Per scavare oscure e profonde prigioni al vizio …
Sarebbe anche illusione ritenere di essere senza vizi, ma ogni persona possiede una passione predominante che si identifica, anche attraverso differenti sfaccettature, in un vizio. Per combatterla, se possiede intenzione di farlo, ognuno ha bisogno di conoscerla nel proprio intimo e nelle manifestazioni del carattere. L’argomento di questa tavola è il Vizio dell’invidia.
Alla voce “invidia” del vocabolario della lingua italiana troviamo che essa significa: «Sentimento di rancore e di astio per la fortuna, la felicità o le qualità altrui, spesso unito al desiderio che tutto ciò si trasformi in male». L’etimo indica la derivazione dal latino invidus cioè “invido” che, a sua volta, è composto da “guardare” (videre) e “contro” (in) quindi “guardare contro”.
Questa analisi letterale ci aiuta ad inaugurare questo nuovo e utile approfondimento sulle passioni che affliggono l'uomo, infatti, dall'etimologia appena descritta, apprendiamo che l'invidia si manifesta in primo luogo attraverso il modo di guardare, che è ostile (il prefisso “in” è comune a molte parole che indicano negazione e avversità: invalido, incurante, indisposto, ecc.).
L’invidia è antica come l’uomo; a differenza degli altri vizi forse è l’unico che non procura piacere: è figlia della frustrazione e di un senso di impossibilità a realizzarsi. E’ un sentimento «inutile» perché non approda alla valorizzazione di sé, «doloroso» perché rabbuia, e per giunta è un sentimento da tenere «nascosto» senza neppure il conforto che può venire dal parlarne con qualcuno perché confessarla significa mettere a nudo aspirazioni e fallimenti, difficoltà e limiti trovati in noi stessi.
La gravità di questo male è testimoniata da alcuni riferimenti biblici molto specifici.
Nell'episodio di Caino e Abele, dall'invidia nasce l'odio che sfocia nell'assassinio (Gn 4, 3-8) ed è ancora l’invidia che spinge i fratelli ad attentare alla vita di Giuseppe (Gn 37).Nei Vangeli di Marco e Matteo, nel racconto della passione, si dice chiaramente che Gesù fu ucciso per l'invidia dei sacerdoti: «Pilato sapeva benissimo che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia». (Mc 15, 10). L’assassinio più grave di tutta l'umanità ebbe dunque come movente l'invidia.
L'invidia nasce sempre dal confronto. «Per cosa sono da meno di lui? Per intelligenza? Per ricchezza interiore? Per sensibilità? Per forza? Per importanza? Perché devo subire la sua superiorità?» Così s’interroga NicolajKavalerov, protagonista del romanzo Invidia (1928) di Jurij Olesa, scrittore sovietico, meditando rancore sul suo nemico personale Babicev, che rappresenta ai suoi occhi un concentrato di negatività assolute.
Perché lui/lei sì e io no? Una domanda che deve restare segreta, perché rivela la propria inferiorità. Dall'antichità alle società moderne, dalla fiaba fino alle veline dei nostri giorni, attizzata e alimentata dalla focalizzazione dei pensieri dell’uomo sulla sola materialità, questa passione "triste" - ma non priva di violenza quando si trasforma in risentimento - inquina le relazioni, depotenzia l'Io, paralizza le energie.
Ai giorni nostri, soldi, successo, bellezza, figli, moglie (marito), fortuna, auto, casa, simpatia sono ciò che l'uomo più invidia. Qualità brillanti e superficiali che attirano l'attenzione dell'invidioso, il quale ha paura che gli altri, a causa delle loro doti o dei loro averi, siano applauditi, abbiano successo e si impongano nella società mentre lui resta nell'ombra.
Se questa tristezza non è bloccata per tempo può anche portare al delitto, se non con la spada, almeno con la lingua.Vergognoso a dichiararsi ma tenace nell'intento negativo, l'invidioso scalza l'amore per fare posto all'odio e alla calunnia. Qui persino il codice penale ha titolo di intervento. La diffamazione, esternazione diretta dell'invidia, in diverse fattispecie è punita con la reclusione fino a quattro anni ovvero con una multa fino a duemila euro circa (595 c.p. e segg.).
La causa efficiente, l'occasione che scatena l'invidia, è il bene che il nostro prossimo consegue; il retroterra in cui il vizio si sviluppa è l'affermazione del proprio io, l’elevazione del nostro essere a idolo, il culto dell'individualità che diventa il nostro piccolo Dio; l’invidioso applica a sé l'espressione: «Non c'è altro dio fuori di me» e si rattrista se qualche altro io emerge e si afferma.
L’invidia è devastante perché eccita sentimenti di odio, tende a seminar divisioni non solo tra gli estranei ma anche tra i membri di una stessa famiglia (si ricordi la storia di Giuseppe), spinge alla smodata ricerca delle ricchezze e degli onori (per superare quelli a cui si porta invidia, uno si abbandona ad eccessi di lavoro, a intrighi più o meno leali, in cui l'onestà corre molto rischio), turba l'anima dell'invidioso (non si ha nè pace nè riposo finchè non si è riusciti ad eclissare, a dominare i propri rivali; ed essendo ben raro che vi si riesca, si vive in perpetue angoscie).
Quali possono essere i mezzi per imprigionare il vizio dell’invidia?
a) nel disprezzare i sentimenti d'invidia che sorgono in cuore, schiacciarli come qualche cosa di ignobile, come si schiaccia un rettile velenoso;
b) nel riflettere che le doti del prossimo non diminuiscono le nostre, ci sono anzi stimolo ad imitarle.
c) nel ricordare i comandamenti di Gesù;
d) nel coltivar l'emulazione, lodevole e cristiano sentimento che c'invita a imitare e anche a sorpassare, sorretti dalla grazia di Dio, le virtù del prossimo.
Perchè sia buona e si distingua dall'invidia, l'emulazione cristiana dev'essere:
1) onesta nell'oggetto, vale a dire che non deve mirare ai trionfi ma alle virtù altrui per imitarle;
2) nobile nell'intenzione, non cercando di trionfare sugli altri, di umiliarli, di dominarli, ma di divenir migliori, se è possibile, perchè Dio sia più onorato e la Chiesa più rispettata;
3) leale nei mezzi, usando, per conseguire il fine, non l'intrigo, l'astuzia o qualsiasi altro illecito procedere, ma lo sforzo, il lavoro, il buon uso dei doni divini.
Così intesa, l'emulazione è efficace rimedio contro l'invidia, perchè senza punto ledere la carità è ottimo stimolo.
Infatti il considerare come modelli i migliori tra i fratelli per imitarli, o anche per superarli, è in sostanza un riconoscere la nostra imperfezione e un volervi rimediare giovandoci dei buoni esempi di coloro che ci stanno attorno.
M:. L:.