Considerazioni sul flauto magico

Considerazioni sul Flauto Magico
Nel Vangelo secondo Giovanni si legge: "In Principio era il Logos, e il Logos era presso Dio e il Logos era Dio" e in seguito abbiamo la descrizione del processo della Creazione; il termine greco Logos è oggi abitualmente tradotto con Parola o Verbo, ma nell'antichità si privilegiava un'altra traduzione di questo vocabolo: Suono. Al di là di qualunque traduzione, nel Vangelo è espresso chiaramente il concetto che, prima della creazione materiale delle cose, Dio emanò una vibrazione - mentale, verbale o musicale - origine di Tutto Ciò che Esiste. Nel Buddismo il suono originale è assimilabile al bija mantra (che significa suono radice) "AUM" o OM, ripreso dagli Egizi nel nome di AMON, e successivamente dal Cristianesimo nell'AMEN e dall'Islamismo nell'AMIN.
Prima che l’uomo venisse sulla terra, la musica già esisteva; i molteplici suoni prodotti dal canto degli uccelli erano la musica della natura. 

Fin dalle origini la musica è stata sempre considerata un mezzo privilegiato per comunicare con gli Dei, un dono degli Dei: la musica aveva proprietà magiche e terapeutiche.
E così era possibile che, con il canto, Orfeo potesse domare le belve e i mostri infernali; che Anione, suonando la lira, potesse muovere le pietre per costruire le mura di Tebe; che l'Oracolo di Delfi, intonando lunghe nenie, tranquillizzasse le donne invasate, che le Sirene utilizzassero la loro voce melodiosa per far perdere la rotta ai marinai. Attraverso la magia della musica si cercava di controllare le forze naturali, che minacciavano violentemente, la vita dell’uomo primitivo.  
Furono i filosofi greci a trovare il concetto che accomuna cosmo, musica e numeri su uno stesso piano; questa teoria del Principio Divino venne in seguito ribattezzata dai filosofi rinascimentali come Harmonia Mundi. 
 Il primo ad occuparsi dell’aspetto cosmologico della musica fu Pitagora, il quale elaborò la teoria dell’Armonia delle Sfere, scoprendo che in una scala musicale i suoni stanno tra di loro in un preciso rapporto di tipo matematico; essendo quindi la musica collegata alla matematica, conoscendo la Legge dei Numeri si potrebbe giungere all’essenza del Tutto.
Immaginiamo l’universo come una lunga, costante ed immutabile nota musicale suonata all’infinito, essa regola tutto il creato e la vita di tutti gli uomini; accordarsi con l’universo significherebbe quindi essere noi stessi parte viva di esso e non semplici ascoltatori. Questa tecnica è riscontrabile in tutti i movimenti magici e spirituali, dove la presenza di preghiere, cantilene e qualsiasi forma ritualistica, presentano un determinato modo di porsi rispetto alla modulazione della voce.
 La musica si adatta e si plasma come una eterna energia che deriva direttamente da sconosciuti universi, perciò riesce facilmente a nascondere dietro un pentagramma segreti e misteri.
Per queste sue prerogative, fin dall’antichità, la musica è stata strumento terapeutico, veicolo di trasmissione di sentimenti, di comunicazione con lo spirito e con gli dei, quindi impiegata prevalentemente nelle celebrazione di riti e di funzioni religiose. 

Inevitabilmente moltissime musiche traggono ispirazione nel portato della Massoneria, ovvero nel bagaglio di conoscenza, di valori, di spiritualità vivente e vissuta nella Logge. In questo senso si può parlare di musica Massonica. 
Per chi non lo sapesse, moltissime musiche massoniche sono divenute inni nazionali: fra questi il brano “The Star-Spangled Banner”, cioè l’inno nazionale degli Stati Uniti d’America, che in realtà venne composto nel 1796 da Stafford Smith con il titolo “To old Hiram in Heaven, were he sat in full glee” e si trattava del canto della Loggia londinese “Anacreontic Society”. Solo nel 1814 il titolo venne cambiato in quello che oggi conosciamo e dopo quasi un secolo divenne l’inno nazionale statunitense. 
Questo non è il solo esempio di inni originati da musiche Massoniche, altri esempi sono quello austriaco di Mozart, quello tedesco di Haydn, e la stessa famosa “La Marsigliese” è stata composta da Rouget de L’Isle, anche lui Massone.

Anche in Italia il panorama è abbastanza vasto, tra i più noti musicisti vicini ai Figli della Vedova ricordiamo Salieri, Cherubini, Paganini, Boito, Verdi e Puccini; ma partiamo dagli inizi per capire come si è evoluta la musica in seno alla Massoneria.
 
Si è soliti far coincidere la nascita della musica in ambiente Massone con la fondazione della Grande Loggia di Londra, il 24 Giugno 1717; anche se nello statuto della Loggia non si parlava espressamente di musica o composizioni musicali, esistevano già quattro canti che si era soliti intonare alla fine degli usuali banchetti tenuti presso la locanda londinese “All’oca e alla graticola”. Possiamo quindi ritenere che la musica è sempre stata partecipe alle vicende della Massoneria, in particolare durante i riti nei quali erano presenti dei piccoli complessi strumentali chiamati “Colonne d’harmonie”, formati da due clarinetti, due corni e due fagotti.

Quale distinzione esiste tra un brano di musica Massonica e un qualsiasi altro brano musicale?
 
Invero non esiste un canone di musica massonica. La maggiore differenza viene data dalle tematiche, ma anche da precisi e ben evidenziati simbolismi numerici che caratterizzano la struttura dell’orchestrazione; proprio in questo senso un perfetto esempio ci viene dato dall’opera classica più nota di ispirazione Massone, influenzata dai misteri dell’Egitto e dalla dottrina alchemistico-cabalista dei Rosacroce, che è considerata quasi un Inno Massonico a tutti gli effetti: Il Flauto Magico di Mozart. 

L’ingresso di Mozart nelle file della Massoneria è rintracciabile nell’anno 1784. Venne iniziato il 14 dicembre 1784 nella Loggia "La Beneficenza", dopo il suo trasferimento da Salisburgo a Vienna: da allora iniziano le sue composizioni musicali destinate ai lavori di Loggia. Come è possibile desumere dai carteggi del grande compositore, egli considerava la musica composta per i Fratelli Massoni come sacra, alla stessa stregua di quella che scriveva per la Chiesa ma contemporaneamente con un maggiore senso di libertà nel comporre, in quanto i brani musicali composti per le Logge non dovevano soddisfare alcuna esigenza, erano semplicemente moti dello spirito del compositore riportati in note musicali.
Mozart compose molti brani musicali che sono facilmente riconducibili a tematiche Massoni. All'universo della musica massonica apparterrebbero, fra le altre opere, la “Cantata K471” del 1785 detta "La gioia del Massone" in cui l'aria del tenore recita testualmente : "vedere come la natura scopre lentamente il suo volto allo sguardo dello scienziato attento, come egli con alta sapienza riempie pienamente la sua mente e il suo cuore con la virtù. Questo è il pascolo degli occhi del vero massone, ardente gioia del libero muratore", la K484 nella quale recita testualmente: "ogni uomo gioisca di nuovo nella catena d'oro della fratellanza che lo unisce a gente migliore e gli addolcisce l'amaro calice della vita... Sollevateci sulle ali della verità fino al trono della sapienza", “L'Adagio” per 2 clarinetti e 3 corni di bassetto K411 dello stesso anno : e la “Musica Funebre Massonica” K477 (pure questa del 1785), oltre alla “Piccola Cantata Massonica” K623 del 1791. 

Mozart è stato un genio musicale e forse solo nella sua musica può rinvenirsi l’ispirazione di un canone di musica massonica. Mozart creò un nuovo simbolismo musicale adattandosi a quello Massonico; in questo modo il famoso ritmo dei tre colpi alla porta assunse un alto valore simbolico nella sua opera “Il Flauto Magico” composta presumibilmente fra la primavera ed il settembre del 1791, mentre le note legate a due a due rappresentavano i legami dell'amicizia.
Ufficialmente il libretto del “Flauto Magico”, dal quale trae spunto, venne scritto da Schikaneder, Fratello Massone di una Loggia di Vienna, ma è evidente la partecipazione in molti punti dello stesso Mozart; il fare parte della Loggia “La Beneficenza” favorì certo il compositore nello studio della mitologia e del simbolismo applicato ad essa. 

I limiti imposti da una tavola non consentono di argomentare nel dettaglio, con dovizia di particolari la ricchezza e la complessità di questo capolavoro, ma per vedere come queste conoscenze sono state applicate alla composizione è ineludibile ripercorrere le scene dell’opera.
  
Le vicende raccontate nel “Flauto Magico” sono in sostanza la trasposizione in musica, versi e scenografia delle ore che passano e che si inseguono, della luce che diventa ombra e della tenebra che ritorna ad essere luce. Luce e buio quindi, il principio maschile e quello femminile , la coscienza e l'inconscio, opposti che si incontrano entrando in sinergia tra loro.
Il primo atto si apre con la visione di un paesaggio roccioso in cui il principe Tamino, abbigliato in costume giapponese e munito di un arco privo di frecce, cerca di sfuggire a un enorme serpente. Dopo avere invocato gli dei in suo soccorso, perde conoscenza. Le Tre Dame della Regina della Notte, armate di un giavellotto d’argento, escono dal tempio e uccidono il serpente; poi, un poco dispiaciute di dover lasciare un giovane così bello e così dolce, vanno ad avvisare tutte insieme la loro padrona. Fin dall’inizio il Flauto Magico ci immerge in un mondo di simboli: il nome del protagonista (così come quello di Pamina) è di origine egiziana, derivando da Ta-Min e Pa-Min, cioè servo e serva del dio Min, antica divinità dell'Alto Egitto, protettore della fecondità e della fertilità. L’abbigliamento giapponese di Tamino, apparentemente è in contraddizione con l’ambientazione egiziana dell’opera, ma semplicemente ci svela che il principe viene dall’Oriente, dal luogo cioè dove ha inizio l’attività solare. Tamino è più di un principe: è un uomo, è l’uomo eletto che raggiungerà la sapienza. Verosimilmente Mozart si identifica nel personaggio. L’arco senza frecce a significare che il principe non ha ancora le “armi” della conoscenza. Il serpente, quando viene rappresentato nell’atto di mordersi la coda è simbolo della ciclicità del tempo, dell’eterno alternarsi della morte e della nascita, ma nella scena è libero di muoversi e quindi assume altro significato, quello della tentazione, ed è fatto a pezzi – tre, per la precisione, come ci mostra un bozzetto scenografico del 1794 – dalle Tre dame con i loro giavellotti d’argento: l’argento è uno degli elementi della sfera femminile e in questa scena compare, per la prima volta, il numero Tre, che ricorrerà poi regolarmente per tutto il corso dell’opera. La perdita di conoscenza ha anch’essa una valenza simbolica: è la “morte simbolica”per rinascere a nuova vita, passaggio indispensabile nella tradizione iniziatica, ma condivisa da ogni religione - nemmeno il Cristianesimo ne è escluso, e lo dimostrano le parole di S. Paolo: “Voi siete morti e la vostra vita rinasce in Gesù Cristo”.
La scena I da sola svela un mondo di simboli, ma ogni scena ci immerge e accompagna all’interno del rituale iniziatico massonico, nel viaggio simbolico che avviene nell'animo di ogni iniziato: "Attraverso la notte verso la Luce".
Nella II scena, Tamino rinviene e si domanda chi mai può averlo salvato e dove si trova; avvertendo l'arrivo di qualcuno, si nasconde dietro un albero. Chi arriva? Papageno l'uccellatore, il personaggio buffo dell'opera, che va in giro tutto vestito di piume, con una gabbia di uccelli e suonando il flauto di Pan. Nel parlato che segue, Papageno fa lo smargiasso con Tamino e commette l'imprudenza di attribuirsi il merito di averlo salvato. Anche Papageno appartiene a un mito, un mito che non si perde in un lontano passato, ma nasce dalla cultura settecentesca. L’uccellatore, il personaggio più popolare dell’opera, è l’immagine dell’uomo di natura, il “buon selvaggio”, così cara alla filosofia del Settecento. Rappresenta l’ “umanità ordinaria”, dotata sì di buona volontà, ma priva di coraggio e di intelligenza.
Nella III scena ricompaiono le tre ancelle che hanno salvato Tamino e che ora, per ordine della Regina della Notte, vengono a punire Papageno perché ha mentito. Invece dei doni quotidiani di « liquore, fichi e ciambelle », portano un lucchetto dorato per chiudergli la bocca. Deve imparare « a non mentire con gli stranieri », ed anche, secondo una di quelle sentenze moraleggianti di cui il libretto è cosparso, a non usurpare mai l'onore delle azioni meritorie compiute da altri. Le tre ancelle rivelano a Tamino che è per loro se vive, e a salvarlo le mandò l'Astrifiammante alta Regina, la quale vede in lui il liberatore di Pamina, sua 
figlia, rapita dal Gran Sacerdote Sarastro. 
Il lucchetto dorato, poiché viene imposto a un uomo (e l’oro è elemento maschile) rappresenta la “messa in guardia nei confronti della loquacità femminile”, mentre gli uccelli catturati da Papageno per ordine della Regina della Notte sono simboli della futilità, che va eliminata.
Nella IV scena, Tamino osserva il ritratto di Pamina, che prima di partire gli hanno lasciato le tre ancelle; è estasiato dalla sua bellezza e canta l'aria « Dies Bildnis ist bezaubernd schön » (0 immagine meravigliosa). Pamina è l’elemento femminile opposto e complementare all’uomo e nella trama simboleggia la Massoneria. Le tre ancelle dicono a Tamino che la Regina ha udito le sue espressioni di ammirazione per la figlia e che confida nel suo valore affinché venga liberata. Esse gli dicono inoltre che il rapimento fu compiuto da un «empio», che in mille modi cambia forma e aspetto e che, inosservato, seguí Pamina, la sorprese e la rapì. Nella V scena incomincia ad intessersi, sotto il velo della favola, la situazione politico-sociale del tempo. La Regina simboleggia verosimilmente l'imperatrice Maria Teresa d'Austria, che era stata nemica acerrima della Massoneria, benché il marito vi avesse appartenuto e vi si iscrivesse poi anche il figlio. Rimasta vedova, convinta com'era che la setta svolgesse un'azione nefasta, non esitò a perseguitarla e vietarla, mentre il figlio, correggente dell'Impero, ne favoriva l'attività segreta, in quanto si armonizzava coi suoi ideali liberali e umanitari. 
Fino a questo momento, la vicenda della favola è favorevole alla Regina, che appare come la vittima di Sarastro, ma lungo il viaggio iniziatico il giudizio sui due Regni nemici si capovolgerà: il bene, inizialmente identificato con il Regno lunare della Regina della notte in quanto vittima del rapimento della figlia condotto da Sarastro, finirà per essere identificato nel Regno solare di quest’ultimo, inizialmente giudicato come malvagio. Nel Regno di Sarastro, Tamino troverà ragione e saggezza. Si scoprono così le buone intenzioni di Sarastro nel portare a sé Pamina, non togliendole libertà ma sottraendola con intento protettivo alla malvagia madre onde poterla destinare al giovane predestinato ed eroe della vicenda, ovvero lo stesso Tamino. Il personaggio di Sarastro offre un’immagine duplice di sovrano animato da saldi principi etici e di capo religioso depositario della sapienza. Egli, il Gran Sacerdote del Tempio di Iside e Osiride, è una figura astratta, statica, anche nell’insegnamento che impartisce al principe Tamino. Il suo nome deriva dal leggendario Zoroastro, re di Battriana, esperto astronomo e considerato dall’antichità l’inventore della magia; nella religione persiana rappresenta il principio del Bene. In Sarastro è individuabile il M.V. della Loggia piú importante di Vienna, detta della « Vera Concordia », che era l'illustre mineralogista Ignaz Nobile von Born. 
Nella VI scena preceduta da lampi e tuoni, appare la Regina della Notte, la quale canta la famosa Aria che viene spesso eseguita nei concerti vocali-strumentali. La Regina ripete a Tamino la storia del rapimento e gli esprime il suo dolore. Se tornerai vincitore - gli dice - Pamina sarà tua per sempre. 
Nella VII e VIII scena tornano le tre ancelle, le quali perdonano Papageno e gli tolgono il lucchetto, non senza ammonirlo che non dovrà piú mentire. Il libretto annovera qui un'altra sentenza moraleggiante e dice: « Se tutti i mentitori ricevessero un tal lucchetto sulle labbra, l'amor fraterno regnerebbe sull'odio e sul livore ». Le tre ancelle consegnano poi a Tamino il dono della Dea stellifera, la Regina della Notte, e cioè un flauto d'oro, il cui suono lo sosterrà « nell'alte imprese », un flauto insomma dal magico potere. Non potendo le damigelle guidare Tamino verso il reame di Sarastro, lo avvisano che Tre Fanciulli “dolci e teneri” li scorteranno nel viaggio suggerendogli di rimettersi nelle loro mani. Infine ordinano a Papageno di seguire Tamino, con conseguente comica protesta di Papageno, il quale pensa che Sarastro lo metterà arrosto per il suo pranzo. Anche Papageno, per questo viaggio, avrà il suo talismano: un carillon d’argento, il cui suono promuove allegria. 
Queste scene sono cariche di significati e simboli. Ad esempio l’allusione alla esclusione delle donne nella massoneria: è per questo motivo che non possono essere loro a guidare Tamino al tempio di Sarastro, cioè alla sede simbolica della Massoneria. In questa scena si introducono due strumenti carichi di significati simbolici: il flauto magico e il carillon. 
Il flauto dorato che le Tre Dame donano a Tamino ha il compito “di trasformare le passioni degli uomini, di rendere allegro chi è malinconico, desideroso d’amore chi è misogino”, insomma di permettere al principe di esprimere sentimenti che con le parole non è ancora in grado di comunicare. L’origine magica del flauto deriva dal fatto che esso era appartenuto al padre di Pamina, il sovrano dell’età dell’oro che aveva preceduto quella attuale del conflitto. Ovviamente il flauto è d’oro, elemento maschile, mentre per la sua natura di strumento a fiato appartiene all’Aria ed è stato magicamente intagliato, spiega Pamina, “in un’ora incantata dal profondo di una quercia millenaria, tra folgori e tuoni, tempesta e uragano”. Il flauto riunisce quindi in sé i quattro elementi: Aria, Acqua (tempesta), Terra (il rombo del tuono è lo stesso del terremoto) e Fuoco (folgore). Il carillon di Papageno è l’elemento simmetrico, ma inferiore, al flauto di Tamino: è d’argento ed è legato alla Terra.

Le successive scene, IX, X, XI, XII e XIII sono preparatorie e introducono un altro personaggio: il “moro” Monostatos. Siamo già in territorio “nemico”. C'è un andirivieni di schiavi che portano dei sofà e uno di essi dice che Monostatos, il loro capo, colui che ha l'incarico di tener prigioniera Pamina, e che nella realizzazione scenica viene presentato come un negro, dovrebbe essere impiccato, impalato, perché vorrebbe « assaggiare il boccone prima del padrone». Pamina è condotta dagli schiavi davanti a Monostatos, si ribella alla sua volontà di possederla. Monostatos minaccia di metterla alla catena, ma inaspettatamente, da una finestra, entra Papageno. Papageno non sa dove si trova, si guarda attorno e vede per prima Pamina, della cui bellezza rimane colpito. Quando però Papageno e Monostatos si vedono, hanno paura l'uno dell'altro, e fuggono in opposte direzioni. Pamina, rimasta sola, invoca la madre e si chiede se finiranno i suo i affanni. Papageno ritorna dove è prigioniera Pamina. Sentendolole pronunciare il nome della Regina della Notte, si pavoneggia e le dice di essere un messo dell'Astrifiammante, venuto col principe Tamino per liberarla. Fra i due personaggi ha luogo un lungo dialogo parlato. Pamina è ansiosa di vedere Tamino, il principe che per amor suo sfida il pericolo e con Papageno canta un’aria per esprimere tutta la dolcezza del sentimento d'amore: Pamina per Tamino e Papageno per una Papagena che non ha ancora trovato. 
In queste scene Momostatos è il traditore, il servitore infedele, che, oltre ad essere l’incarnazione del Male, rappresenta anche un’allusione all’abito nero dei Gesuiti, fieri nemici della Massoneria. Legato per il colore della sua pelle all’elemento Terra (femminile), finirà per riunirsi al regno oscuro della Regina della Notte.
Le scene successive, dalla XIV alla XVIII, che concludono il I atto, riprendono e propongono, quasi fedelmente, la simbologia massonica preparando alla celebrazione del rito di iniziazione, riprodotto nel II Atto, sia pure tralasciando diversi particolari per ovvie esigenze teatrali. 

Tamino è stato guidato dai Tre Fanciulli, che gli raccomandano “tenacia, pazienza e silenzio”, nel regno del Gran Sacerdote Sarastro, ad un bosco sacro, davanti a tre templi, quello della Sapienza, quello della Ragione e quello della Natura, che corrispondono agli ideali illuministici del tempo, che la Massoneria condivideva e propagava nelle sue Logge.
Da questo momento ha luogo la svolta della vicenda: Tamino è dapprima convinto dell'offesa subita dalla Regina della Notte, tanto che parte con l'animo di chi deve affrontare in Sarastro un nemico, ma a poco a poco viene conquistato dal mondo segreto degli iniziati. 
Intanto i tre Fanciulli lo istruiscono e gli rammentano che la sua impresa potrà riuscire solo se avrà indomita Costanza, Fede e Silenzio. Quando però Tamino bussa alle porte dei templi laterali, per due volte una voce che proviene dall’interno gli vieta l’accesso al tempio della Ragione e a quello della Natura. Quando Tamino bussa alle porte del terzo tempio, quello della Sapienza, esce un vecchio sacerdote, il quale gli dice che nessuna porta del tempio può aprirsi per lui, perché non ha compreso il senso dell'insegnamento dei tre Fanciulli ed è ancora animato da spirito di vendetta, anziché di amore e virtú. Il vecchio Sacerdote dice a Tamino che Sarastro non è un mostro, un tiranno, come egli crede, ma un benefattore illuminato e saggio e, prima di ritirarsi, riesce a infondere nella sua mente il dubbio circa la vera identità di Sarastro. 
Tamino chiede al Sacerdote di Pamina, che gli indichi almeno dov'è, se vive, e se « può sperare che cada il velo del mistero ». Il vecchio Sacerdote gli risponde che il velo sarà tolto quando un sentimento di amicizia lo condurrà nella via eterna del santuario. Qui il gioco si fa estremamente sottile fra la favola, che ci fa pensare a una Pamina in carne ed ossa, effettivamente rapita alla madre, ed una Pamina simbolo della Massoneria stessa. 
Le parole del vecchio Sacerdote contengono in sostanza questa equazione: « Tu potrai raggiungere Pamina quando sarai capace di vera amicizia », cioè « Tu potrai ottenere la iniziazione quando sarai capace di vera amicizia ». 
Pamina, dunque, è viva. Voci misteriose lo comunicano a Tamino e la scena si conclude con un'aria che esprime lo smarrimento di Tamino stesso, il quale suona per la prima volta il flauto datogli dalla Regina della Notte, perché si compia la magia dell'apparizione di Pamina. Parimenti Papageno e Pamina, cercano a loro volta Tamino con l'ausilio del flauto di Pan di Papageno e cercano di fuggire, ma vengono sorpresi da Monostatos che minaccia di farli incatenare. Papageno suona allora il suo carillon magico e Monostatos e gli schiavi rapiti dal suono, si mettono a ballare e cantare allontanandosi. Papageno e Pamina rimangono soli e in un delicato duetto introducono ancora una sentenza moraleggiante: se ogni buon uomo potesse possedere un carillon simile a questo, i suoi nemici si dileguerebbero presto ed egli vivrebbe nella migliore armonia. Solo l'armonia dell'amicizia addolcisce le pene e senza di essa non v'è felicità sulla terra.
Entra Sarastro sopra un superbo cocchio. I sacerdoti che l'accompagnano cantano un inno in lode di Iside. Una marcia interna e il coro annunciano l'arrivo del Gran Sacerdote Sarastro; quando Papageno chiede a Pamina che cosa gli deve dire, lei risponde: “La Verità!”, e spiega al Gran Sacerdote che cercava di sfuggire alle avances di Monostatos. Sarastro ordina che Monostatos venga punito con settantasette frustate. 
Sarastro dice a Pamina, di non sperare che possa lasciarla libera, perché aggiunge - ciò ti costerebbe la felicità, che si realizzerà solo quando uno sposo fedele ti guiderà al vero. 
L'allusione massonica sulla necessità di conoscere e amare la verità, per essere veramente liberi, e di combattere l'ipocrisia e la tirannia del potere, simboleggiate dalla Regina della Notte, è chiara. Il primo atto si conclude col coro dei sacerdoti che inneggiano a Sarastro, che ordina che Tamino e Pamina vengono condotti nel recinto delle prove del fuoco, dell'acqua, dell'aria e della terra, che sono le prove della purificazione e, secondo il rituale massonico, si benda loro la fronte. 

Il rituale iniziatico preparato nel primo atto ha luogo durante il secondo.
Nella I scena, Sarastro, nell’atrio del tempio, parla ai sacerdoti e dice che per le mura del tempio stesso erra un giovane principe che vuole squarciare il velo dell'errore che gli hanno trasmesso gli avi e poter contemplare la luce sacra. In questa scena si compie il capovolgimento del tema iniziale: Tamino era partito per liberare Pamina dal feroce Sarastro ed ora, invece, proprio nel regno di Sarastro aspira a purificarsi. 
L'oratore fa le domande rituali e chiede se Tamino abbia costanza, sia capace di silenzio e di santo fraterno affetto, le qualità che deve possedere un aspirante alla setta degli iniziati. Sarastro se ne fa garante e spiega che rapì la dolce e virtuosa Pamina perché gli dei l'hanno destinata al giovane principe e accusa la regina di voler ingannare il popolo con l'illusione e la superstizione e distruggere il tempio. Ciò non deve accadere - dice Sarastro, Tamino deve aiutarci a rafforzarlo. Tamino e Papageno, che acconsente a sottoporsi alle prove, vengono condotti al sagrato del tempio, dove gli vengono dati i necessari insegnamenti perché possano superare le prove. Nelle scene immediatamente successive, Tamino e Papageno stanno per essere ammessi nel tempio. L'oratore e il secondo sacerdote rivolgono ai due iniziandi le domande rituali. « Dove cerchi di andare, audace forestiero? Che vai cercando qui, in questo luogo sacro?». Tamino non risponde che è alla ricerca di Pamina, ma che sta cercando solo «il regno dell’amore e della virtù» e che accetta di conquistare queste virtú a costo della vita. Papageno, anche in questa occasione, si rivela il semplice che è, dichiarando che non pretende di pervenire alla saggezza, ma che s'accontenta di mangiar, bere e dormire. La conversazione fra Tamino e l’oratore è propedeutica alla iniziazione e ha come scopo quello di stabilire la dignità morale del neofita; Sarastro, poco dopo, ci darà il verdetto dei sacerdoti: «Conducete questi due forestieri nel nostro tempio delle prove, ricoprite poi loro il capo, poiché dovranno essere prima purificati». 
Nelle successive scene, Papageno e Tamino rimangono soli e al buio. Papageno ha paura: i tuoni e i fulmini rendono più spaventoso il luogo. Incomincia qui la scena delle prove e dell'iniziazione e continua il sottile giuoco fra la favola e il rituale massonico. La prima prova è quella del silenzio. Improvvisamente ricompaiono le tre ancelle della Regina della Notte, che già furono le salvatrici di Tamino, che lo esortano a uscire da quel luogo di terrore. Sembrano preoccuparsi di avvertirlo di un pericolo, ma in effetti compiono il tentativo di farlo mancare ai suoi giuramenti e annunciano anche la vendetta della Regina. Ma Tamino resiste. Alla fine l'arrivo di Sarastro e dell'Oratore fa sprofondare le tre ancelle. L'Oratore si compiace delle prove sostenute da Tamino e gli dice che dovrà ancora molto soffrire, ma che vincerà. E aggiunge un'altra di quelle sentenze moraleggianti che costituiscono la filosofia del libretto: « Sorride favorevole il Cielo all'alme grandi ». La scena si conclude con il rinvenimento di Papageno disteso sul pavimento e quasi morto di paura. 
Le scene successive si spostano su Pamina e finalmente è svelata la verità sul disegno della Astrifiammante Regina della notte e si consuma il passaggio di Monostatos nel regno oscuro. Mentre Pamina è addormentata nel giardino, entra il negro Monostatos, che non ha rinunciato al proposito di possederla e pensa che quello sia il momento di abbracciarla. Giunge inaspettatamente la Regina della Notte a guastargli la festa. La Regina, oltre che per salvare la figlia da Monostatos, appare nel giardino del tempio per indurre la figlia a uccidere Sarastro e le consegna il pugnale vendicatore.
E’ il passaggio fondamentale ai fini di una piena comprensione. La Regina della Notte spiega alla figlia Pamina le ragioni del suo odio nei confronti degli iniziati e le rivela: «Tuo padre, che qui era il maestro, si è privato volontariamente del Settemplice Cerchio Solare per darlo agli Iniziati di Iside. Un altro, non lui, porta ora sul suo petto il possente emblema del Sole. Sarastro. Poco tempo prima della sua morte, io rimproverai tuo padre per questo. Egli allora mi rispose, in tono severo: “Donna, io sto per morire; tutti i tesori che furono miei io li lascio a voi, a te ed a tua figlia”. “E il Cerchio Solare che ingloba l’universo e lo penetra dei suoi raggi, a chi lo lascerai?” gli chiesi vivamente. “Esso appartiene ai soli Iniziati”, fu la sua risposta. “Sarastro ne sarà il maschio guardiano, come lo sono stato io stesso fino a quest’oggi. Non chiedermi una parola di più. Queste cose sono inaccessibili alla tua mente di donna. Il tuo dovere è di sottometterti interamente, e così anche tua figlia, alla volontà di questi sapienti”».  
Scomparsa sottoterra la Regina, ricompare Monostatos, che si è impadronito del pugnale e tenta nuovamente di piegare Pamina ai suoi desideri, ma viene fermato, questa volta, da Sarastro, che rassicura la fanciulla sul destino di sua madre e rifiuta ogni vendetta. Allora Monostatos, che comunque continua a sognare di possedere Pamina, a tal fine decide che è meglio abbandonare Sarastro e passare al servizio della Regina, perché - egli dice - « se il bisogno consiglia, si può servir la madre per la figlia ». 
Nel frattempo l'oratore lascia Tamino e Papageno e indicando loro il cammino che devono compiere da soli, impone loro di nuovo il silenzio. L'elemento comico nella XIII scena è dato dalla fatica di Papageno a osservare il silenzio, in contrasto con la serietà di Tamino impegnato a zittirlo. Papageno parla allora con se stesso; rimpiange i suoi boschi e lamenta che quei signori (i sacerdoti) non gli diano nemmeno due gocce di acqua fresca. Appare allora una vecchia bruttissima con un grande bicchiere d'acqua in mano per Papageno. Segue un buffo parlato, durante il quale la vecchia dice di avere diciotto anni e due minuti e spaventa Papageno quando gli dice che il suo amore è proprio lui. 
A questo punto ricompaiono i tre Fanciulli, cioè le tre guide, i quali danno per la seconda volta il benvenuto a Tamino e a Papageno, e restituiscono al primo il flauto d'oro e al secondo la cassetta dei campanelli, che furono loro tolti all'entrata nel tempio. Offrono loro anche un pranzo, che rallegra molto Papageno, mentre Tamino riprende a suonare il flauto. Sentendo il flauto Pamina è accorsa, ma Tamino, impegnato a superare la prova del silenzio, le fa cenno di allontanarsi. 
L'afflizione di Pamina è grande per questo inaspettato atteggiamento di Tamino, e canta la bell'Aria « Ah! tu non m'ami! Io col mio pianto importuna mi rendo... » . 
Sarastro elogia Tamino per la sua condotta e l'informa che gli restano ancora due prove da superare. Pamina si angoscia per i pericoli che dovrà affrontare Tamino e teme di non rivederlo piú, ma Sarastro la rassicura che tornerà. Papageno intanto ha perduto Tamino e lo rincorre affannosamente. L'oratore gli dice che i suoi errori saranno perdonati dagli Dei, ma non speri per questo di essere ammesso alle gioie celesti degli iniziati. Papageno risponde che un buon bicchier di vino sarebbe, per lui il piú celeste piacere. Quando l'Oratore gli dice: « Va stolto. E ben l'avrai », Papageno canta un'aria tipicamente mozartiana, in cui dice che se trovasse una donna, allora il bere e il mangiare sarebbero deliziosi, allora sarebbe uguale ai príncipi e gli parrebbe di essere agli Elisi. Ricompare allora la vecchia che aveva precedentemente dissetato Papageno. Questa volta balla, appoggiandosi al bastone. La scena è comica, ma ha un finale tenero e sentimentale. La vecchia infatti ha parole dolci per Papageno, che ne ha ribrezzo; ma alla fine si trasforma in ragazza giovane e bella, vestita come Papageno, il quale trova cosí la sua Papagena. 

I tre Fanciulli annunciano che gli errori e le superstizioni stanno per essere sconfitti e che la saggezza vincerà. Chiedono che la pace discenda nel cuore degli uomini. Allora la terra sarà come un regno celeste e i mortali uguali agli dei. Vedono Pamina disperata, perché crede che il suo amore sia disprezzato e la salvano nel momento in cui sta per suicidarsi. Le assicurano poi che Tamino è salvo e l'invitano a seguirli nella sua ricerca. La scena si conclude con una delle solite sentenze moraleggianti: « Due cuori presi d'amore, nessuna potenza umana può separarli. Le forze nemiche sono vane, poiché gli dei stessi li proteggono ». 
Tamino deve ancora superare le prove piú terribili: quella del fuoco, dell'acqua, dell'aria e della terra. La scena rappresenta due grandi montagne: sull'una c'è una cascata d'acqua; l'altra lancia lingue di fuoco. Tamino è accompagnato da due uomini in armatura nera ed è senza scarpe, secondo il rito massonico dell'iniziazione. C'è anche una piramide sulla quale si legge che « colui che sa vincere questi pericoli, si slancerà dalla terra al cielo, potrà ricevere l'ispirazione e consacrarsi interamente ai misteri di Iside ». Mentre Tamino dichiara di non temere la morte e di voler proseguire il cammino della virtú, si ode la voce di Pamina dall'interno. I due uomini in armatura nera ricongiungono i due innamorati e acconsentono che Tamino sia accompagnato da Pamina, anch'essa degna di essere consacrata, per non temere né la notte, né la morte.
Pamina consiglia a Tamino di suonare il flauto magico durante il cammino, quel flauto che fu tagliato da suo padre nel profondo di una quercia millenaria, in un momento magico di lampi e di tuoni, di tempesta e di fragore. Si ode un lungo assolo di flauto, durante il quale Tamino e Pamina passano indenni attraverso i pericoli delle fiamme e dell'acqua. La scena si conclude col coro dei Sacerdoti, i quali esultano per la vittoria di Tamino e Pamina, che vengono accolti nel tempio. 
Al tempo di Mozart si sviluppò, parallelamente a quella maschile una vera e propria Massoneria femminile. Questa massoneria venne accettata con estrema riluttanza dalle associazioni regolari, che imponevano comunque in queste cosiddette Logge d’Adozione la presenza di supervisori maschili. Le logge femminili vennero anche ufficialmente codificate con il nome di Ordine dei Mopsi nel 1774, ma non ebbero mai piena autonomia, furono spesso al centro di controversie per poi estinguersi. Per le donne non era prevista un’iniziazione regolamentare, per questo Pamina non subisce una vera e propria inchiesta ed è ammessa a condividere solo in parte l’iniziazione.
Nella scena finale. Monostatos, al quale la Regina ha promesso Pamina, guida la Regina della Notte e le tre ancelle nel tempio di Sarastro. Raccomanda di far piano, perché devono sorprendere gli empi e distruggerli. Si odono intanto in distanza tuoni e rumori di cascate d'acqua che spaventano la Regina e le tre damigelle. Ad un tratto la scena si trasforma nel Tempio del Sole. Sarastro siede sul suo trono e Tamino e Pamina, vestiti da iniziati, sono in mezzo a due file di sacerdoti. In mezzo a tuoni e fragori, la Regina e Monostatos, che in sostanza simboleggiano l’oscurantismo e il malgoverno, vengono inghiottiti nell'abisso e scompaiono dalla scena. Sarastro, il gran Sacerdote del Tempio, esulta per il ritorno del sole e della luce, che hanno respinto la notte e le potenze demoniache. 
L’opera si conclude con il trionfo e l’apoteosi della Coppia Perfetta, reduce vittoriosa dal viaggio iniziatico e pronta a dar vita alla novella età dell’oro: Tamino e Pamina, entrambi in abiti sacerdotali, sono salutati all’ingresso in questo loro nuovo mondo dal coro di giubilo dei sacerdoti: «Gloria a voi, iniziati! Siete penetrati nelle tenebre, vincendole, sian rese grazie a te, Osiride, a te, Iside! La Forza ha vinto e ha coronato la Bellezza e la Saggezza in eterno!».
Poche parole finali si rendono necessarie. Ho dovuto trascurare tanti elementi, che pure concorrono a caratterizzare l’opera e meritano ben più della citazione. L’ambientazione dell’opera, il tempio di Sarastro, è il Tempio di Iside e Osiride, di cui Sarastro è Gran Sacerdote; l’iniziazione rappresentata, che è quella “scozzese”, nella quale la purificazione passa attraverso i quattro elementi:
per chi volesse conoscere e approfondire il tema, pare che, sia il tempio, che le cerimonie massoniche, traggano la propria genesi nel testo Sethos, un romanzo scritto dall’abate Terasson, che diceva di aver esttratto da un anonimo testo greco sulle cerimonie del Tempio di Iside di Menfi. Non conosco questo romanzo prima di questa tavola, ma mi riprometto di cercarlo: sono certo che vi troverò tante risposte. Ma nell’opera sono contenuti tanti altri simboli che ho trascurato: perché settantasette frustrate? Cosa rappresenta il numero settantasette? Ed ancora settatasette o settanta volte sette? Forse nella cabbala, o nel patrimonio dei Pitagorici, possiamo trovare una risposta. Cosa è il Settemplice Cerchio Solare? Era un oggetto materiale o spirituale? E gli armigeri che accompagnano Tamino nelle prove di iniziazione. Nella trattazione della tavola non c’era lo spazio organico e fisico, né il tempo per questi elementi.
M:. L:.
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