Il Primo Sorvegliante ed i suoi simboli

IL PRIMO SORVEGLIANTE ED I SUOI SIMBOLI
Un passo indietro ...
Nel grado di Apprendista l'iniziato impara a sgrossare la pietra grezza . 
Che cosa significa? Significa che apprende a lavorare su se stesso, al proprio miglioramento. con maglietto e scalpello.
Lo scalpello per forma, per resistenza e per uso, va idealmente impugnato con la mano sinistra, la mano della intuizione, del sentimento,della luna e va idealmente indirizzato con forza e cura per togliere le rugosità ed asperità della nostra pietra grezza. Ma a nulla vale la presenza del solo scalpello. se su di esso non venisse impressa la forza dei colpi del maglietto, tenuto solidamente con la mano destra, la mano della conoscenza, del lato razionale dell’individuo. Il maglietto esprime dunque un senso di volontà di comando della stessa, e di determinazione razionale dell’atto.
Per usare questi due strumenti al massimo delle loro capacità, occorre sviluppare il discernimento sensitivo , necessario per svelare il punto della pietra da cui staccare le irregolarità e la giusta forza con cui usare il maglietto.
... dalla Perpendicolare alla Livella ...
Quando l’Apprendista viene elevato a Compagno d’Arte, si dice che passa dalla Perpendicolare alla Livella.
Che cosa significa passare dalla Perpendicolare alla Livella? Significa che l'apprendista ha scavato dentro di sè e, appreso l'uso degli strumenti del grado, ha imparato ad applicarli al lavoro di perfezionamento ed edificazione del proprio tempio, quindi è chiamato ad applicarsi alla corretta messa in opera della conoscenza nelle molteplici relazioni con l’universo, è chiamato ad imparare a tagliare i materiali, a dar loro forma, leggerezza ed eleganza, ad applicare al piano morale ed alle facoltà intellettive i principi e i precetti dell’arte muratoria alla quale il Maestro si è ispirato per le sue forme esteriori. 
La livella
Nel grado di Compagno è affidato alle cure e sorveglianza del 1^ Sorvegliante. Ogni gioiello di loggia designa una funzione dentro di essa.
Il Gioiello del Primo Sorvegliante il segno distintivo del suo ufficio è la Livella, che è complementare al filo a piombo, ma è uno strumento più completo, perché munito di capacità di impiego orizzontale e verticale, per indicare la retta via da una prospettiva orizzontale, quindi perpendicolare rispetto al filo.
Gli viene affidato perché il suo compito è di controllare con la livella che quanto edificato sia perfettamente parallelo al piano di appoggio e che, con lo stesso piano, formi un angolo retto. In sostanza controlla che la pietra, già levigata, posta in opera per la costruzione della parete del Tempio, risponda ai requisiti di equilibrio necessario perché tale parete, qualsiasi altezza raggiunga, rimanga sempre in piedi, ed offra la maggior resistenza possibile alle aggressioni da parte degli elementi naturali.Il simbolo vuole richiamare con immediatezza il suo lavoro, significando che, mentre presiede sui lavori della loggia (così come il Secondo Sorvegliante presiede sul riposo), è suo dovere accertarsi che ogni fratello si incontri sulla livella, e che il principio dell’uguaglianza venga preservato durante i lavori, senza il quale l’armonia, supporto basilare della nostraistituzione, non potrebbe esser preservata.
C’è una espressione che richiama il simbolo e la rappresenta: incontrarsi sulla Livella e separarsi sulla Squadra”, che sta a significare che in loggia ci si ritrova senza tener conto delle differenze sociali, economiche, religiose o culturali.
L’iniziato, attraversando la soglia della morte, ha trovato la luce, la scintilla divina, dentro di sé, sa e vede che è in ognuno di noi,sa che abbiamo una unica origine e natura, quindi acquisisce consapevolezza dell’uguaglianza di tutti gli uomini, che, al di là delle apparenze sociali, hanno pari dignità, valore ed importanza, senza distinzioni o privilegi.
La Livella simbolicamente ammonisce che davanti alla grande mietitrice si annullano le differenze scaturite nell’esistenza terrena, e vuole essere un richiamo costante all’uguaglianza, proprio per ricordarci che tutti gli uomini, in vita come in morte, al di là delle apparenze sociali (di ceto, classe, cultura, sesso o religione - orpelli, pagliacciate), hanno pari dignità, valore ed importanza, senza distinzioni o privilegi.
L’Uguaglianza per gli iniziati è un principio universale e, laddove le comunità iniziatiche possono operare, è veicolato, direttamente o indirettamente, nei tempi e nelle società in cui si trovino che in qualche misura lo recepiscono nell’ordinamento. L’affermazione del principio di uguaglianza, forse ha trovato la sua apoteosi al tempo dell’Illuminismo, manifestandosi nel trinomio della Rivoluzione Francese, grazie anche alla preparazione e diffusione capillare supportata da grandi interpreti come Moliere e, ancor prima, e con maggior vigore da Giuseppe Parini, di cui è celebre l’opera “Dialogo sopra la nobiltà”.
L’aspetto più originale del Dialogo risiede nel personaggio del plebeo, che non è un comune cittadino o un filosofo, ma è un poeta di umili origini, incarnazione di quella figura di letterato e uomo nuovo in cui Parini si riconosce e al quale vuole affidare la missione di illuminare l’umanità, comunicandole coraggiosamente la verità tramite la denuncia delle storture morali e sociali. 
I singolari protagonisti di questo dialogo sono due cadaveri, un nobile e un poeta, casualmente sepolti nella stessa tomba. 
Indignato per questa forzata convivenza, che considera come una mostruosa violazione dei privilegi di casta, il nobile rinfaccia al vicino le sue umili origini, esaltando boriosamente i propri antenati. 
Con tono beffardo, il plebeo ne contesta tutte le affermazioni, dimostrando come tutti i vanti di cui è orgogliosa l’aristocrazia altro non siano che le tristi conseguenze dell’origine piratesca della nobiltà, i cui capostipiti erano tutti usurpatori, masnadieri, sgherri e sicari.
Nella nostra società, e più specificamente nel nostro ordinamento, il principio dell’uguaglianza è recepito costituzionalmente dall’art. 3 che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Almeno idealmente e astrattamente possiamo affermare,anche con moderata soddisfazione,cheil principio dell’uguaglianza è patrimonio acquisito alla nostra cultura, Dall’astratto al concreto molto dipende dall’apporto di ognuno di noi. 
E come non ricordare poi il Fratello Antonio Clemente, del fu Marchese Giuseppe De Curtis, poi adottato nel 1933 dal Marchese Francesco Maria Gagliardi Focas, con variazione anagrafica in Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, dal quale eredita i titoli gentilizi di Altezza Imperiale, Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano Impero, Esarca di Ravenna, Duca di Macedonia e di Illiria, Principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, Conte di Cipro e di Epiro, Conte e Duca di Drivasto e Durazzo, più semplicemente e notoriamente conosciuto al secolo con il nome Antonio De Curtis, in arte Totò , con la sua celeberrima ”A livella”, nella quale immagina una scena analoga a quella immaginata e ideata dal Parini, al quale si ispira.
A livella” è un capolavoro autobiografico: Totò, nelle vesti dei protagonisti, racconta se stesso. 
Nelle vesti di testimone, racconta di un fatto curioso, a cui assiste il giorno dei morti, al cimitero: il dialogo tra lo spirito di un marchese e quello di un netturbino,che si incontrano dove sono sepolte le loro salme, l’una accanto all’altra.
I due protagonisti sono sempre si presentano con caratteristiche umane e terrene: 
il nobile è vestito col cilindro e un gran pastrano, è marchese, signore di Rovigo e di Belluno, porta solo appellativi, ma non possiede un nome e parla correttamente; 
lo “scupatore” è tutto sporco e misero, si chiama Gennaro Esposito e parla in dialetto napoletano.
Il marchese, irritato dalla vicinanza della spoglia e sporca tomba dell’altro, lo aggredisce: “come avete osato di farvi seppellir, per mia vergogna, accanto a me che sono blasonato? Ancor oltre sopportar non posso la vostra vicinanza puzzolente”. 
Il netturbino, dopo averlo ascoltato, si spazientisce: “Ma chi te cride d’essere… nu ddio? Ccàdinto, ‘o vvuò capì, casimmo eguale? Muortosi’ tu e muorto so’ pur’io; ognuno comme a ‘n’ato è tale e qquale”. …. “’A morte ‘o ssajeched’è? … è una livella”.…. 
Così diceva il netturbino Gennaro Esposito al nobile marchese di Rovigo e di Belluno, che nell’aldilà pretendeva ancora dei privilegi rispetto all’umile lavoratore; la metafora è azzeccata, geniale, strepitosa: solo un grande artista ed un grande animo poteva riuscire a crearla: la morte è come una livella che cancella all'istante ogni differenza terrena legata al ceto sociale, alla ricchezza economica e alla conoscenza culturale. 
"'A livella" può apparire una suggestiva lirica, sorprendente in un grande comico, inneggiante alla maestà della Grande mietitrice, la Morte, l’indesiderata delle genti, che tutto annienta e pareggia.
Parrebbe giungersi alla conclusione amara e rassegnata che l’uguaglianza non è di questo modo, ma non è così: la poesia non finisce qui ….'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo, trasenno stu canciello ha fatt'o punto, c'ha perzo tutto,' a vita e pure 'o nomme: tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?Perciò,stamme a ssenti...nun fa'' orestivo, suppuorteme vicino, che te 'mporta? Sti ppagliacciate 'e ffannosulo 'e vive: nujesimmo serie...appartenimmo à morte!"
Qui il nostro Fratello Totò è grande; ci consegna una tavola di straordinaria profondità, nella quale, con mirabile sintesi e semplicità ci vuole ricordare che noi iniziati appartenimmo à morte; che per noi iniziati le differenze sociali, sono pagliacciate: 'e ffannosulo 'e vive, così significando che anche in vita, pur nella diversità, simmo eguale.

M:.L:.
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