla dell'arte copta, all'inizio espressione per lo più antiaristocratica e ricca di elementi presi dalla tradizione dell'antico Egitto. I principali esempi di arte copta sono le architetture dei luoghi sacri, le pitture murali, i tessuti, i manoscritti illuminati e l'artigianato del metallo, molti dei quali sopravvivono nei monasteri e nelle chiese. Le opere d'arte copta sono spesso funzionali. La principale collezione mondiale di arte ed iconografia copta è conservata nel Museo copto del Cairo copto.

(2) Ade è una divinità della mitologia greca, fratello di Zeus e di Poseidone, nonché dio degli Inferi; la sua sposa è tradizionalmente Persefone. Con Ade si vuole anche intendere più genericamente il mondo degli Inferi. Inizialmente solo il caso genitivo del nome della divinità era impiegato come abbreviazione per intendere la casa del dio dell'oltretomba; in seguito, per estensione, si cominciò a utilizzare il termine in tale significato anche al nominativo. Dati i suoi attributi mitici avrebbe come corrispettivi nella mitologia egizia il dio Serapide e in quella romana il dio Plutone.

(3) Le Erinni sono, nella mitologia greca, le personificazioni femminili della vendetta. Secondo la leggenda esse nacquero dal sangue di Urano, fuoriuscito quando Crono lo evirò, mentre un'altra tradizione le dice figlie della Notte. Erano tre sorelle demoniache abitatrici degli inferi: Aletto, Megera e Tisifone. Secondo la più accreditata interpretazione, esse rappresentavano il lancinante rimorso che scaturiva dai fatti di sangue più efferati. Al fine di placarle, vennero chiamate anche Eumenidi (ossia, le "benevole"), si porgevano loro varie offerte e ad esse si sacrificavano le pecore nere. Le Erinni erano anche indicate con altri epiteti, come Semnai o Potnie ("venerabili"), Manie ("folli") e Ablabie ("senza colpa"). Venivano rappresentate come geni alati, con la bocca spalancata nell'atto di cacciare urla terribili, con serpenti invece di capelli, recanti in mano torce o fruste o carboni e tizzoni ardenti. Così le descrive Claudio Claudiano nel De Raptu 

(4) Tutmosi I - Probabilmente non di stirpe reale, la madre Seniseneb è citata con il solo epiteto Madre del Re, non è chiaro come Thutmose sia giunto al trono (circa nel 1528 a.C.). È possibile che la sua legittimazione nel governare gli sia venuta dal matrimonio con Iahmes, che viene identificata come Sorella del Re e quindi di stirpe regale. Thutmose è il primo sovrano che può essere definito imperialista del Nuovo Regno, nel senso che dette inizio all'espansione dell'influenza egizia sia verso sud che nell'area palestinese. Lo stesso nome Horo, Toro vittorioso, sottolinea questa tendenza militare-espansionistica che caratterizza la regalità egizia di questo periodo.

(5) Safavidi erano una dinastia-confraternita mistica di lingua e cultura turco-azera che governò la Persia tra il 1501 e il 1736. Stabilirono lo sciismo quale religione di Stato, unificarono le province sotto un forte potere centrale, e sono considerati i creatori della coscienza nazionale iraniana.

(6) Deuteronomio – è il quinto libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana. È scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte, in particolare della cosiddetta fonte deuteronomista del VII secolo a.C. È composto da 34 capitoli descriventi la storia degli Ebrei durante il loro soggiorno nel deserto del Sinai (circa 1200 a.C.) e contiene varie leggi religiose e sociali. Il libro si presenta come il resoconto di tre discorsi pronunziati da Mosè per ricordare agli Israeliti, che sono sul punto di entrare nella terra promessa, le esigenze dell'alleanza che Dio ha fatto con loro al monte Sinai. A motivo di questa nuova presentazione delle leggi, il libro fu intitolato, nelle antiche traduzioni greca e latina, Deuteronomio, cioè seconda (presentazione della) Legge. Il primo discorso (1, 6-4, 43) riassume le vicende vissute dagli Israeliti nel deserto, da quando lasciarono il Sinai fino all'arrivo ai confini della terra di Canaan. Si conclude con l'invito a essere fedeli all'alleanza con il Signore. Il secondo discorso (4, 44-28, 68) contiene gli insegnamenti dati da Mosè. La fedeltà mostrata da Dio verso il suo popolo, fin dal momento della liberazione dall'Egitto, esige ora fedeltà da parte del popolo e amore "con tutto il cuore" (capitoli 5-11). Questo amore si manifesterà nell'osservanza della Legge, che regola ogni situazione della vita quotidiana (capitoli 12-25). Il popolo è chiamato a rinnovare senza stancarsi l'impegno di fedeltà verso il Signore (capitoli 26-28). Il terzo discorso (28, 69-30, 20) riferisce le ultime disposizioni di Mosè. I capitoli 31-34 contengono un canto (che ripresenta in forma poetica gli insegnamenti del libro), la benedizione di Mosè alle tribù degli Israeliti e il racconto della sua morte.

(7) Torah: significa letteralmente “dottrina, insegnamento. La Torah si riferisce al complesso della rivelazione mosaica: sono Torah le dieci parole del Sinai come l’insieme della legislazione veterotestamentaria, che viene fatta risalire tutta quanta a Mosè. Di conseguenza, lo sono pure i primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco): La Torah si chiude solamente con la morte di Mosè, narrata nell’ultimo capitolo del Deuteronomio. Perciò non si tratta solamente di “legge” ma anche di “storia”: quella che va dalle origini fino all’ingresso nella Terra Promessa. Al tempo stesso l’ “insegnamento” della Torah continua lungo tutta la storia successiva: accanto alla Torah scritta cresce sempre più nel giudaismo rabbinico l’importanza della Torah orale (La Tradizione). Anche quest’ultima viene fatta risalire all’esperienza originaria di Mosè sul monte Sinai, attraverso la mediazione storica degli Anziani, dei Profeti e dei Sapienti.

(8) Il libro dei Numeri è il quarto libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana. È scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. È composto da 36 capitoli descriventi la storia degli Ebrei durante il loro soggiorno nel deserto del Sinai (circa 1200 a.C.). 
Nel libro sono descritti i viaggi, i problemi, le norme, le battaglie con altre popolazioni e i conflitti interni del popolo eletto. La narrazione delle difficoltà incontrate simboleggia le situazioni difficili presenti nella vita umana. Viene anche tracciata la strada per superarle, ovvero quella indicata da Dio. 
Tra i vari avvenimenti descritti durante il loro viaggio, i più importanti sono: 
-la partenza dal Sinai; l'invio di spie ad esplorare la terra di Canaan, la Terra Promessa; 
-la ribellione del popolo che si rifiutava di entrare in quella terra; 
-il giudizio di Dio, che condannò il popolo a 40 anni di peregrinazioni; 
-l'insuccesso di Mosè; 
-le vittorie finali al termine del periodo nomade. 
Secondo la tradizione ebraica e molte confessioni religiose cristiane più legate alla lettera del testo biblico, il libro dei Numeri sarebbe stato scritto da Mosè in persona.
La maggioranza degli esegeti moderni ritiene che tutto il Pentateuco sia in realtà una raccolta, formatasi in epoca post-esilica, di vari scritti di epoche diverse. 
Secondo questa teoria, nota come ipotesi documentaria, la composizione letteraria del libro sarebbe avvenuta nel corso dei secoli fino alla redazione del documento sacerdotale, che avrebbe inglobato versioni precedenti elaborate dalla tradizione Jahwista ed Elohista.
Il libro può essere diviso in tre parti:  
-Censimento della popolazione nel deserto del Sinai e preparativi per la marcia 1,1-10,10 
-Racconto del viaggio sino alle steppe del Moab 10,11-21,35 
-Avvenimenti nella piana del Moab prima del passaggio del Giordano 22-36. 
Il periodo temporale compreso nella narrazione si sviluppa dal secondo mese del secondo anno dopo l'Esodo fino all'undicesimo mese del quarantesimo anno, per un totale di circa trentanove anni.
Le principali implicanze teologiche contenute ne libro dei Numeri sono riscontrabili maggiormente nella seconda parte, ed in special modo nei capitoli 14, con la ribellione del popolo, 16, nel quale è raccontato l'episodio di Core, e 25, con il peccato dell'idolatria.
Nel primo caso si assiste al castigo divino riservato a coloro che pur avendo assistito ai miracoli nella terra d'Egitto ed alla teofania nel deserto hanno perso la fede e per questo non entreranno nella Terra promessa.
Negli altri esempi vengono puniti coloro i quali si sono ribellati alla legge divina ed hanno infranto l'alleanza con Dio. Il messaggio religioso che si ricava dagli episodi, pregni di significati paradigmatici, è che solamente la spontanea e completa sottomissione alla volontà divina, anche e soprattutto nei momenti difficili, può condurre alla salvezza ed alla santità.

(9) Antica Alleanza - Alleanza ebraica - Già anticamente presso gli Ebrei "alleanza" indicava il rapporto di convivenza di due parti, con i diritti e i doveri che ne derivavano. Tra le molte stipulazioni di alleanza tra Dio ed il popolo d'Israele, o i singoli ebrei, di incommensurabile valore è quella avvenuta sul monte Sinai (1225 a.C. circa - 2448, anno del calendario ebraico dalla Creazione). Qui Dio fece conoscere i propri ordini al popolo ebraico a cui impose l'obbligo di adorare Lui solo con esclusione di tutti gli altri dei, promettendogli la propria protezione, benedizioni e la concessione della Terra d'Israele a patto che seguisse i dettami morali e spirituali e le leggi della Torah: le Mitzvot. 
Segni dell'appartenenza a Dio sono la circoncisione e, soprattutto, l'osservanza delle leggi divine del decalogo, del Codice dell'alleanza, dell’Alleanza nel cristianesimo.
Con il termine "Alleanza" nel Cristianesimo si può intendere la Antica Alleanza, un patto che, secondo l'antica scrittura, Dio stipulò con Adamo e rinnovò con Noè, Abramo e Mosè, e la Nuova Alleanza, quella che Dio ha stipulato con tutti coloro che credono in Gesù Cristo. La nuova alleanza o Nuovo Testamento è continuazione ed espansione dell'antica alleanza su cui era fondata la religione ebraica, è la base della religione cristiana. La nuova alleanza prende vita sul Calvario con il sacrificio di Cristo e la sua resurrezione, ed è accompagnata da nuove esigenze morali che devono fare del cristiano un candidato alla santità.

(10)  Libro dei Re: sono due testi contenuti nella Bibbia ebraica (Tanakh), dove sono contati come un testo unico, e cristiana. Sono scritti in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la loro redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.c. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte, in particolare della cosiddetta fonte deuteronomista del VII secolo a.C., integrata da tradizioni successive. Il primo libro è composto da 22 capitoli descriventi la morte di Davide, Salomone, la scissione del Regno di Israele dal Regno di Giuda, il ministero del profeta Elia e i vari re di Israele e Giuda, eventi datati attorno al 970-850 a.C. Il secondo libro è composto da 25 capitoli descriventi il ministero dei profeti Eliseo e Isaia, vari re di Israele e Giuda, la distruzione e deportazione del Regno di Israele e del Regno di Giuda, eventi datati attorno al 850-587 a.C.

(11) I due libri delle Cronache sono due testi contenuti nella Bibbia ebraica (Tanakh, dove sono contati come un testo unico) e cristiana. Sono scritti in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la loro redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata attorno al 330-250 a.C. in Giudea. Rappresentano una rielaborazione della storia degli Ebrei già narrata negli altri testi storici. Il primo libro è composto da 29 capitoli contenenti varie genealogie da Adamo a Davide e la descrizione del suo regno (fino al 970 a.C. circa). Il secondo libro è composto da 36 capitoli descriventi il regno di Salomone e la storia del regno di Giuda, la sua distruzione, l'esilio babilonese e il ritorno (dal 970 circa al 538 a.C.)

(12) Il Cantico dei Cantici o semplicemente Cantico è un testo contenuto nella Bibbia ebraica (Tanakh) e cristiana. È scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi maggiormente condivisa dagli studiosi, la redazione definitiva del libro è avvenuta in Giudea nel V-III secolo a.C. ad opera di un autore ignoto, sulla base di qualche testo più antico (risalente forse X secolo a.C.). È composto da 8 capitoli contenenti poemi d'amore (con alcune implicite allusioni erotiche) in forma dialogica tra un uomo (anonimo) e una donna ("Sulammita").

(13) La Lettera agli Efesini è una delle lettere di Paolo inserite nel Nuovo Testamento. Secondo la tradizione cristiana sarebbe stata scritta da Paolo di Tarso durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62 (gli studiosi moderni sono invece quasi tutti concordi a ritenerla pseudoepigrafica, cioè non composta da Paolo ma attribuita a lui, e ritengono sia stata scritta dopo l'anno 80 o addirittura verso il 170).

(14) Gregorio di Nissa, noto anche come Gregorio Nisseno (Cesarea in Cappadocia, 335 – Nissa, 395 circa), fu padre cappadoce e dottore della Chiesa; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa anglicana. Educato dal fratello, san Basilio Magno, Gregorio si diede dapprima alla retorica ed alla vita secolare per un'improvvisa crisi spirituale, per poi vivere per un po' nel monastero di Basilio, e infine dedicarsi, dal 371, all'episcopato della città di Nissa (da cui prese l'epiteto di "Nisseno"). Avversario degli Ariani, fu vittima delle persecuzioni dell'imperatore ariano Valente e dovette lasciare Nissa nel 376. Ritornatovi nel 379, divenne massimo difensore dell'ortodossia cattolica a sostegno dell'imperatore Teodosio I, che lo proclamò «difensore della fede». Dopo una straordinaria carriera di teologo e retore ufficiale della corte, Gregorio morì probabilmente nel 395.

(15) Giovanni della Croce, in spagnolo Juan de la Cruz, al secolo Juan de Yepes Álvarez è stato un sacerdote spagnolo, fondatore dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi. 
I suoi scritti vennero pubblicati per la prima volta 1618, fu beatificato nel 1675, proclamato santo da papa Benedetto XIII nel 1726 e dichiarato dottore della Chiesa da Pio XI nel 1926. La Chiesa cattolica lo ha soprannominato Doctor Mysticus, mentre la Chiesa anglicana lo ricorda come un "Maestro della fede". 
Giovanni della Croce è considerato uno dei maggiori poeti in lingua spagnola. Ciò che meglio definisce la sua poesia è l'intensità espressiva, grazie all'adattamento e all'equilibrio di ognuna delle immagini da lui adoperate. A ciò contribuisce anche la sua tendenza ad abbandonare il registro discorsivo, eliminando espressioni "neutre" per cercare costantemente una giustapposizione tra elementi poetici di grande plasticità. Sebbene l'intero corpus delle sue poesie ammonti a non più di 2500 versi, due di esse – il Cantico spirituale e la Notte oscura dell'anima – sono considerate tra le migliori poesie in lingua spagnola, sia dal punto di vista formale e stilistico, che per l'immaginazione ed il simbolismo.

(16) Alfredo Cattabiani - scrittore e giornalista italiano. Nacque il 26 maggio 1937 da Leonildo, musicista, e Anna Maria Borletto, maestra sarta. Studiò dalla prima elementare alla terza liceo all'Istituto Sociale dei Padri Gesuiti e si laureò con Luigi Firpo alla facoltà di Scienze politiche con una tesi sul pensiero politico del conte Joseph de Maistre. Determinante per la sua formazione spirituale e politica fu l'incontro con scrittori come Mircea Eliade, Augusto del Noce, Simone Weil, René Guénon, Joseph de Maistre. Ma non meno determinante è l'aver vissuto in una Torino la cui temperie culturale Cattabiani percepiva egemonizzata «dalle contraddizioni totalitarie della cultura marxista-leninista» e dall'«intolleranza di quelle neo-illuminista e neo-positivista». Nel 1962 fondò a Torino, con altri amici che gravitavano intorno ad Augusto del Noce, le Edizioni dell'Albero, per opporsi a quello che riteneva essere il monopolio della cultura allora dominante. Contemporaneamente collaborò a quotidiani e riviste letterarie e pubblicò un'antologia degli scritti politici di Georges Bernanos con un ampio saggio introduttivo. Nel 1969 si trasferì a Milano dove Edilio Rusconi gli affidò la direzione editoriale della neonata Rusconi Libri, che in breve tempo s'impose sul mercato con opere letterarie quali Il Signore degli anelli di J.R.R. Tolkien, Difesa della luna di Guido Ceronetti, che segnò l'esordio dello scrittore, Il flauto e il tappeto di Cristina Campo, poi ripubblicato con grande successo da Adelphi negli anni ottanta con il titolo Gli imperdonabili, Heliopolis e Eumeswil di Ernst Jünger e Il quinto evangelio di Mario Pomilio. Ma è soprattutto nelle collane saggistiche che la Rusconi, sotto la direzione di Cattabiani, propose una cultura di ispirazione metafisica e sapienziale con autori come il teologo Hans Urs von Balthasar, il filosofo Augusto del Noce, di cui pubblicò Il suicidio della rivoluzione e Il cattolico comunista, gli storici delle religioni Mircea Eliade, Seyyed Hossein Nasr, Ananda Coomaraswamy, René Guénon, l'etno-musicologo Marius Schneider, lo storico dell'arte Hans Sedlmayr, il biologo Giuseppe Sermonti, Simone Weil, Abraham Heschel, Seyyed Hossein Nasr, Titus Burckhardt, Fausto Gianfranceschi. A sua volta Giuseppe Prezzolini iniziò l'ultima sua intensa attività come scrittore pubblicando vari libri presso la Rusconi, dal Manifesto dei conservatori alla ormai celeberrima antologia della "Voce". Vennero anche riproposti classici del pensiero tradizionale, da Joseph de Maistre a Pavel Florenskij, a Juan Donoso Cortés. Sul simbolismo pubblicò: Bestiario di Roma, sugli animali dipinti e scolpiti nella capitale, scritto con Marina Cepeda Fuentes; Simboli, miti e misteri di Roma; Florario, dedicato al mondo delle piante e dei fiori; Planetario, dedicato alle stelle e ai pianeti, Volario sugli esseri alati, dagli uccelli agli insetti alle creature fantastiche; Acquario, sugli esseri delle acque: gli ultimi quattro, primi di una serie in preparazione, dedicata ai miti, simboli, leggende e tradizioni ispirate dai mondi vegetale, animale, minerale e astrale, che formerà, completata, una Storia dell'immaginario. 

(17) Cesare Ripa (Perugia, intorno alla metà del XVI secolo – Roma, 1622) è stato uno studioso accademico e scrittore italiano. Da giovane entrò nella corte del cardinale Anton Maria Salviati, come «trinciante», ovvero addetto a tagliare le vivande della mensa del cardinale. Membro dell'Intronati di Siena, dediti allo studio di opere classiche e di medaglie antiche, ebbe contatti con quella degli Incitati a Roma, città in cui risulta presente dal 1611 al 1620.

(18) Robert von Ranke Graves (Wimbledon, 24 luglio 1895 – Deià, 7 dicembre 1985) è stato un poeta e romanziere britannico. Nato da padre irlandese e madre tedesca. Studiò al Saint John's College dell'Università di Oxford. Durante la prima guerra mondiale, combatté in Francia, nel reggimento dei Fucilieri del Galles venendo ferito gravemente nel 1916. Sulle sue esperienze militari scrisse numerosi versi e dedicò alla guerra un dissacrante libro nel 1929: Addio a tutto questo. Fu professore di letteratura inglese all'università del Cairo nel 1926; dal 1927, si ritirò a scrivere a Mallorca: lasciò l'isola solo negli anni dal 1961 al 1966 per insegnare poetica a Oxford e, saltuariamente, per conferenze in università americane: nella Lockwood Memorial Library di Buffalo (stato di New York) è allestita una mostra permanente di oltre cento suoi libri e manoscritti.
Nel 1962 lo raggiunsero a Maiorca e convissero con lui per un anno i musicisti Robert Wyatt e il jazzista George Niedorf, suo ex-maestro di batteria. Una semplice lapide, nel bucolico scorcio della chiesa parrocchiale di Deià, funge da ultima dimora del poeta. La fondazione che porta il suo nome ha rilevato e sistemato la sua vecchia casa che si trova in località Ca n'Alluny a poche centinaia di metri dal centro di Deià, per diffonderne l'opera. Autore di poesie, saggi critici, romanzi, riadattamenti, opere di fantascienza. Nel 1943 compose un manuale per gli scrittori di prosa inglese: Il lettore è alle vostre spalle. Artefice di versi di stampo classico, Graves ha sempre strenuamente difeso le ragioni della poesia in un'epoca dominata, a suo parere, da interessi economici e fanatismi politici, considerando lo scrivere versi come il più alto titolo di merito. E' stato uno dei maggiori poeti e letterati inglesi del ventesimo secolo.

Alcune fonti:
Clemente Alessandrino, Protrettico ai greci, II Ovidio, Metamorfosi V, 341-571 
Cantico dei Cantici 4,12-13 Concordia; Conversazione, in Cesare Ripa, Iconologia.
Il melograno secondo Robert Graves
“Il melograno nella Sacra Scrittura” del giovane sacerdote Don Carlo Pisani
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