Nella III scena ricompaiono le tre ancelle che hanno salvato Tamino e che ora, per ordine della Regina della Notte, vengono a punire Papageno perché ha mentito. Invece dei doni quotidiani di « liquore, fichi e ciambelle », portano un lucchetto dorato per chiudergli la bocca. Deve imparare « a non mentire con gli stranieri », ed anche, secondo una di quelle sentenze moraleggianti di cui il libretto è cosparso, a non usurpare mai l'onore delle azioni meritorie compiute da altri. Le tre ancelle rivelano a Tamino che è per loro se vive, e a salvarlo le mandò l'Astrifiammante alta Regina, la quale vede in lui il liberatore di Pamina, sua
figlia, rapita dal Gran Sacerdote Sarastro.
Il lucchetto dorato, poiché viene imposto a un uomo (e l’oro è elemento maschile) rappresenta la “messa in guardia nei confronti della loquacità femminile”, mentre gli uccelli catturati da Papageno per ordine della Regina della Notte sono simboli della futilità, che va eliminata.
Nella IV scena, Tamino osserva il ritratto di Pamina, che prima di partire gli hanno lasciato le tre ancelle; è estasiato dalla sua bellezza e canta l'aria « Dies Bildnis ist bezaubernd schön » (0 immagine meravigliosa). Pamina è l’elemento femminile opposto e complementare all’uomo e nella trama simboleggia la Massoneria. Le tre ancelle dicono a Tamino che la Regina ha udito le sue espressioni di ammirazione per la figlia e che confida nel suo valore affinché venga liberata. Esse gli dicono inoltre che il rapimento fu compiuto da un «empio», che in mille modi cambia forma e aspetto e che, inosservato, seguí Pamina, la sorprese e la rapì. Nella V scena incomincia ad intessersi, sotto il velo della favola, la situazione politico-sociale del tempo. La Regina simboleggia verosimilmente l'imperatrice Maria Teresa d'Austria, che era stata nemica acerrima della Massoneria, benché il marito vi avesse appartenuto e vi si iscrivesse poi anche il figlio. Rimasta vedova, convinta com'era che la setta svolgesse un'azione nefasta, non esitò a perseguitarla e vietarla, mentre il figlio, correggente dell'Impero, ne favoriva l'attività segreta, in quanto si armonizzava coi suoi ideali liberali e umanitari.
Fino a questo momento, la vicenda della favola è favorevole alla Regina, che appare come la vittima di Sarastro, ma lungo il viaggio iniziatico il giudizio sui due Regni nemici si capovolgerà: il bene, inizialmente identificato con il Regno lunare della Regina della notte in quanto vittima del rapimento della figlia condotto da Sarastro, finirà per essere identificato nel Regno solare di quest’ultimo, inizialmente giudicato come malvagio. Nel Regno di Sarastro, Tamino troverà ragione e saggezza. Si scoprono così le buone intenzioni di Sarastro nel portare a sé Pamina, non togliendole libertà ma sottraendola con intento protettivo alla malvagia madre onde poterla destinare al giovane predestinato ed eroe della vicenda, ovvero lo stesso Tamino. Il personaggio di Sarastro offre un’immagine duplice di sovrano animato da saldi principi etici e di capo religioso depositario della sapienza. Egli, il Gran Sacerdote del Tempio di Iside e Osiride, è una figura astratta, statica, anche nell’insegnamento che impartisce al principe Tamino. Il suo nome deriva dal leggendario Zoroastro, re di Battriana, esperto astronomo e considerato dall’antichità l’inventore della magia; nella religione persiana rappresenta il principio del Bene. In Sarastro è individuabile il M.V. della Loggia piú importante di Vienna, detta della « Vera Concordia », che era l'illustre mineralogista Ignaz Nobile von Born.
Nella VI scena preceduta da lampi e tuoni, appare la Regina della Notte, la quale canta la famosa Aria che viene spesso eseguita nei concerti vocali-strumentali. La Regina ripete a Tamino la storia del rapimento e gli esprime il suo dolore. Se tornerai vincitore - gli dice - Pamina sarà tua per sempre.
Nella VII e VIII scena tornano le tre ancelle, le quali perdonano Papageno e gli tolgono il lucchetto, non senza ammonirlo che non dovrà piú mentire. Il libretto annovera qui un'altra sentenza moraleggiante e dice: « Se tutti i mentitori ricevessero un tal lucchetto sulle labbra, l'amor fraterno regnerebbe sull'odio e sul livore ». Le tre ancelle consegnano poi a Tamino il dono della Dea stellifera, la Regina della Notte, e cioè un flauto d'oro, il cui suono lo sosterrà « nell'alte imprese », un flauto insomma dal magico potere. Non potendo le damigelle guidare Tamino verso il reame di Sarastro, lo avvisano che Tre Fanciulli “dolci e teneri” li scorteranno nel viaggio suggerendogli di rimettersi nelle loro mani. Infine ordinano a Papageno di seguire Tamino, con conseguente comica protesta di Papageno, il quale pensa che Sarastro lo metterà arrosto per il suo pranzo. Anche Papageno, per questo viaggio, avrà il suo talismano: un carillon d’argento, il cui suono promuove allegria.
Queste scene sono cariche di significati e simboli. Ad esempio l’allusione alla esclusione delle donne nella massoneria: è per questo motivo che non possono essere loro a guidare Tamino al tempio di Sarastro, cioè alla sede simbolica della Massoneria. In questa scena si introducono due strumenti carichi di significati simbolici: il flauto magico e il carillon.
Il flauto dorato che le Tre Dame donano a Tamino ha il compito “di trasformare le passioni degli uomini, di rendere allegro chi è malinconico, desideroso d’amore chi è misogino”, insomma di permettere al principe di esprimere sentimenti che con le parole non è ancora in grado di comunicare. L’origine magica del flauto deriva dal fatto che esso era appartenuto al padre di Pamina, il sovrano dell’età dell’oro che aveva preceduto quella attuale del conflitto. Ovviamente il flauto è d’oro, elemento maschile, mentre per la sua natura di strumento a fiato appartiene all’Aria ed è stato magicamente intagliato, spiega Pamina, “in un’ora incantata dal profondo di una quercia millenaria, tra folgori e tuoni, tempesta e uragano”. Il flauto riunisce quindi in sé i quattro elementi: Aria, Acqua (tempesta), Terra (il rombo del tuono è lo stesso del terremoto) e Fuoco (folgore). Il carillon di Papageno è l’elemento simmetrico, ma inferiore, al flauto di Tamino: è d’argento ed è legato alla Terra.
Le successive scene, IX, X, XI, XII e XIII sono preparatorie e introducono un altro personaggio: il “moro” Monostatos. Siamo già in territorio “nemico”. C'è un andirivieni di schiavi che portano dei sofà e uno di essi dice che Monostatos, il loro capo, colui che ha l'incarico di tener prigioniera Pamina, e che nella realizzazione scenica viene presentato come un negro, dovrebbe essere impiccato, impalato, perché vorrebbe « assaggiare il boccone prima del padrone». Pamina è condotta dagli schiavi davanti a Monostatos, si ribella alla sua volontà di possederla. Monostatos minaccia di metterla alla catena, ma inaspettatamente, da una finestra, entra Papageno. Papageno non sa dove si trova, si guarda attorno e vede per prima Pamina, della cui bellezza rimane colpito. Quando però Papageno e Monostatos si vedono, hanno paura l'uno dell'altro, e fuggono in opposte direzioni. Pamina, rimasta sola, invoca la madre e si chiede se finiranno i suo i affanni. Papageno ritorna dove è prigioniera Pamina. Sentendolole pronunciare il nome della Regina della Notte, si pavoneggia e le dice di essere un messo dell'Astrifiammante, venuto col principe Tamino per liberarla. Fra i due personaggi ha luogo un lungo dialogo parlato. Pamina è ansiosa di vedere Tamino, il principe che per amor suo sfida il pericolo e con Papageno canta un’aria per esprimere tutta la dolcezza del sentimento d'amore: Pamina per Tamino e Papageno per una Papagena che non ha ancora trovato.
In queste scene Momostatos è il traditore, il servitore infedele, che, oltre ad essere l’incarnazione del Male, rappresenta anche un’allusione all’abito nero dei Gesuiti, fieri nemici della Massoneria. Legato per il colore della sua pelle all’elemento Terra (femminile), finirà per riunirsi al regno oscuro della Regina della Notte.
Le scene successive, dalla XIV alla XVIII, che concludono il I atto, riprendono e propongono, quasi fedelmente, la simbologia massonica preparando alla celebrazione del rito di iniziazione, riprodotto nel II Atto, sia pure tralasciando diversi particolari per ovvie esigenze teatrali.
Tamino è stato guidato dai Tre Fanciulli, che gli raccomandano “tenacia, pazienza e silenzio”, nel regno del Gran Sacerdote Sarastro, ad un bosco sacro, davanti a tre templi, quello della Sapienza, quello della Ragione e quello della Natura, che corrispondono agli ideali illuministici del tempo, che la Massoneria condivideva e propagava nelle sue Logge.
Da questo momento ha luogo la svolta della vicenda: Tamino è dapprima convinto dell'offesa subita dalla Regina della Notte, tanto che parte con l'animo di chi deve affrontare in Sarastro un nemico, ma a poco a poco viene conquistato dal mondo segreto degli iniziati.
Intanto i tre Fanciulli lo istruiscono e gli rammentano che la sua impresa potrà riuscire solo se avrà indomita Costanza, Fede e Silenzio. Quando però Tamino bussa alle porte dei templi laterali, per due volte una voce che proviene dall’interno gli vieta l’accesso al tempio della Ragione e a quello della Natura. Quando Tamino bussa alle porte del terzo tempio, quello della Sapienza, esce un vecchio sacerdote, il quale gli dice che nessuna porta del tempio può aprirsi per lui, perché non ha compreso il senso dell'insegnamento dei tre Fanciulli ed è ancora animato da spirito di vendetta, anziché di amore e virtú. Il vecchio Sacerdote dice a Tamino che Sarastro non è un mostro, un tiranno, come egli crede, ma un benefattore illuminato e saggio e, prima di ritirarsi, riesce a infondere nella sua mente il dubbio circa la vera identità di Sarastro.
Tamino chiede al Sacerdote di Pamina, che gli indichi almeno dov'è, se vive, e se « può sperare che cada il velo del mistero ». Il vecchio Sacerdote gli risponde che il velo sarà tolto quando un sentimento di amicizia lo condurrà nella via eterna del santuario. Qui il gioco si fa estremamente sottile fra la favola, che ci fa pensare a una Pamina in carne ed ossa, effettivamente rapita alla madre, ed una Pamina simbolo della Massoneria stessa.
Le parole del vecchio Sacerdote contengono in sostanza questa equazione: « Tu potrai raggiungere Pamina quando sarai capace di vera amicizia », cioè « Tu potrai ottenere la iniziazione quando sarai capace di vera amicizia ».
Pamina, dunque, è viva. Voci misteriose lo comunicano a Tamino e la scena si conclude con un'aria che esprime lo smarrimento di Tamino stesso, il quale suona per la prima volta il flauto datogli dalla Regina della Notte, perché si compia la magia dell'apparizione di Pamina. Parimenti Papageno e Pamina, cercano a loro volta Tamino con l'ausilio del flauto di Pan di Papageno e cercano di fuggire, ma vengono sorpresi da Monostatos che minaccia di farli incatenare. Papageno suona allora il suo carillon magico e Monostatos e gli schiavi rapiti dal suono, si mettono a ballare e cantare allontanandosi. Papageno e Pamina rimangono soli e in un delicato duetto introducono ancora una sentenza moraleggiante: se ogni buon uomo potesse possedere un carillon simile a questo, i suoi nemici si dileguerebbero presto ed egli vivrebbe nella migliore armonia. Solo l'armonia dell'amicizia addolcisce le pene e senza di essa non v'è felicità sulla terra.
Entra Sarastro sopra un superbo cocchio. I sacerdoti che l'accompagnano cantano un inno in lode di Iside. Una marcia interna e il coro annunciano l'arrivo del Gran Sacerdote Sarastro; quando Papageno chiede a Pamina che cosa gli deve dire, lei risponde: “La Verità!”, e spiega al Gran Sacerdote che cercava di sfuggire alle avances di Monostatos. Sarastro ordina che Monostatos venga punito con settantasette frustate.
Sarastro dice a Pamina, di non sperare che possa lasciarla libera, perché aggiunge - ciò ti costerebbe la felicità, che si realizzerà solo quando uno sposo fedele ti guiderà al vero.
L'allusione massonica sulla necessità di conoscere e amare la verità, per essere veramente liberi, e di combattere l'ipocrisia e la tirannia del potere, simboleggiate dalla Regina della Notte, è chiara. Il primo atto si conclude col coro dei sacerdoti che inneggiano a Sarastro, che ordina che Tamino e Pamina vengono condotti nel recinto delle prove del fuoco, dell'acqua, dell'aria e della terra, che sono le prove della purificazione e, secondo il rituale massonico, si benda loro la fronte.
Il rituale iniziatico preparato nel primo atto ha luogo durante il secondo.
Nella I scena, Sarastro, nell’atrio del tempio, parla ai sacerdoti e dice che per le mura del tempio stesso erra un giovane principe che vuole squarciare il velo dell'errore che gli hanno trasmesso gli avi e poter contemplare la luce sacra. In questa scena si compie il capovolgimento del tema iniziale: Tamino era partito per liberare Pamina dal feroce Sarastro ed ora, invece, proprio nel regno di Sarastro aspira a purificarsi.
L'oratore fa le domande rituali e chiede se Tamino abbia costanza, sia capace di silenzio e di santo fraterno affetto, le qualità che deve possedere un aspirante alla setta degli iniziati. Sarastro se ne fa garante e spiega che rapì la dolce e virtuosa Pamina perché gli dei l'hanno destinata al giovane principe e accusa la regina di voler ingannare il popolo con l'illusione e la superstizione e distruggere il tempio. Ciò non deve accadere - dice Sarastro, Tamino deve aiutarci a rafforzarlo. Tamino e Papageno, che acconsente a sottoporsi alle prove, vengono condotti al sagrato del tempio, dove gli vengono dati i necessari insegnamenti perché possano superare le prove. Nelle scene immediatamente successive, Tamino e Papageno stanno per essere ammessi nel tempio. L'oratore e il secondo sacerdote rivolgono ai due iniziandi le domande rituali. « Dove cerchi di andare, audace forestiero? Che vai cercando qui, in questo luogo sacro?». Tamino non risponde che è alla ricerca di Pamina, ma che sta cercando solo «il regno dell’amore e della virtù» e che accetta di conquistare queste virtú a costo della vita. Papageno, anche in questa occasione, si rivela il semplice che è, dichiarando che non pretende di pervenire alla saggezza, ma che s'accontenta di mangiar, bere e dormire. La conversazione fra Tamino e l’oratore è propedeutica alla iniziazione e ha come scopo quello di stabilire la dignità morale del neofita; Sarastro, poco dopo, ci darà il verdetto dei sacerdoti: «Conducete questi due forestieri nel nostro tempio delle prove, ricoprite poi loro il capo, poiché dovranno essere prima purificati».
Nelle successive scene, Papageno e Tamino rimangono soli e al buio. Papageno ha paura: i tuoni e i fulmini rendono più spaventoso il luogo. Incomincia qui la scena delle prove e dell'iniziazione e continua il sottile giuoco fra la favola e il rituale massonico. La prima prova è quella del silenzio. Improvvisamente ricompaiono le tre ancelle della Regina della Notte, che già furono le salvatrici di Tamino, che lo esortano a uscire da quel luogo di terrore. Sembrano preoccuparsi di avvertirlo di un pericolo, ma in effetti compiono il tentativo di farlo mancare ai suoi giuramenti e annunciano anche la vendetta della Regina. Ma Tamino resiste. Alla fine l'arrivo di Sarastro e dell'Oratore fa sprofondare le tre ancelle. L'Oratore si compiace delle prove sostenute da Tamino e gli dice che dovrà ancora molto soffrire, ma che vincerà. E aggiunge un'altra di quelle sentenze moraleggianti che costituiscono la filosofia del libretto: « Sorride favorevole il Cielo all'alme grandi ». La scena si conclude con il rinvenimento di Papageno disteso sul pavimento e quasi morto di paura.